Per la rubrica “Tutti i Santi giorni” del 12 giugno, Sant’Onofrio e l’eremo a lui dedicato in cui visse Pietro da Morrone, prima di diventare Papa Celestino V.
Il 12 giugno si ricorda Sant’Onofrio. Secondo la leggenda Sant’Onofrio era figlio, a lungo desiderato, di un re; appena nato, fu indicato da un demonio come frutto di una relazione adultera della regina e, sottoposto alla “prova del fuoco”, ne uscì indenne. Sin dalla giovinezza si isolò dedicandosi alla vita eremitica. Assai scarse sono le notizie circa la vita del Santo: l’unica fonte documentaria è la Vita Sancti Onuphrii Eremitae scritta dal vescovo e monaco egiziano Pafnuzio nel V secolo. Questi, desideroso di incontrare gli anacoreti per conoscerne lo stile di vita eremitico, si inoltrò nel deserto alla loro ricerca. Dopo un viaggio di 21 giorni, sfinito, Pafnuzio si accasciò a terra; gli apparve allora una figura umana di terribile aspetto, ricoperta da capo a piedi solo dai lunghi capelli e da qualche foglia. Inizialmente spaventato, il monaco cercò di fuggire, ma l’uomo lo chiamò a sé e gli narrò la sua vita: si apprende così che, dopo un periodo in cui visse in un monastero della Tebaide presso Ermopolis, desideroso di condurre una vita più solitaria sull’esempio di San Giovanni Battista, Onofrio si ritirò nel deserto in cui visse per oltre 70 anni, nutrendosi di erbe e riposando nelle caverne. Il racconto prosegue con la narrazione di come l’anacoreta provvedesse al suo sostentamento per mezzo di un angelo che la domenica, gli portava anche l’Eucarestia, miracolo che fu visto dallo stesso Pafnuzio quando il Santo lo condusse presso il suo eremo di Calidiomea, il luogo dei palmizi. I due rimasero insieme fino alla morte dell’eremita, avvenuta l’11 giugno. Si legge dall’agiografia che Sant’Onofrio, dopo aver benedetto il suo compagno, si inginocchiò in preghiera e morì; il futuro vescovo lo ricoprì con parte della sua tunica e lo seppellì in un anfratto della roccia, ma prima della sua partenza alla volta dell’Egitto, una frana ridusse in rovina la caverna di Onofrio, abbattendo anche i palmizi, segno della volontà di Dio, che in quel posto nessun altro sarebbe vissuto come eremita. Indipendentemente dalla esistenza storica di Onofrio, la ‘Vita’ di Pafnuzio – nota anche in diverse versioni orientali, greca, copta, armena, araba – presenta un elogio della vita monastica cenobitica. Ben presto il suo culto si estese in tutti i Paesi dell’Asia Minore e in Egitto, giungendo fino in Italia. È ritenuto, assieme a Sant’Antonio di Padova e Graziano di Tours, protettore di chi cerca oggetti smarriti; in passato era invocato dalle donne per trovar marito e dagli studenti che hanno problemi di studio.
Dal punto di vista delle immagini, Sant’Onofrio è raffigurato come un vecchio anacoreta magrissimo, dalla pelle rinsecchita e scurissima e due occhi incavati dentro le orbite; il viso è incorniciato da lunghissimi capelli bianchi e fluenti che si confondono con una altrettanto lunga barba che ricopre il corpo nudo. Nel corso dei secoli, nelle rappresentazioni artistiche l’iconografia si arricchì dei tanti particolari narrati nella Vita, dal perizoma di foglie, al cammello, al teschio, alla croce, all’ostia con il calice e all’angelo.
In Abruzzo è doveroso ricordare la presenza di numerosi romitori dedicati al Santo anacoreta, tra cui spicca l’eremo di Sant’Onofrio al Morrone. Si tratta di un edificio religioso, posto sulle pendici dell’omonimo monte nei pressi di Sulmona, risalente al XIII secolo, che custodisce la memoria di Pietro Angelerio o Pietro da Morrone. Il frate eremita vi si trasferì nel 1293 e vi dimorò per tredici mesi prima dell’elezione al soglio pontificio con il nome di Celestino V e due mesi e mezzo dopo “la rinuncia”.
Nel luogo dove inizialmente era solo una grotta in cui originariamente si ritirò, Pietro fece costruire una celletta per sé, un secondo locale con una edicola per celebrare la Messa e, a fianco, le celle dei monaci, tutt’ora conservate. L’oratorio presenta una volta a botte dipinta come un cielo stellato; le pareti sono ricoperte da affreschi di un certo pregio stilistico, risalenti verosimilmente al XIII secolo. Sul fondo, è raffigurata la Crocifissione e ai lati la Madonna e San Giovanni; nella lunetta sovrastante è visibile la Vergine in trono con Bambino e in quella di fronte San Benedetto, San Mauro e Sant’Antonio Abate; sulla parete di sinistra, un altro affresco del XIV secolo raffigura Pietro nelle vesti di Pontefice. Al di sotto della chiesa è una piccola grotta con il giaciglio di Celestino V scavato nella roccia: la tradizione popolare chiama questo luogo “culla di Sant’Onofrio” e l’incubatio su questa pietra aiuterebbe a guarire dai dolori articolari; l’antro conserva uno insolito calore e i fedeli raccolgono l’acqua che trasuda dalle pareti perché ritenuta taumaturgica.
