Le nuove stanze della poesia, Un anniversario di Salvatore Quasimodo

Salvatore Quasimodo, il poeta dell’ermetismo, nell’appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia, a cura di Valter Marcone.
In questo mese di giugno e precisamente il 14 giugno scorso sono passati cinquantacinque anni dalla morte del premio Nobel Salvatore Quasimodo.Un poeta e un traduttore che rimane nella storia della letteratura di questo paese come un punto di riferimento importante.
Quasimodo fu infatti uno dei poeti dell’ermetismo, corrente letteraria a cui dette un contributo fondamentale. Un punto di riferimento non solo per la sua opera ma anche per la sua figura e la sua storia personale. Nonostante il Nobel, la grandezza di Salvatore Quasimodo è stata ed è ancora oggi al centro del dibattito letterario. Negli ultimi anni si è provato sempre più a riascoltare la sua voce, ricollocando la sua opera nella giusta dimensione. Le sue poesie sono state tradotte in ben quaranta lingue e vengono studiate in tutti i paesi del mondo.
Chi non ricorda infatti, complici i banchi di scuola, le poesie come “Ed è subito sera “
Ognuno sta solo sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
Tre soli versi liberi per esprimere, alcuni concetti chiave dell’esistenza e della condizione dell’uomo: la sua situazione di solitudine, la sua lotta per raggiungere una felicità fugace, il suo soccombere alla Morte. Tre versi folgoranti che restano nella loro nudezza e nella loro crudezza come un baluardo da leggere e rileggere per considerare e riconsiderare in ogni tempo la condizione umana. Appartenere a questi trge versi significa disvelare tutta la natura dell’essere umano in qualsiasi condizione ci si si trovi .Ognuno: è l’intera umanità, incapace di comunicare realmente e per questo destinata alla solitudine; solo: la condizione a cui è costretto l’uomo; sul cuore della terra: una metafora che spiega in maniera incisiva come quel “ognuno” sia convinto di essere il centro nevralgico dell’universo e delle cose terrestri; trafitto da un raggio di sole: la vita è un raggio di sole perchè la vita trafigge, scolvolge , accende , spegne ; ed è subito sera: la sera simboleggia la morte, che arriva in maniera fulminea, senza che ci si renda conto che la propria esistenza volge al termine.
Oppure poesie come “Uomo del mio tempo”
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Compare come ultima nella raccolta Giorno dopo giorno, pubblicata nel 1946. Il tema centrale è l’eterno ritorno della guerra nelle esistenze dell’uomo. La pace è solo un intervallo tra due guerre come la Storia ci ha dimostrato fino ad oggi. Guerre che malgrado siano combattute con mezzi sempre più sofisticati e tecnologicamente avanzati ( si pensi ai droni nella guerra tra Russia e Ucraina) dimostrano che comunque l’uomo è rimasto un primitivo . I versi di “Uomo del mio tempo” nascono anche dallo sconvolgimento interiore che l’autore sente davanti agli orrori della seconda guerra mondiale e diventano un monito per le nuove generazioni perché ciò che è accaduto non debba mai più ripetersi.
Uomo del mio tempo, non sei poi così diverso dal passato, da quando cacciavi con pietra e fionda. Ti ho visto, nella cabina di pilotaggio, con le ali cariche di bombe, r con le meridiane portatrici di morte, nel carro armato, al patibolo, alle forche e alle ruote di tortura. Ti ho visto: eri proprio tu. Tu col tuo credo e la tua scienza perfetti usati solo per distruggere, senza alcun tipo di coscienza o di religione. Hai ucciso ancora una volta,
così come fecero i tuoi antenati e gli animali che ti videro la prima volta. E questo sangue ha lo stesso odore di quello versato nel giorno in cui il fratello (Caino) disse all’altro fratello (Abele): “Andiamo ai campi”. E l’eco fredda di quell’inganno, resistente, è arrivata fino a te, nel tuo presente.
Giovani, dimenticate la terra ricoperta di sangue, dimenticate i padri: le loro tombe sono ormai abbandonate, disperse nella cenere dell’oblio, e gli uccelli neri e il vento oscurano il loro cuore.
L’immutabilità della natura umana,dunque, rimasta uguale a quella dell’uomo «della pietra e della fionda», fatta di istinti, di pulsioni, di sentimenti e di egoismo, è rimasta uguale fino a oggi, anche se la scienza ha fatto passi da giganti.
Nato a Modica (Ragusa) nel 1901, a causa delle professione del padre, capostazione, trascorre l’infanzia e l’adolescenza in vari paesi della Sicilia a causa degli spostamenti del padre. Conseguito il diploma di geometra ottiene un impiego al Genio civile. Ma la sua passione sono gli studi letterari e classici .Proprio questi studi gli permetteranno di contribuire alla traduzione di numerose liriche greche e di opere teatrali di Shakespeare e Moliere e in poesia di divenire uno degli esponenti di rilievo dell’ermetismo fino ad essere insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1956
Già al tempo del diploma , un giovanissimo Quasimodo sulla via della scrittura nonostante la sua iniziale formazione trova nel sodalizio con Giorgio La Pira e Salvatore Pugliatti, un legame che si porterà dietro poi per tutta la vita.
Nel 1926, per lavoro, a Reggio Calabria. Riprende in mano i suoi versi giovanili e con la complicità di Pugliatti mette assieme una prima bozza delle poesie di Acqua e terre, raccolta che verrà poi pubblicata nel 1930 a Firenze.
Dal 1931 Quasimodo inizia a stendere una seconda raccolta di poesie in Liguria, dove si è recato al Genio Civile. Con questa raccolta, Oboe sommerso, lo scrittore dichiara di aver dato il via all’ermetismo. Nel 1934 Quasimodo si trasferisce a Milano e riesce a trovare lavoro nel settore editoriale come segretario di Cesare Zavattini. Questi, più tardi, lo fa entrare nella redazione del settimanale “Il Tempo”. In questa fase della sua vita scrive Erato e Apollion, pubblicato poi nella stessa città nel 1936. Con questo scritto, che celebra Apollo e Ulisse, si conclude la fase ermetica delle sua poesia. Nel 1938 esce la sua prima raccolta antologica “ Poesie “ . Sono questi gli anni in cui Quasimodo scopre una certa affinità con i lirici greci (da Saffo ad Alceo, passando per Anacreonte). I versi di questi autori sono per lui delle luci sfolgoranti che percorrono la sua sensibilità e fanno si che che egli metta assieme alcuni aspetti della ricerca ermetica e alcuni aspetti dell’antica letteratura greca.
Dal 1940 si dedica poi all’insegnamento .Quasimodo è l’esponente più importante dell’ermetismo , il movimento poetico spontaneo e capillare che, solo col tempo, ha trovato una sua inquadratura stilistica, basata sul rovesciamento del decadentismo di D’Annunzio . Etica e estetica, in questa chiave, rivendicano la profonda libertà spirituale dell’uomo e la ricerca di una poesia pura, le cui parole si ribellano da qualsiasi imposizione esterna.
La produzione poetica di Quasimodo è caratterizzata da due fasi. La prima : l’adesione all’ermetismo ,quel movimento come detto che propugna la purezza lirica . In questo sua adesione paesaggio e natura sono le fonti di ispirazione .Si sente ancora l’influenza di D’Annunzio . La seconda: dopo la fine della seconda guerra mondiale la scrittura di tipo ermetico viene superata dalla necessità di concretezza e realismo, da cui prende il via un nuovo corso poetico, più accessibile e attento alla realtà sociale. Appartengono a questa seconda fase le raccolte : Giorno dopo giorno (1947); La vita non è sogno (1949); Il falso e vero verde (1956); La terra impareggiabile (1958); Dare e avere (ultima raccolta del 1966).
Un aspetto particolare della sua attività letteraria è l’impegno nella traduzione dei lirici greci . Le traduzioni di Quasimodo tendono a ricreare non solo l’atmosfera della composizione originale ma sono capaci , per l’attenzione che il traduttore mette all’aspetto comunicativo, di utilizzare l’aspetto filologico come strumento di analisi. Nascono così capolavori dal “valore aggiunto” che non rispettano pedissequamente il testo originale ma mirano ad una equivalenza funzionale anzicchè formale metrica. Per cui è difficile in queste traduzioni separare la poesia di Quasimodo dalla traduzione vera e propria diventando il tutto un unicum
Nel 1959 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura «per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi» che gli fece raggiungere una definitiva fama. Fu così preferito a Ungaretti e a Montale cosa che fu motivo di polemica. “A cominciare da Emilio Cecchi, di cui è famoso l’incipit dell’articolo ospitato dal Corriere della Sera («A caval donato non si guarda in bocca…»). Più feroce ancora è forse il commento di Luigi Russo, che tocca oltretutto una delle questioni oggi fondamentali nell’apprezzamento di Quasimodo, quando scrive, dopo aver messo in dubbio la competenza dei critici svedesi: «non si sa quello che di lui diranno i secoli, e se ne parleranno» (il corsivo è nostro). Lasciamo stare poi Ungaretti, toccato sul vivo, che in una famosa lettera a Jean Lescure lo qualificherà come perroquet (pappagallo) e clown capace solo d’imitazioni ed esercizi di retorica e, in altra occasione, con molta chiarezza lo descriverà come un «imbroglione sostenuto dall’Istituto di Cultura Italiana di Stoccolma, dall’ineffabile cretino Bo e da altri cretini internazionali» (là dove l’affondo coinvolge anche Carlo Bo, da sempre uno dei massimi estimatori dell’opera di Quasimodo).”
Nel 2015 la medaglia del Nobel è stata venduta dal figlio, per la prima volta nella storia del premio, durante un’asta della Bolaffi per 100.000€. Il Premio Nobel viene istituito Il 27 novembre del 1895 in seguito alle ultime volontà del chimico svedese e inventore della dinamite Alfred Nobel (1833-1896). Questo prestigiosissimo premio è riconosciuto in tutto il mondo e viene attribuito annualmente a persone che nel proprio campo di applicazione hanno apportato “considerevoli benefici all’umanità”.Dal 1901 a oggi, sono stati in tutto sei gli scrittori italiani che hanno vinto il Premio Nobel per la letteratura : Giosuè Carducci (1906), Grazia Deledda (1926), Luigi Pirandello (1934), Salvatore Quasimodo (1959), Eugenio Montale (1975) e Dario Fo (1997). Cinque uomini e una sola donna, che si sono distinti nel panorama della letteratura mondiale
Ma per tornare alla vita di Quasimodo voglio ricordare che “l’attività letteraria e la passione per i lirici greci – che traduce in un’antologia – aprono la strada all’insegnamento: nel 1941 Quasimodo ottiene la cattedra di letteratura italiana presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, dove insegna fino al 1968. Questo dualismo irrequieto si riflette nella sfera privata, caratterizzata dalla difficoltà di vivere l’amore in modo stabile e sereno. Durante il soggiorno a Roma convive con Bice Donetti, che sposa nel 1926. Lei morirà vent’anni più tardi, ma per il poeta non sarà l’unica relazione: il lavoro di geometra lo costringe a ripetuti trasferimenti, spesso allietati da incontri extraconiugali. A Imperia conosce Amelia Spezialetti, che nel 1935 darà alla luce la figlia Orietta. L’anno successivo inizia a frequentare la danzatrice Maria Clementina Cumani, da cui nel 1939 ha un figlio, Alessandro. La sposa nel 1948, due anni dopo la morte della prima moglie Bice, cui dedicherà il celebre Epitaffio.
Con gli occhi alla pioggia e agli elfi della notte,
è là, nel campo quindici a Musocco,
la donna emiliana da me amata
nel tempo triste della giovinezza.
Da poco fu giocata dalla morte
mentre guardava quieta il vento dell’autunno
scrollare i rami dei platani e le foglie
dalla grigia casa di periferia.
Il suo volto è ancora vivo di sorpresa,
come fu certo nell’infanzia, fulminato
per il mangiatore di fuoco alto sul carro.
O tu che passi, spinto da altri morti,
davanti alla fossa undici sessanta,
fermati un minuto a salutare
quella che non si dolse mai dell’uomo
che qui rimane, odiato, coi suoi versi,
uno come tanti, operaio di sogni.
– Epitaffio, Salvatore Quasimodo
Che cosa resta dunque dell’eredità di questo poeta oggi. Sicuramente poesie come quelle che trascrivo di seguito ma anche quello che lo stesso autore diceva sulla “poesia : “ «La posizione del poeta non può essere passiva nella società, egli modifica il mondo. Le sue immagini forti, quelle create battono sul cuore dell’uomo più che la filosofia e la storia. La poesia si trasforma in etica, proprio per la sua resa di bellezza: la sua responsabilità è in diretto rapporto con la sua perfezione […]. Un poeta è tale quando non rinuncia alla sua presenza in una data terra, in un tempo esatto, definito politicamente».
Ora che sale il giorno
Finita è la notte e la luna
si scioglie lenta nel sereno,
tramonta nei canali.
È così vivo settembre in questa terra
di pianura, i prati sono verdi
come nelle valli del sud a primavera.
Ho lasciato i compagni,
ho nascosto il cuore dentro le vecchi mura,
per restare solo a ricordarti.
Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre bette il piede dei cavalli!
Già la pioggia è con noi
Già la pioggia è con noi,
scuote l’aria silenziosa.
Le rondini sfiorano le acque spente
presso i laghetti lombardi,
volano come gabbiani sui piccoli pesci;
il fieno odora oltre i recinti degli orti.
Ancora un anno è bruciato,
senza un lamento, senza un grido