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Le nuove stanze della poesia, musica e poesia di Giorgio Caproni

6 luglio 2023 | 09:19
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Le nuove stanze della poesia, musica e poesia di Giorgio Caproni

Le poesie di Giorgio Caproni per l’appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.

In una precedente puntata di questa rubrica ho condiviso con il lettore alcune riflessioni sulla poesia di Giorgio Caproni con particolare riferimento alla sua predilezioni per la metafora e l’allegoria. Ho proposto la lettura di alcune poesie e le relative considerazioni . Voglio qui ancora parlare di Giorgio Caproni per l’intenso rapporto tra musica e poesia che pervade i suoi versi. Caproni è stato un poeta che , prediligendo alcuni luoghi, in particolare la sua Genova, ha vissuto in modo appartato ed è forse anche un poeta meno conosciuto tra quelli della fine dello scorso secolo. A Genova si era trasferito con i genitori all’età di dieci anni , era nato a Livorno nel 1912. In quella città frequentò le scuole e imparò a suonare il violino .

Proprio in riferimento a questa sua abilità nel suonare uno strumento e per lo studio che ne aveva fatto da giovane ebbe sempre una grande passione per la musica. Di questa passione voglio parlare dunque in questa puntata. La musica nella sua sensibilità che lo porterà a scrivere versi indimenticabili fa appunto il paio con la poesia e anzi ne costituisce una caratteristica preziosa. Fin dall’adolescenza aveva letto i poeti in cui trovava il fascino della parola insieme alla musica e aveva , con questa emozione nel cuore, deciso di scrivere poesie egli stesso.

L’armonia è il pregio dei suoi componimenti. Sono scritti quasi come una partitura musicale, con un particolare rilievo sonoro in cui prendono vita le descrizioni delle città in cui visse, in particolare Genova, Livorno e le strade periferiche di Roma, le amate figure femminili e il tema del viaggio, metafora della vita,. Sintesi e suggello di queste caratteristiche può essere la suggestiva poesia Congedo del viaggiatore cerimonioso da cui prende il titolo una sua raccolta di poesie del 1965. Una poesia che mi permetto di proporre al lettore, nella sua interezza alla fine di questa riflessione.

A studiare la storia della poesia del Novecento è possibile incontrare poeti giunti alla scrittura, ossia al verso, dopo aver fatto un percorso di formazione musicale che ha contribuito, influenzandoli ,alla loro ricerca in poesia e alla creazione di una serie di soluzioni personali e comunque originali in poesia.
Alla Biblioteca Berio di Genova si è tenuto per esempio nel 2020 un ciclo di incontro sui poeti del Novecento tra cui D’Annunzio, Saba, Ungaretti, Montale organizzato dalla Associazione Dante Alighieri, Comitato di Genova, dal titolo : “I grandi poeti italiani del ‘900 fra parole e musica. “Incontri nei quali è stato messo a fuoco il ruolo che ha avuto e ha ancora in Italia la poesia nel Novecento tra il progressivo distacco dei lettori dalla poesia, come si evince da alcune statistiche e altri dati e lo sviluppo di una sensibilità per il bello oggi difficile da trovare. Un progetto di lavoro che ha tentato di contrastare l’attuale deriva attraverso l’approfondimento dell’opera e del pensiero di importanti poeti del Novecento.
C’è da ricordare che in Italia nell’Ottocento si era creato un particolare rapporto tra musica e poesia, sia per l’affermarsi dell’opera lirica che diviene cardine essenziale per la diffusione della musica, sia per i legami tra musica e letteratura, che per la frequenza dell’immagine musicale nella poesia e nel romanzo ,sia per lo sviluppo di una critica musicale sempre più abbondante.
Voglio però qui parlare proprio della musica in poesia intesa come rapporto del verso con la composizione musicale: due strutture che si incontrano e a volte si fondono arrivando proprio a quella musicalità del verso che fa scomparire la parola ed apre la mente di chi legge all’armonia.
“La poesia e la musica si sono sempre date la mano come due muse, due sorelle che scendono nel mondo per avvolgerlo di bellezza, per cantarlo e consolarlo”. E’ questa la sintesi di uno studio del musicista e poeta Massimo Bubola, dal titolo “Sognai talmente forte” che parte da Omero per arrivare a Bob Dylan. Fin dall’inizio dei tempi poesia e musica si incontrano per esempio in Omero che canta, nel vero senso della parola , storie molto antiche. Opere raccontate con la voce,oralmente dunque , che successivamente hanno trovato una trasposizione scritta.
La maggior parte delle forme di poesia si richiamano alla musica, per esempio l’ode, che in greco vuol dire “canto”; la citarodia che è l’accompagnamento del canto in versi con la cetra; la lirica che ha la sua etimologia anch’essa legata all’antico strumento; il nomo, l’inno e poi nel nostro medioevo il sonetto, la canzone, la ballata.
Dunque per venire alla nostra contemporaneità ricordo ,ma di esempi se ne potrebbero fare molti per molti autori dell’intero panorama italiano ed europeo, che Les Feuilles mortes di Prevert , una bellissima poesia , fu musicata dopo vent’anni dal compositore Joseph Kosma, come le tante poesie di Rimbaud, Apollinaire,Queneau ,Valery, furono musicate nel tempo da altri e cantate per le vie e nei bistrot di Parigi.
Fino ad un classico ormai ,l’opera di Bob Dylan a cui è stato assegnato il premio Nobel appunto per la letteratura . Un’opera quella di Dylan che si inserisce nella grande letteratura americana del secondo novecento. Un affresco cantato attraverso le sue quattrocento composizioni tra canzoni e ballate, dagli inizi degli anni Sessanta ai nostri giorni. Dalle poesie di impegno civile a quelle lirico amorose; dal ritratto epico, all’onirismo surrealista; dalla rilettura del mito americano alla cronaca dell’attualità con instant songs, all’inno Knockin’ on Heaven’s door, alle visionarie A Hard Rain’s a gonna fall, No time to think, Changing of the Guards o la recente False prophet.
Per tornare a Giorgio Caprino va detto che uno degli aspetti più affascinanti, tra l’altro, di questo modo di intendere e quindi di fare poesia, è appunto lo sguardo intenso e vivificante che il poeta fa del linguaggio. La parola si accosta alla nota musicale e il linguaggio verbale si fa figura musicale , quasi una espressione matematica e geometrica che mette assieme proporzione e variabilità, che poi in definitiva sono specificità e meccanismi dell’arte musicale che predilige fortemente i silenzi, gli intervalli costitutivi e costruttivi. A volte il peso della lingua diventa più forte , più acuto con il suo carico di contingenza e significanze per la storia che le parole hanno alle loro spalle. Altre volte ,perduta la fiducia nella possibilità conoscitiva della parola e del suo ruolo di esplorazione, si arriva ad accettare, non del tutto pacificamente ,che la parola poetica, considerata come ontologicamente imperfetta, si espanda e si dissolva come ‘puro suono’. Mi sembra interessante riportare alcune parole dello stesso Caproni, tratte da un intervento risalente al 1986, in cui è possibile rinvenire il significato profondo di un percorso poetico e letterario vissuto all’insegna di una costante ‘nostalgia della musica’: «I miei studi cominciarono nel campo della musica, voglio dire i miei studi regolari, perché per tutto il resto sono un irregolare, e quando mi accorsi che verso la musica avevo una vera vocazione allora l’abbandonai e continuai a fare il ‘paroliere’. Penso però che la vera forma d’arte, di vero pensiero, sia la musica soltanto, la musica per me è la suprema espressione di pensiero, il pensiero senza la contaminazione della parola, pensiero puro. […] La musica va oltre la parola. […] Sono quindi un musicista mancato che fa il ‘paroliere’» . Il mondo ha bisogno di poeti. Interviste e auto commenti. 1948-1990, a cura di Melissa Rota, Firenze University Press, 2014.
Si sente in queste sue affermazioni una progressiva sfiducia del poeta nei confronti della parola. Ma allo stesso tempo si ricavano informazioni utili per interpretare correttamente la presenza costante di suggestioni di tipo musicale all’interno dei suoi versi , specie nei libri dell’ultimo periodo (Il muro della terra, Il franco cacciatore, Il conte di Kevenhüller), che offrono nella loro struttura la caratteristica di un “ libretto d’opera “ in cui i riferimenti continui alla dimensione musicale si infittiscono fino ad assumere e acquisire un carattere strutturale.
Ecco allora una poesia da Il franco cacciatore (1982) nel quale l’autore in modo chiarissimo esprime il suo scetticismo attraverso una vera e propria indagine metalinguistica , sul fatto che le parole possano rendere la realtà delle cose :
Le parole. Già.
Dissolvono l’oggetto.
Come la nebbia gli alberi,
il fiume: il traghetto.
Oppure il brano seguente (da Poesie disperse postume):
La mia ricerca è tutta
lume di candela. Duole
come nella mente duole
il muro delle parole.
O ancora come in Gastronomica, tratta da Res amissa (1991):
Le parole vive.
Le parole ardenti.
Le parole mute
rimaste tra i denti.
Daniela Baroncini in “Caproni e la musica” a proposito della scoperta della musica da parte del poeta scrive : “La vocazione musicale di Caproni si manifesta precocemente negli anni della prima giovinezza e si affina attraverso l’arduo studio del violino e l’esercizio della composizione. E sono anni di strenua educazione alla musica del latino e dei classici della poesia italiana, tra i quali Dante viene eletto come maestro di composizione anche musicale.
La scoperta della poesia appare legata all’apprendistato giovanile, in particolare agli esercizi di armonia e di composizione dei corali a quattro voci che il maestro Trovati gli assegnava. Poi i versi si sostituiscono spontaneamente alle parole attinte ai classici più piani e musicabili, come il Poliziano, il Tasso dei madrigali e il Rinuccini.
Lo studio dell’armonia e della composizione lascia un segno profondo nella sua poesia, evidente soprattutto nell’uso del ritmo e della rima, intesa come consonanza e dissonanza, e nel linguaggio ricco di cesure, di pause, di arresti repentini. All’alta qualità musicale della rima, strumento del canto, si unisce poi la musicalità della parola, la quale assume molteplici significati armonici. La composizione poetica trae la propria forza da questa musica interna al verso.Tale inclinazione alla musica domina infatti la parola, la struttura e la costruzione rigorosa dei libri di Caproni, il quale si sofferma sovente nei dialoghi e nelle interviste sul rapporto vitale che unisce la poesia e la musica.
Molti dunque sono i testi che richiamano il ritorno di elementi musicali .Tra gli esempi più celebri, in cui si riscontra un uso disinvolto di tecnicismi di origine musicale e un impiego metaforico della dimensione armonica, vi è un componimento de Il muro della terra (1975):

CADENZA
Tonica, terza, quinta,
settima diminuita.
Rimane così irrisolto
l’accordo della mia vita?
Con un esempio tipo librettistico da da Il conte di Kevenhüller

ARIETTA DI RIMPIANTO
(Per voce tenorile)

Entravo pieno d’allegria,
nel colmo della tempesta.
Il buio dell’osteria
era ardente. Lesta
ome sempre, al banco
appariva di fuoco
la mia bottiglia. Un gioco,
er me, mischiarmi al branco,
lasciata ogni malinconia.
La cantabilità che distingue i componimenti della prima stagione cede il posto alla musica scarna e spezzata delle ultime raccolte, scandite dal linguaggio tagliente di un’ironia metafisica che tende al Nulla. Tale evoluzione, pienamente compiuta in Res amissa, si annuncia già nel Franco cacciatore (1982) ispirato al capolavoro di Weber. In particolare la Poesia per l’Adele è legata all’adagio del Quintetto in do maggiore di Schubert, nel quale il poeta avvertiva la disperazione di una domanda senza risposta, mentre Träumerei riprende una delle Kinderszenen op. 15 per pianoforte di Schumann.
Musica e poesia dunque, un binomio per questo poeta che trova nei versi de il “ Congedo del viaggiatore cerimonioso” che trascrivo di seguito come ulteriore esempio di tutta quella musicalità che l’incontro tra appunto poesia e musica riescono a creare come in questa composizione .

Congedo del viaggiatore cerimonioso
Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.
Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi,
per l’ottima compagnia.
Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.
Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette,
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio) confidare.
(Scusate. È una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare.
Ecco. Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare.)
Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo – odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.
Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te, ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto se io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.
Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.
Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, sono certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.