I 200 anni del gigante di Acciano

11 luglio 2023 | 12:26
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I 200 anni del gigante di Acciano

Un grande abruzzese dal cuore d’oro: questa settimana con il periodico I Cinturelli parliamo del gigante di Acciano!

I Cinturelli – La rubrica settimanale del Capoluogo, il contributo di Alessia Ganga. Il bicentenario del gigante di Acciano: la leggenda, la storia e il mistero dello scheletro scomparso…

Acciano, 1820. Margherita tornava dal lavoro nei campi. Era stanca e il pancione pesava. Si fermò a riposare e cercare un po’ di frescura nella Chiesa dei SS. Pietro e Lorenzo. Lì scorse la figura imponente e protettiva di San Cristoforo e le venne spontaneo invocarne la benedizione sul bambino che portava in grembo, forse pronunciando perfino le parole: “Fa che sia grande e forte come te”. Questo narra la leggenda, cui seguì una delle vicende più straordinarie che abbia mai raggiunto i nostri monti e attraversato le nostre valli: la storia (vera!) del Gigante di Acciano.
Il 18 novembre Margherita diede alla luce un bel maschietto che suo marito Francesco registrò con il nome di Matteo Giuseppe Antonio. A tre anni Giuseppe era tanto alto da non reggersi in piedi e, crescendo a vista d’occhio, i vestiti gli stringevano tutti dopo poche settimane.
A 16 aveva già raggiunto l’altezza di 2 metri e la forza di 3 uomini, a 24 anni l’asticella salì fino ai 2 metri e 25 cm! Di andare a scuola non se ne parlava, la famiglia aveva bisogno di lui nei campi e lui crebbe così, grande e grosso, invidia e delizia dei suoi compaesani. Il suo biografo ufficiale, Silvio Di Giacomo, accianese doc, nel libro Giuseppe Catoni – Gigante di Acciano, (nuova edizione pubblicata nel 2020 in occasione del Bicentenario dall’Associazione Achillopoli), lo descrive così: “Fu un gigante vero, dal corpo armonioso, dai muscoli d’acciaio, dotato di una forza al di sopra di ogni essere umano, insomma un atleta grande che fece parlare le nostrane ed estere genti”.. Di andare all’estero Giuseppe a quei tempi però ancora non ci pensava, gli bastava uscire dai confini del Velino-Sirente, raggiungere Roma.

E, come si faceva una volta, partì a cercar fortuna. Potete immaginarvi lo stupore di chi lo incontrava lungo il cammino, lui, un Gigante, tra uomini che in quegli anni non superavano l’altezza media di 1,65? Ovviamente fu preda del Mangiafuoco di turno, tale Luigi Falconi che, nel suo passaggio
a L’Aquila, lo ingaggiò come attrazione a pagamento dandogli per la prima volta il nome di Gigante di Acciano. Sono appena venuto in possesso di un documento conservato nella Biblioteca Labronia di Livorno in cui un certo Feliciano Ducci, autore di cronache cittadine, narra del passaggio a Livorno nel 1844, al seguito di un gruppo di circensi, del nostro Gigante e lo descrive anche fisicamente come “non bello di viso, di carnagione scura, capelli neri, fisionomia volgare” e aggiunge “si chiamava Giuseppe Catonio e non parlava nemmeno italiano (…) poteva tenere nel palmo i polsi di 3 uomini”. Sembra inoltre che le donne rimanessero incantate dalla sua possenza…” Stanco di essere trattato come un fenomeno da baraccone, Giuseppe mandò al diavolo Falconi e riprese il suo viaggio, unendosi ai lavoratori delle vigne di Civitavecchia, detti gli “Scassati”2. E qui di nuovo la storia si tinge di leggenda: si narra che un giorno alcuni vignaioli sfidarono il nostro Gigante a sradicare con la sola forza delle braccia un mandorlo che si trovava nella vigna. “Se lo fai” gli dissero “ti diamo la nostra razione di maccheroni”.

Giuseppe non se lo fece ripetere: la paga era poca, la razione era scarsa e la sua fame era tanta. Non solo sradicò l’albero dalla terra ma se lo portò a spalla come un trofeo fino a Civitavecchia. L’eco di questa impresa passò di bocca in bocca e Giuseppe si trovò di nuovo ad essere ingaggiato da una compagnia di circensi prima di prendere la decisione di varcare il confine e raggiungere nientemeno che Parigi nelle vesti di lottatore invincibile. Senonché lui invincibile lo era davvero e quando gli fu proposto di truccare un incontro e far finta di andare al tappeto contro il più grande lottatore francese, Giuseppone da Acciano, dapprima accettò il denaro ma poi, in un impeto di orgoglio tutto abruzzese, si rialzò e fece volare il transalpino fuori dal ring! L’eco di questa ennesima impresa giunse alle orecchie del re di Francia, Luigi Filippo d’Orléans, che lo volle come guardaportone, una specie di buttafuori o buttadentro di corte, la cui statura doveva incutere terrore a qualunque scocciatore. Quando nel 1848 il re perse la corona durante i moti rivoluzionari il Gigante si prese la sua fidanzatina francese, la cameriera di corte, incassò il suo bel gruzzolo e partì per altre avventure un po’ in tutta Europa, esibendo la sua statura e i suoi muscoli di Acciano, fino ad arrivare alla corte di San Pietroburgo dove fu di nuovo assunto come guardaportone imperiale con uno stipendio favoloso. Ma Giuseppe era stanco di girovagare e aveva messo già da parte una discreta fortuna. Sempre seguito dalla sua bella francesina se ne volle tornare al suo paese, ad Acciano, dove nel 1854 (dicono gli atti notarili) acquistò un bel po’ di terra pagandola in franchi d’oro zecchino!

Ma l’aria dei monti non dovette però piacere molto alla ragazza parigina che di lì a poco se ne partì. Il Gigante allora, all’età di 40 anni, decise di prendere moglie e buoi del paese suo: nel 1860 comprò una casa di dieci vani in contrada Piazza e chiese in moglie nientemeno che Donna Agnese Camilli, di anni ventidue, figlia di Don Vincenzo e di Donna Rosaria dei baroni Pietropaoli.

Lui, il figlio di contadini rimasto analfabeta, si prese in moglie una nobildonna alla quale, in segno di affetto, restituì l’intera dote portata assegnandole 36 ducati ogni sei mesi di cui la donna poteva disporre liberamente. Un atto quasi “rivoluzionario” in quella realtà patriarcale ma che confermò Giuseppe come “uomo di mondo” dal cuore d’oro e con il senso degli affari: tutte le terre che comprò le diede in affitto ai compaesani che non l’avevano accontentandosi di una piccola rendita e riscuotendo gli interessi dei mutui che concedeva.
Un atto quasi “rivoluzionario” in quella realtà patriarcale ma che confermò Giuseppe come “uomo di mondo” dal cuore d’oro e con il senso degli affari: tutte le terre che comprò le diede in affitto ai compaesani che non l’avevano accontentandosi di una piccola rendita e riscuotendo gli interessi dei mutui che concedeva. Dal matrimonio con Agnese nacquero due figli maschi e quattro femmine, una grande famiglia che lo circondò di affetto e che fu chiamata a prendere, insieme a lui, ancor prima della sua dipartita da questo mondo, una strana decisione: a quale dei Paesi contendenti, Francia, Inghilterra o Italia, vendere le sue “spoglie mortali” da gigante per essere studiate dalla scienza interessata al fenomeno della macrosomia? La scelta cadde sull’Italia, non già per amor di Patria, ma perché l’offerta fu più lucrativa: ben cinquemila lire in contanti!
Quando, l’8 marzo 1890 il Giuseppe morì di una grave forma di polmonite, dunque, fu subito informato l’ospedale Policlinico Umberto I di Roma. Arrivarono ad Acciano i professoroni di Anatomia Umana che disposero l’immediato trasferimento della salma all’Ospedale Civile S. Salvatore de L’Aquila. Qui fu scarnificato ed il suo scheletro trasportato a Roma, nell’Istituto di Anatomia Umana Normale. Nella relazione del Dott. Michele Giuliani si legge che, dopo accurata analisi: «[…] fra gli scheletri dei giganti fino ad ora studiati, quello di Giuseppe Catoni occupa il decimo posto”. “Deve essere stato allora, alla sua morte, che qualcuno ha trascritto male il suo cognome e lo ha trasformato da Catonio in Catoni” dice Silvio Di Giacomo “tanto è vero che la targa che nel 1890 fu affissa in suo onore sulla casa, oggi ancora visibile, riporta questo nome…” Sembrava dunque che “il viaggio” del Gigante di Acciano fosse ormai finito senonché dai laboratori del Policlinico Umberto I lo scheletro sparì ed è a tutt’oggi introvabile! L’ultima testimonianza della sua presenza nell’istituto la fornì il Barone Ardis che riferì di averlo visto nel 1953. Ma chi e perché lo ha trafugato? Dove si trova oggi ciò che resta del Gigante che attraversò l’Europa seminando stupore? Qui dalla leggenda si passa al mistero, al “cold case” per usare un’espressione cara agli appassionati del genere. E infatti c’è chi non smette di cercarlo: “Noi abbiamo fatto di tutto pur di ritrovarlo” dice Di Giacomo “sono sicuro che il suo scheletro è ancora lì, da qualche parte…”
…E in attesa che il Gigante torni ancora una volta a casa, ad Acciano se ne celebra la memoria: Fabio Camilli, sindaco di paese, va molto orgoglioso, come tutta la sua comunità, della “statura” e della fama internazionale di questo compaesano “bicentenario” e insieme all’Associazione culturale “Achillopoli” ha presentato un progetto culturale incentrato sulla figura di Giuseppe Catoni che prevede anche il lancio del brand “Acciano, il paese del Gigante”. “Un modo per rafforzare l’attrattività della nostra comunità” dice “unendola anche alle nostre risorse naturalistiche, architettoniche, storiche e ambientali”. E come non dargli ragione?chi di noi, nelle nostre comunità che si svuotano, battute dal terremoto e ora dalla pandemia, non vorrebbe avere un Nume tutelare di quelle dimensioni e di quella forza. Qualcuno al quale poter dire, come ad un super eroe: “Gigante, pensaci tu!”

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 30 del periodico I Cinturelli, un progetto editoriale nato nel 2010 da un’idea di Dino Di Vincenzo e Paolo Blasini. I Cinturelli, disponibile online e cartaceo, racconta la storia, la cultura, le tradizioni e le leggende del territorio.