Il Sirente, crocevia di briganti

3 giugno 2023 | 12:50
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Il Sirente, crocevia di briganti

Sirente e briganti: Sicuro che il Risorgimento Meridionale fu un seguito di fanfare, di bandiere tricolori al vento, fiore nelle bocche dei fucili e applausi in piazza? Un altro appuntamento con la rubrica I Cinturelli.

I Cinturelli – La rubrica settimanale del Capoluogo, il contributo di Mario Andreucci.

Parliamo oggi di Sirente e di briganti:sicuro che il Risorgimento Meridionale fu un seguito di fanfare, di bandiere tricolori al vento, fiore nelle bocche dei fucili e applausi in piazza? Così ci hanno insegnato a scuola fin dai primi libri di scuola, perché questa è la narrazione dettata dalla parte vincitrice: questa è stata la storia dei buoni, l’altra, la perdente dei cattivi.

Ma c’è un’altra versione che possiamo conoscere attraverso le testimonianze di quelli che vollero combattere contro di esso e perdettero. “Il contadino non ha casa, non ha campo, non ha vigna, non ha prato, non ha bosco, non ha armento: non possiede che un metro in comune al camposanto… Il brigantaggio non è che miseria, è miseria estrema, disperata…una buona legge sul censimento a piccoli lotti dei beni della casa ecclesiastica e demanio pubblico ad esclusivo vantaggio dei contadini nullatenenti, e il fucile scappa di mano al brigante…” Così scriveva Francesco Saverio Sipari nella Storia del Regno di Napoli. Da quelle frasi si possono individuare le cause, o se vogliamo, una parte di esse che dettero inizio nel mezzogiorno e soprattutto nella zona Subequana al fenomeno del brigantaggio, pertanto nella Valle Subequana e nella Valle del medio Aterno si alimentò dalla miseria e dalla disperazione delle masse contadine prive di terra, oppresse e sfruttate dai galantuomini, e dalla pressione fiscale dello Stato unitario. Se in altre zone del meridione si formarono delle corposissime bande brigantesche alquanto politicizzate, che in alcuni casi ingaggiarono vere e propri conflitti a fuoco con interi reparti dell’esercito, nelle nostre zone ci si limitò ad un brigantaggio diciamo casereccio. Le banda Cannone di Gagliano Aterno, la banda Francescone di Tione degli Abruzzi, e Angelo del Guzzo di Fagnano, la banda Stramenga di Secinaro commisero i loro crimini sulle montagne della catena del Sirente. A Gagliano Aterno nella primavera del 1859 si registrano i primi atti di aperta ostilità dei contadini nei confronti dei nobili del paese, chiamati con scherno “Pantaloni”, in quanto erano gli unici che indossavano i costosi calzoni lunghi. Si distinguono per la particolare animosità Giuseppe di Cenzo detto “Birichino”, e Vincenzo Vacca detto “Cannone”, braccianti agricoli che erano usi emigrare, dall’Autunno alla Primavera nello Stato Pontificio. L’anno successivo a Gagliano esplode la rivolta contro i Savoia e contro i Pantaloni, che si erano prontamente schierati con il nuovo sovrano. Duecento contadini armati di bastoni, manici di scure e pietre si scontrarono con la Guardia Nazionale. Fu assediato il palazzo di Don Francesco Voce, proprietario terriero, che fu minacciato di decapitazione. Pierluigi del Campo, ricco artigiano, viene linciato dalla folla e sfugge miracolosamente alla morte, ma rimarrà storpio a vita. Lo stemma sabaudo viene distrutto. Dopo lunghe indagini le autorità giudiziarie puniscono i protagonisti della rivolta con arresti e provvedimenti restrittivi. Molti rivoltosi si danno così alla latitanza: alcuni si rifugiano sugli altopiani ai piedi del Monte Sirente, come Domenicantonio Boccabella. Altri, come “Cannone”, “Birichino”, e Carmine Bucci detto “Bracchicello”, tornano nello Stato Pontificio. Da lì sono però costretti a fuggire dopo aver malmenato il proprietario terriero presso cui lavoravano come braccianti. Tornano dunque a Gagliano, per farsi “uccelli di montagna”: costituiscono cioè il primo nucleo della banda di briganti che diverrà famosa col nome di “banda Cannone”. Dal Novembre 1865 ad Agosto 1866, la banda Cannone si aggira per i fitti boschi, le valli e gli altopiani del Sirente, spostandosi a cavallo e dormendo in rifugi di fortuna o presso abitazioni di manutengoli. La banda assalta i pastori derubandoli di pecore, denari e vestiti; tende agguati ai ricchi mercanti soliti transitare sui sentieri ai piedi del Sirente. La banda controllava l’intera valle Subequana appostandosi in avvistamento su di una altura ancora oggi conosciuta col nome di ” grotta dei briganti”. Nel Settembre 1866, la banda sequestra un ricco mercante di Rocca di Mezzo, sorpreso con un ingente carico di vino nella impervia e boscosa Valle di Canale, presso la fonte. Viene rilasciato in cambio di 187 lire d’argento, 60 lire in monete d’oro, più tre camicie e tre paia di calze. Sempre nello stesso anno i contadini di Gagliano racimolano con una colletta 4.000 ducati e li consegnano ai briganti chiedendo in cambio di eliminare l’odiatissimo proprietario terriero Ernesto De Angelis. La banda Cannone sorprende e cattura quest’ultimo in località Ara di Catolle.

Lo sventurato viene dunque trasportato in una località impervia, le “Fosse di Pasqualetti”, dove i briganti gli tagliano i testicoli, gli recidono le dita delle mani, gli cavano gli occhi, e infine lo decapitano. La testa viene infilata in un palo ed esibita come macabro trofeo.

Tra Gennaio e Maggio 1867, la banda Cannone prende di mira Francesco Pace, altro ricco proprietario terriero, su esplicito invito anche questa volta dei contadini di Gagliano, e in particolare dagli stessi braccianti alle dipendenze del Pace. Dapprima gli viene recapitata una lettera con due proiettili ed un invito a consegnare loro 50 piastre, un prosciutto, un barile di vino e 10 pagnotte. In seguito viene sequestrato, con la complicità dei suoi vetturini, nei pressi di Castel di Ieri, mentre con 32 somari carichi di grano si recava a Sulmona. I briganti trasportano l’ostaggio sulla montagna di Canale dove viene custodito sino al pagamento di un cospicuo riscatto. Il prefetto allora invia sulle montagne intorno a Gagliano i reparti del 44° reggimento di fanteria, che battono a tappeto il territorio, scoprendo i nascondigli usati dai briganti. Gagliano viene cinta d’assedio e vengono passate al setaccio abitazioni, stalle, cantine e fienili. Cannone viene catturato mentre si nasconde nella soffitta di un parente. Bracchicello, Birichino, e Anacleto Salutari dopo essersi nascosti per giorni in una vigna si costituiscono alla Guardia Nazionale. Sono tutti condotti ed imprigionati nelle segrete del Castello di Gagliano. La corte di Appello dell’Aquila nell’ottobre del 1868 condanna Salutati Anacleto ai lavori forzati a vita; Montemurri Gaetano, Vacca Vincenzo (alias Cannone), Di Cenzo Giuseppe, (alias “Birichino”), Bucci Carmine, (alias “Bracchicello”) alla pena di morte, pena in seguito commutata ai lavori forzati a vita. Anacleto Salutati, nel 1930, ormai ultraottantenne, giunge a Castelvecchio, suo paese natale.

Alla nipote, incontrata sulla via che porta al mulino, dice di essere un mendicante vagabondo, ma tradisce più volte la sua vera identità. La nipote lo invita a quella che fu la sua casa. Beve del vino e mangia i “quejè tiej” ammassati dalla nipote. Chiede notizie di una ragazza (che fu vicina di casa di Anacleto Salutati). Dorme nel pagliaio e all’alba va via prima che la nipote si svegli. Questo è quello che si racconta ancora oggi a Castelvecchio.

Nell’autunno del autunno 1860 a Tione degli Abruzzi scoppiano i moti reazionari. Il guardaboschi Francesco Presutti, il soldato borbonico Domenico Camilli e Nicola Avellani, si rendono protagonisti di aggressioni contro i benestanti locali. Ricercati dalle forze dell’ordine fuggono nello Stato Pontificio. Il Presutti e Camilli nell’estate del 1861 tornano al paese nascondendosi nelle montagne di Tione, che il Presutti essendo stato guardaboschi, conosce come le sue tasche. I due, assieme ad altri tre latitanti incontrati in quelle montagne, decidono di darsi al brigantaggio: nasce la banda Francescone. Nello stesso anno, la banda sorprende il località Sacco del Sirente una carovana che stava trasportando lana per conto di Don Marinucci, ricco mercante di Sulmona. A vetturali viene ordinato di riferire al loro padrone che se avesse voluto la lana indietro, avrebbe dovuto consegnare 100 abiti da uomo, cravatte, cappelli e scarpe entro due giorni.

Il riscatto non andrà a buon fine e così la banda decide di distribuire la lana alle famiglie povere di Tione degli Abruzzi. A settembre, Giacomo Rosati è sorpreso dalla banda in località Pozzi della Prata, e fu ucciso con due fucilate al petto dal Chiaravalle, che consuma così la sua vendetta, reo di aver infamato il padre del brigante, e averne determinato la condanna a 25 anni di carcere. In seguito all’omicidio la banda si scioglie, il Presutti torna nello Stato Pontificio. Sabatino Chiaravalle viene arrestato vicino Avezzano. Nell’Aprile del 1863, Domenico Camilli viene arrestato a Genova, dove si era arruolato nella Real marina Italiana. Viene condannato a 25 anni di lavori forzati, Francesco Presutti, invece, dopo una lunga latitanza nelle campagne romane, torna, a giugno del 1864, sulle montagne del Sirente. In poco tempo riunisce attorno a sè ben 30 uomini, ben armati ed equipaggiati. La banda estorce ai frati francescani di Celano una pagnotta di pane, tre prosciutti, sessanta forme di cacio, 4 pacchi di sigari e un barile di vino, minacciando di sgozzare le mule dei religiosi. Analoghe minacce vengono profferite nei confronti di Don Tommasetti, nobile di Celano, alla Signora Pasqua di Ovindoli, e ai baroni Masciarelli, a cui vengono chiesti 7.000 ducati e due orologi d’oro. Pochi giorni dopo la banda aggredisce alcuni pastori in località Valle Faita, mozza la testa a sei agnelli, ruba 25 Kg di pane e 4 coperte. Pochi giorni dopo assale lo stazzo di Giovanni Iannuzzi in località Vallone di Forca, ruba le scarpe ai poveri pastori che lavoravano per conto del Iannuzzi. L’anno successivo, la banda fa irruzione nel casolare di Vincenzo Di Michele, guardia nazionale, nelle pagliare di Fagnano. Il Di Michele viene portato nel bosco. Qui Francescone estrae il pugnale, cava gli occhi al malcapitato e lo lascia morire dissanguato. La banda raggiunge quindi la località Sacco del Sirente dove si imbatte in altre due guardie nazionali, che bivaccavano intorno ad un fuoco assieme ad alcuni pastori. Le guardie vengono legate e portate nel bosco. Dopo pochi minuti torna al bivacco un brigante succhiando compiaciuto il sangue colante dal suo coltello. In seguito ai tre efferati omicidi, il Prefetto dell’Aquila organizza una gigantesca caccia all’uomo per sgominare la banda. Vengono arrestati a Tione, con l’accusa di favoreggiamento, tutti i fratelli del feroce brigante, tra i quali anche un ex -monaco. La banda si scioglie in attesa di tempi migliori, e i briganti cercano di nascondersi in luoghi più sicuri delle montagne del Sirente, oramai pattugliate quotidianamente da centinaia di guardie nazionali. Francescone viene arrestato con tre suoi uomini sulle montagne nei presi di Vicovaro, mentre cercava di raggiungere il Lazio. Nell’Aprile del 1868, l a corte d’Assise di l’Aquila condanna Francesco Presutti a 25 anni di lavori forzati.

Questo articolo è presente anche sul numero di aprile del periodico “I Cinturelli” 

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