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Le nuove stanze della poesia, Andrea Zanzotto

22 giugno 2023 | 10:13
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Le nuove stanze della poesia, Andrea Zanzotto

Andrea Zanzotto: un alchimista della parola. Ne parliamo con Valter Marcone nel consueto appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia.

Le poesie di Andrea Zanzotto nell’appuntamento con la rubrica settimanale “Le nuove stanze della poesia”, a cura di Valter Marcone.

Era nato a Pieve di Soligo ( Treviso) nel 1921 e solo due anni fa abbiamo celebrato il centenario della nascita. Un luogo quello del trevigiano dal quale Andrea Zanzotto, il poeta di cui voglio parlare in questa puntata di Le nuove stanze della poesia, non se ne è mai allontanato del tutto. Un territorio, una regione, un mondo che è stato fonte della ispiratore dei suoi versi in un paesaggio naturale con alternanza di foreste e di colline.. Luoghi e patria dei suoi versi , dei versi di un “ professore” di provincia, come amava definirsi che non ha lasciato solo raccolte di poesia ma studi e saggi , scritti teorici e prose, prodotti instancabilmente dagli anni Cinquanta alla data della sua morte nel 2011. Fu traduttore anche di autori come Honorè de Balzac, Georges Battaille, Michel Leris.

Una breve bibliografia, anche se a volte può essere noioso scorrere semplicemente l’elenco delle opere, come fosse l’elenco della spesa, è pur necessario qui riportare a conferma dell’impegno e del lavoro di questo poeta, critico, studioso, traduttore. Opere in poesia : Dietro il paesaggio (1951); Elegia e altri versi (1954); Vocativo (1957; 2a ed. ampliata 1981); IX Ecloghe (1962); La Beltà (1968); Gli sguardi, i fatti e senhal (1969, poi 1990); A che valse? (Versi 1938-1942), (1970); Pasque (1973); Filò (1976, con una lettera di F. Fellini, e una nota dell’autore; poi 1988); II Galateo in bosco (pref. di G. Contini, 1978); Fosfeni (1983); Idioma (1986); Meteo (1996); Ligonàs (1998). Le poesie e prose scelte sono state raccolte nei “Meridiani” (1999); ha fatto seguito Sovrimpressioni (2001). La sua prosa narrativa e critica è raccolta in Racconti e prose, intr. di C. Segre (1990; poi, con ampliamenti, 1995); Fantasie di avvicinamento. Le letture di un poeta (1991); Aure e disincanti del Novecento letterario (1994); Europa melograno di lingue (1995); infine Scritti sulla letteratura (2 voll., 2001). Meditazioni autobiografiche nella conversazione con F. Simongini, Il nido natale come una catacomba, in “Lingua e letteratura”, 14-15 (1990); autoritratti sono in “L’Approdo letterario”, 77-78 (1977) e in “L’Ateneo veneto”, 18 (1982); ed ora: Eterna riabilitazione da un trauma di cui s’ignora la natura (2007). Un impegno importante che in questa sede però non ci permette di parlare opera per opera che sarebbe comunque utile per una approfondita conoscenza delle sue idee, della sua poetica, delle sue idee , insomma di tutta quel mondo, come dicevamo in cui è vissuto e a cui ha dato vita.

Qui dunque voglio solo cercare di approfondire un tema quello dell’incontro nei suoi versi del paesaggio fisico e metafisico dei luoghi in cui è vissuto.
Anche se in generale, mutuando il giudizio dalla voce della Treccani a lui dedicata si può dire di Andrea Zanzotto che tutta la sua opera è ispirata da Mallarmè e da Artaud . Infatti “I due poli contrapposti della tradizione letteraria nel nostro Novecento” – Artaud e Mallarmé – indicati da Zanzotto . nella sua Testimonianza su Ungaretti (ora in Fantasie di avvicinamento) sono ben presenti anche nella sua propria poetica , nella sua lingua: da un lato l’impegno strenuo di Mallarmé a risolvere il mondo in scrittura, “a cancellare la propria corporeità spostandola tutta sul lato della dissoluzione del corporeo nel verbale”, a costo anche della “tautologia assoluta” o dell'”esplosione del testo”, come appunto nel Coup de dés; dall’altro la ‘matericità’ di Artaud, il testo come “spostamento, slogamento, lacerazioni di elementi corporei”: “ogni espressione, come tale, è sanguinolenta”.

E’ proprio in “Luoghi e paesaggi “un volume edito da Bompiani che vengono raccolti, come si legge sul sito dell’editore : “ ordinati e proposti in un insieme coerente gli scritti in prosa dedicati da Andrea Zanzotto al tema del paesaggio. Questi testi, inediti o da tempo irreperibili, permettono di seguire l’evoluzione dell’immaginario dell’autore attraverso cinquantanni di impegno letterario. La scrittura di Zanzotto racconta un”‘idea di paesaggio” in cui l’uomo e la natura interagiscono e si confrontano, nonostante l’impatto del primo sulla seconda si faccia sempre più invasivo. Ai luoghi reali della vita dell’autore, il grande Veneto che si estende dalle Dolomiti alle Lagune, si affiancano i paesaggi immaginati, viaggi compiuti o sognati in un’Europa sospesa tra lontananza e prossimità. Il ritratto dei luoghi si intreccia con quello dei personaggi che l’autore incontra e insegue nelle sue peregrinazioni, compagni di viaggio fidati e sorprendenti nella loro caratterizzazione umana e linguistica. Il risultato è un rapporto con il mondo che si completa nella scrittura, “vero luogo del nostro stare”, ricercato e difeso con la forza di una passione intima e civile, come solo la poesia può essere.”

Dietro il paesaggio
da “Dietro il paesaggio”
Nei luoghi chiusi dei monti
mi hanno raggiunto
mi hanno chiamato
toccandomi ai piedi.

Sulle orme incerte delle fontane
ho seguito da vicino
e senza distrarmi
le tenebre tenere del polo
ho veduto da vicino
le spoglie luminose
gli ornamenti perfettissimi
dei paesi dell’Austria.

Hanno fatto l’aria tutta fresca
di ciliegi e di meli nudi
hanno lasciato soltanto
che un piccolo albero crescesse
sua soglia della sua tristezza
hanno lasciato fuggire in un riverbero
un tiepido coniglio di pelo.

Per le estreme vie della terra caduta
assistito da giorni tardi e scarsi
discendo nel sole di brividi
che spira da tramontana.

I versi poetici di Zanzotto evocano la natura della “selva” della tradizione boscosa, una natura incontaminata senza l’impronta più nefasta dell’uomo, una giungla verbale, una terra desolata frammentata in infinite ere geologiche e sedimenti. Zanzotto è stato uno dei primi autori italiani a sentire la pressione del “megatempo”, il tempo grande, geologico e macrostorico che pulsa sotto le apparenze della cronaca e sotto la pelle di ciò che vediamo: dalla catastrofe climatica attuale, agli aspetti più negativi della globalizzazione.

Nel mio paese
da “Dietro il paesaggio”
Leggeri ormai sono i sogni,
da tutti amato
con essi io sto nel mio paese,
mi sento goloso di zucchero;
al di là della piazza e della salvia rossa
si ripara la pioggia
si sciolgono i rumori
ed il ridevole cordoglio
per cui temesti con tanta fantasia
questo errore del giorno
e il suo nero d’innocuo serpente

Del mio ritorno scintillano i vetri
ed i pomi di casa mia,
le colline sono per prime
al traguardo madido dei cieli,
tutta l’acqua d’oro è nel secchio
tutta la sabbia nel cortile
e fanno rime con le colline

Di porta in porta si grida all’amore
nella dolce devastazione
e il sole limpido sta chino
su un’altra pagina del vento.

L’impegno per la salvaguardia del patrimonio paesaggistico veneto ha particolarmente caratterizzato l’ultima fase della vita e dell’attività culturale del poeta. Sul sito del Comitato per la Tutela delle Grave di Ciano, costituitosi il 21 ottobre 2019, si può leggere un articolo di Egidio Bolzonello che approfondisce proprio la fedeltà al paesaggio dei versi e degli scritti di Zanzotto.
“Nell’aggressione scriteriata – quasi feroce – ad un paesaggio che fino a settant’anni fa era ancora quello dei quadri di Giorgione e di Cima da Conegliano, il poeta vedeva, con sconforto e avvilimento, il tragico compiersi di un demenziale processo di degrado naturale che inesorabilmente sta provocando anche degrado e destrutturazione dell’umano. Quella di Zanzotto è stata una straordinaria forma di “resistenza” a tale aggressione, alla “bruttezza che sembra quasi calata dall’esterno sopra un paesaggio particolarmente delicato”, allo sconsiderato “progresso scorsoio” che ha creato devastazioni anche in ambito sociologico e psicologico.”

In definitiva la sua è una costante e continua invocazione alla salvaguardia dell’ambiente . Di “Un paesaggio, cioè, che il poeta vorrebbe sottratto alla Storia e ai suoi errori-orrori, concepito come un luogo dell’anima, nel quale possa trovar posto, tra il frastuono e il furore dell’oscuro fluire degli eventi storici, il canto-incanto che scaturisce dalla contemplazione della natura, secondo una tradizione letteraria risalente almeno a Virgilio. Questa Arcadia poi sconvolta dalla guerra (successivamente dalla lebbra cementizia e ultimamente da ossessive piantumazioni bacchiche) anela a porsi come un “altrove” rispetto alla Storia e al suo farsi disumano.

Al di là è uno scherzo, è una poesia giocosa che parla di una contadinella descrivendola come una sorta di divinità campestre, nello stile che contraddistingue le prime opere di Zanzotto.

Al di là tu falci e componi
Le gentil somiglianze dei fiori
Al di là non è sazia
Mai la tua fame di bambina
Ed hai la mela e il ghiaccio vegetale,
là ti punge al polso la tua bussola
per indicarti la stella
ch’è il tuo vero gemello;
perché tu possa conoscere
colli piccoli come noci
per i tuoi denti giocosi,
soli come voli di vespe
e parole che suonano come monete;
e tu prepari al vento l’ora
delle più grandi altezze
delle più vivide seminagioni
delle tue visite che innamorano
È per te che la gioia dei paesi
Liberamente va imitando
I tuoi semplici atti;
e per te questa terra non è
che un mite minuto satellite
che ben sa dove si dirige.