Abruzzesi nel mondo

Lino Manocchia, il giornalista giuliese testimonial dell’Abruzzo in America

Lino Manocchia, decano dei giornalisti italo-americani, aveva raccontato il suo Abruzzo in America.

Tra i vari “Testimonial”, che per decenni hanno raccontato con amore e passione la terra abruzzese, un posto di primo piano spetta ad una “penna acuta”, come Lino Manocchia. Molto si è scritto su di lui, ma anche sul lascito della sua grande famiglia di professionisti, che hanno sempre onorato le origini del suo capostipite, che nacque a Giulianova, il 20/02/1921, dal Cavalier Francesco e dalla madre, Filomena Spadacci, originaria della Toscana.

Una famiglia, che dopo il primogenito si allargò con l’arrivo anche di altri tre fratelli, ad iniziare da Franco, che diventerà un giornalista del Corriere della Sera, seguito da Omero (che mori giovane) ed in ultimo Benito, conosciuto come Benny Manocchia, divenuto poi agente della casa editrice Rusconi, in America. Si potrebbe dire che il destino della famiglia si indirizzò subito nel giornalismo, con il mito americano, che venne come richiamo fortissimo, per costruire il loro sogno di riscatto. L’infanzia vissuta nella vivace cittadina teramana viene però ricordata nelle memorie di Lino, con affetto, specie per i suoi nonni paterni Pasquale e Lucia, con la sua propensione giovanile alla vita ecclesiastica, che però poi abbandonò crescendo, pur avendo frequentato i primi anni di seminario a Teramo. La svolta però avvenne appena maggiorenne, quando il giovane Lino, a Giulianova, trovò la sua occasione di scrivere il primo articolo sulla locale squadra di calcio, iniziando a coltivare la passione di una vita: il giornalismo.

Una strada incerta, che non fu certo incoraggiata dal padre, che gli avrebbe sempre ricordato, che sarebbe stata un “mestiere con cui si muore di fame”, sentendosi però rispondere con un fulminante: “Ma papà, tu sei un morto di fame”. Oramai la carriera di cronista sportivo, dapprima di provincia, di L. Manocchia si era avviata, anche per le polverose strade abruzzesi, con la Coppa Alleva. Ma con lo scoppio della guerra, il giovane sottotenente Lino nella Regia Aeronautica Italiana fu inviato sul fronte della Jugoslavia e dopo l’armistizio del 1943, fu arrestato dai tedeschi ed internato in un campo di concentramento, dove restò fino alla fine della guerra. Tornato a Giulianova, dopo questa terribile esperienza, gli fù comunicato, che il caro papà era morto, sotto i bombardamenti degli alleati, il 29/02/1944, salvando però la madre ed i suoi tre fratelli. Come tanti altri abruzzesi con la prospettiva della ricostruzione, in una terra martoriata, scelse quella nel “Nuovo Mondo”, con il sogno d’oltreoceano, favorito dagli “zii d’America”, Gino e Marino, già presenti in Pennsylvania, nel settore dei tabacchi. Intanto il giovane Lino, continuò a collaborare con giornali locali e arrivò ai giorni di primavera del 1949, quando decise di imbarcarsi sul “Vulcania”, da Napoli, per arrivare a New York. Qui inizio la sua gavetta, collaborando con la famosa “Voice of America”, perfezionando la nuova lingua, ma sempre con il legame con le testate italiane. Da qui emerse subito il suo talento per la carta stampata, ma presto attratto anche dal nascente mondo della radiotelevisione, che cresceva sempre più, con il ruolo della ricostruzione della sua economia capitalistica, in tutto il mondo occidentale. Da qui arrivò addirittura la conduzione di programmi radiofonici sul circuito “Whom” ed anche in quello tv della rete “Vewd”, specializzandosi sempre più sul dorato mondo del cinema. In particolare sono passate alle cronache le sue storiche interviste con le star, specie di origine italiana ed abruzzese, come Dean Martin, Perry Como ed il grande “The Voice”, Frank Sinatra, ma anche dei campioni automobilistici oriundi, come il mitico J.M.Fangio fino al ferrarista Mario Andretti. Un tributo sentito alle origini comuni, specie della terra degli Abruzzi, che Manocchia, non dimenticherà mai, tenendo sempre aperti i suoi rapporti e collaborazioni editoriali, tra due “Paesi Amici”. Negli anni la sua maestria di conduzione, diretta ed empatica, gli consentirà di intervistare tutti i personaggi più importanti d’America, fino ai diversi Presidenti, che si susseguiranno dal dopoguerra, da D.D.Eisenhower, J.K.Kennedy, fino a J.Carter e B.Clinton. Lino Manocchia però ha lasciato una forte impronta non solo nei media Usa, ma anche in quelli italiani, fino a tarda età, prima di spegnersi a ben 96 anni, il 4/3/2017, segnando due secoli cruciali. La sua grande vitalità, abbinata al talento ed alla grande passione per il giornalismo, con tutti i media, lo porteranno, caso pressoché unico, ad essere un “pontiere”, tra Continenti, Paesi e mondi lontani, dal centro alle periferie. La sua “Voice of America” restò sempre nel suo cuore, inviando le sue puntuali cronache alla stessa redazione del Tgr Abruzzo, guidato da Dino Tiboni. Ma lo sguardo sul ” BelPaese”, non si fermava sulle rive del suo Adriatico, ma andava oltre, con le corrispondenze per “Il Messaggero”, la “Gazzetta di Mantova”, fino al “Secolo XIX”, di Genova, per arrivare allo stesso “Corriere della Sera”.

Le sue incursioni arrivarono anche a toccare il suo primo amore giuliese, ovvero lo sport, addirittura “cofondando” la nuova testata di “Stadio”, intuendo la grande vitalità della cronaca sportiva, che ancora oggi, supera in vendita i giornali generalisti, più in affanno verso lo strapotere del mondo televisivo, che assorbe in gran parte le risorse decisive della pubblicità. In tal senso il nostro sentito ricordo, vuole così esaltare la grande lungimiranza strategica di Lino Manocchia, così intensa e multiforme, che andrebbe meglio analizzata, dalle stesse scuole di giornalismo e dei “nuovi media, che pure ha avuto la possibilità di conoscere in vita, superando tante barriere ed anche privilegi di “casta”. Un’ eredita’ feconda, che non va dispersa, anche attraverso gli esempi della sua stessa famiglia, come citato, sia con Franco che con Benny Manocchia. Ora tutto questo anche con il figlio Adriano, presente nel mondo dell’arte americana ed altresì con il nipote Adriano Jr., Docente alla “Cornell University”, di Ithaca (NY), accanto ad altri oriundi abruzzesi di talento, come la scrittrice Liliana Colanzi. Una dinastia familiare, sempre con il “motore turbo” e con il “mito futurista “della velocità, che il capostipite Lino, aveva esaltato con il campione Tazio Nuvolari, sulle strade pescaresi della Coppa Acerbo. L’ ultimo ricordo personale è della fine del 2014, quando opportunamente l’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, guidato da Stefano Pallotta, gli conferì il riconoscimento alla sua straordinaria carriera. Questo dopo che la sua Giulianova, sempre amata, gli presentò il libro “Lino e il microfono”, solo tra gli ultimi premi ricevuti dal “Decano” di tutti i giornalisti, a cui dedicare forse la frase più bella, del mitico Enzo Ferrari: “Sono i sogni a far vivere l’uomo. Il destino è in buona parte nelle nostre mani”, a cui rispose: “Rifarei tutto, ma cancellerei i dolori della guerra”. Questi purtroppo, per i conflitti di ieri e di oggi, restano ancora lancinanti.

 

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