Le nuove stanze della poesia

Le nuove stanze della poesia, lo scorrere del tempo di Vincenzo Cardarelli

Le poesie di Vincenzo Cardarelli nell'appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.

Vincenzo Cardarelli: lo scorrere del tempo. Un altro appuntamento con la rubrica di poesia settimanale a cura di Valter Marcone.

Una generazione straordinaria quella di Vincenzo Cardarelli insieme a Saba e Ungaretti. Un uomo coerente nella vita e nella sua arte tra poesia in versi e prosa d’arte. Una prosa che si avvicina alla poesia pur non essendo poesia ; esprime versi che risentono di quella emozione contenuta nella sintesi estrema che solo il verso può dare riferendo concetti, immagini ,ragionamenti, insomma raccontando spessissimo la vita.

Cardarelli racconta con una “ economia della parola” attenta al verso ma dispiegando su altre lunghezze la musica della frase e il suo ritmo interno. Con una efficacia veramente magistrale che tiene conto della affermazione di un poeta per così dire “ sommo”.In sostanza un esempio di quello che già scriveva Giacomo Leopardi : “L’uso ha introdotto che il poeta scriva in versi (…)Ma in sostanza e per se stessa la poesia non è legata al verso”.Cardarelli stesso si ispirerà alle Operette Morali per la sua opera “Viaggi nel tempo” e sarà proprio lui a valorizzarne la grandezza come personalità fondamentale de La Ronda. Questa riscoperta dell’umanesimo chiaramente coincide con la capacità di analizzare la contemporaneità, infatti rileggere Leopardi e apprendere dal suo stile non significa tornare al passato, ma usare l’eleganza antica per costruirne una nuova e moderna.

Infatti Silvia Morgani intitola il suo intervento nel volume Parola di scrittore. Altri studi di letteratura e giornalismo a cura di Carlo Serafini proprio “ Il giornalismo eclettico di Vincenzo Cardarelli”. Conosciuto come poeta ha però svolto anche una brillante attività da giornalista che mostrando in questa sua attività un eclettismo intelligente e sagace. . La scrittura per Vincenzo Cardarelli ha rappresentato qualcosa di naturale e fondamentale per la sua crescita personale. Trasferitosi a Roma, comincia di fatto a scrivere articoli che in fondo in nuce contengono quelle che sono gli aspetti importanti e cruciali della sua produzione appunto in versi e in prosa. Per raggiungere Roma Cardarelli in realtà “fugge” da casa e quindi ha necessità di mantenersi proprio scrivendo articoli . Aderisce ai movimenti di avanguardia ma ben presto se ne allontana per cercare una strada propria . Inizia a collaborare con l’Avanti, collabora anche con la La Voce. Contribuisce poi in modo significativo all’attività de La Ronda che rapprfesenta per lui e per molti altri intellettuali del periodo una svolta.

Scrive lo stesso Vincenzo Cardarelli: “Abbiamo poca simpatia per questa letteratura di parvenus che s’illudono di essere bravi scherzando col mestiere e giocano la loro fortuna su dieci termini o modi non consueti quando l’ereditarietà e la famigliarità del linguaggio sono le sole ricchezze di cui può far pompa uno scrittore. Per ritrovare, in questo tempo, un simulacro di castità formale ricorreremo a tutti gli inganni della logica, dell’ironia, del sentimento, ad ogni sorta di astuzie. […] Ci sostiene la sicurezza di avere un nostro modo di leggere e rimettere in vita ciò che sembra morto. Il nostro classicismo è metaforico e a doppio fondo. Seguitare a servirci di uno stile defunto non vorrà dire per noi altro che realizzare delle nuove eleganze, perpetuare, insomma, la tradizione della nostra arte. E questo stimeremo essere moderni alla maniera italiana senza spatriarci”. 
(Vincenzo Cardarelli, Prologo in tre parti, in La Ronda, aprile 1919, pp. 5-6. )
Nel 1916, quando è ancora legato al movimento vociano, pubblica i Prologhi. Un titolo che gli è caro perchè lo usa anche per un suo editoriale, diviso in tre parti , sulla Ronda. Il prologo per Cardarelli. Il concetto di prologo è per Cardarelli una specie di intensa introduzione , che spesso non trova compimento, che si ripete continuamente e che istituisce quella ricerca continua che è in sostanza il fine di questa raccolta di poesie. Una raccolta eterogenea , frammentaria e intensa. In realtà appartiene al genere del prosimetro: comprende quattordici poesie e sedici prose.
I Prologhi di Vincenzo Cardarelli portano la data del 1916. Un anno di guerra, anzi guerra piena che coinvolge potense mondiali. L’anno delle dimissioni del governo Salandra e della conquista di Gorizia e della battaglia dell’Isonzo . Un anno per così dire tragico che vive anche in quelle poesie .
È nei Prologhi (scritti tra il 1913 – ’14) che Cardarelli sottolinea : “Che cosa staremmo a fare più insieme? Ci siamo dati quel che potevamo. Ci siamo rubati tutto il possibile. Abbiamo fatto la guerra e il saccheggio. Siamo stracchi del dovere compiuto e lordi delle fami soddisfatte. Me ne andrò. Non accetterò di prolungare questo giorno fumido che è tramontato in ciascuno di noi senza partorire una stella”.
Il gusto dell’arte per Cardarelli diventa “stile popolare”. Ciò lo si riscontra sia nel saggio dal titolo “Italia popolare” sia nello scritto, che per certi versi resta fortemente emblematico per ciò che riguarda l’ideologia di Cardarelli : “Stato popolare – Riflessioni intorno al Fascismo”. Entrambi gli scritti fanno parte della raccolta Parliamo dell’Italia edita da Vallecchi nel 1931.
Prologhi è dunque anche un percorso, ma in generale tutti gli scritti di Cardarelli sono un percorso, dentro emozioni e sentimenti come l’amore e il tempo, la partenza e l’attesa, il sogno e il ricordare. Un intrigante modo di proporre il dolore , la vita, la grazia. Un modo magico di evocare appunto emozioni e sentimenti attraverso questi momenti. I suoi Prologhi, i suoi Viaggi nel tempo, le sue Favole della Genesi e poi quel Sole a picco riportano con la poetica del viaggio ciò che Titta Rosa ha chiamato “sapienza antica”.

In una lettera a Sibilla Aleramo, datata Roma, agosto 1909, Vincenzo Cardarelli scriveva: “… un artista non è soltanto un creatore della Bellezza, ma un suscitatore della Bontà; perché Bontà e Bellezza sono due nomi che esprimono una sola forma di vita superiore”. Si tratta, in un piccolo inciso, già di un manifesto poetico. La poesia come bontà e bellezza. Un modello di estetica che raccorda il sentimento della parola alla voce e al silenzio dell’anima. La sua poesia e la sua prosa (“d’arte”) hanno caratterizzato contesti storici e generazioni. In Il viaggiatore insocievole ha scritto: “Nessuno è mai riuscito a farmi un ritratto passibile e somigliante…”.

Ma di Vincenzo Cardarelli voglio porre all’attenzione del lettore le poesie “Autunno” e “ Sgelo” in cui il poeta affida a questi versi di varia lunghezza il tema dello scorrere del tempo della vita, attraverso la metafora dell’alternarsi delle stagioni.

Autunno
Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d’agosto,
nelle piogge di settembre
torrenziali e piangenti,
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora passa e declina,
in quest’autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.

Lascio al lettore commenti e impressioni. E’ sempre difficile esporre in un commento quello che un poeta dice nei suoi versi. Questo modo di leggere e interpretare i versi è purtroppo un “vezzo” per così dire scolastico. Probabilmente delle poesie che abbiamo imparato ad amare non abbiamo dovuto fare la prosa per un compito scolastico. Sono entrate così nella nostra vita in modo naturale e hanno assolto al loro compito: quello di aiutarci a camminare con un sostegno che appunto, la poesia come altre poche cose può darci, nel nostro viaggio quotidiano che spesso ci presenta problemi, avversità, decisioni insospettate da prendere. Insomma ci aiuta a vivere. Al limite solo poche notazioni . “Autunno” dunque si compone di due parti : la prima descrittiva, la seconda di carattere psicologico il primo ha carattere descrittivo, il secondo comunica una condizione psicologica.
Gli aggettivi che umanizzano le manifestazioni della natura suggeriscono la corrispondenza tra stagioni e stati d’animo.
Lentezza e pause e cesure rese con parole lunghe come “torrenziali, indicibili, lungamente” e “Autunno//già” danno l’impressione appunto di un lento procedere che accelera solo nel ricordo del tempo della giovinezza. Un lento ma inesorabile trascorrere degli anni per l’uomo e per lo stesso autore che si porta dietro il ricordo della giovinezza proprio per scongiurare di cadere nel pessimismo e nella depressione pensando alla fine del proprio tempo e quindi della propria vicenda umana con la morte . La metafora dell’estate è la giovinezza, un periodo importante per l’autore che si trova nell’autunno, la vecchiaia.

Sera di Gavinana
Ecco la sera e spiove
sul toscano Appennino.
Con lo scender che fa le nubi a valle,
prese a lembi qua e là
come ragne fra gli alberi intricate,
si colorano i monti di viola.
Dolce vagare allora
per chi s’affanna il giorno
ed in se stesso, incredulo, si torce.
Viene dai borghi, qui sotto, in faccende,
un vociar lieto e folto in cui si sente
il giorno che declina
e il riposo imminente.
Vi si mischia il pulsare, il batter secco
ed alto del camion sullo stradone
bianco che varca i monti.
E tutto quanto a sera,
grilli, campane, fonti,
fa concerto e preghiera,
trema nell’aria sgombra.
Ma come più rifulge,
nell’ora che non ha un’altra luce ,
il manto dei tuoi fianchi ampi, Appennino.
Sui tuoi prati che salgono a gironi,
questo liquido verde, che rispunta
fra gl’inganni del sole ad ogni acquata,
al vento trascolora, e mi rapisce,
per l’inquieto cammino,
sì che teneramente fa star muta
l’anima vagabonda.
Il paesaggio rappresentato in Sera a Gavinana “è l’Appennino toscano, la terra di origine del poeta. Il tramonto in questo scorcio di paesaggio fa da padrone imbevendo gli occhi di chi guarda di una profusa luce che fa pensare al riposo Il viola delle nubi che offrono quasi un anticipo di pace si mescola alle voci e al rumore della strada con un camion che sale lo stradone di montagna, le campane che suonano a sera, le fontane e la natura che trema. Il poeta osserva il contorno dei monti, ricoperti di prati verdi , che nel momento in cui cala il sole, splendono e rifulgono più che in qualsiasi altro momento della giornata”. 

Sgelo è composta da 8 versi, mentre Autunno da 12, anche se in entrambe i versi sono liberi e non sono divisi in strofe. Nella prima sono presenti solo due verbi, quindi lo stile è nominale e anche paratattico, poiché i periodi sono semplici; nella seconda sono presenti più verbi, ma le frasi rimangono semplici, perciò ha solo uno stile paratattico. In entrambe, inoltre, il lessico è semplice. In entrambe le poesie il tema trattato è quello del ciclo delle stagioni, del mutamento e vengono descritti dei paesaggi.

 

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