Paolo Borsellino, 31 anni fa la strage di via D’Amelio

19 luglio 2023 | 09:41
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Paolo Borsellino, 31 anni fa la strage di via D’Amelio

Strage via D’Amelio: 31 anni fa la mafia uccideva il giudice Paolo Borsellino e 5 uomini della scorta. “Non vogliamo onori fasulli”, le polemiche dei familiari nel giorno del ricordo.

Sono passati 31 anni: era il 19 luglio 1992 e il ricordo è ancora vivo in chi ha la memoria di quel giorno. Quel pomeriggio, in via D’Amelio, nel cuore di Palermo, circa due mesi dopo la strage di Capaci, avvenuta il 23 maggio e che costò la vita al giudice Giovanni Falcone, un altro attentato colpì il cuore di Palermo, della Sicilia e dell’Italia perbene: il magistrato Paolo Borsellino venne ucciso da una carica di tritolo, nascosta in una vecchia Fiat 500.

Il giudice Paolo Borsellino, insieme al collega Falcone combatteva la mafia e fu proprio la mafia ad armare quella strage: si era recato come di consueto in via Mariano D’Amelio, una strada stretta e senza uscita di Palermo, dove abitava la madre. Ad attendere il magistrato e i suoi 5 uomini della scorta, nascosti in una vecchia Fiat 126 rubata e parcheggiata nei pressi dell’abitazione, c’erano 50 chili di tritolo.

Il giudice arrivò come sempre e come tante volte scese dall’auto davanti al portone insieme ai suoi uomini e in quel momento, alle 16.58 del pomeriggio, a distanza venne azionato l’esplosivo. Una carneficina: oltre  al giudice morirono anche i cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina.

Il 24 luglio del 1992 si svolsero le esequie in forma privata a cui parteciparono circa 10.000 persone. La famiglia rifiutò i funerali di Stato, accusando il governo di non aver saputo proteggere il giudice dopo la morte de collega Falcone, anche perchè alcuni giorni prima dell’attentato, Borsellino aveva chiesto alla Questura di Palermo di far rimuovere le auto nella zona intorno alla casa della madre. Ma la sua richiesta non era stata accettata.

falcone e borsellino

Strage via D’Amelio: il processo

Il primo processo per la morte di Paolo Borsellino viene celebrato nel 1994. Alla sbarra, come esecutori materiali Vincenzo Scarantino, piccolo contrabbandiere della Guadagna che si era autoaccusato della strage, il boss Salvatore Profeta, Giuseppe Orofino, proprietario dell’officina in cui venne imbottita di tritolo la 126 usata come autobomba, e Pietro Scotto. In primo grado furono tutti condannati all’ergastolo mentre Scarantino, pentito e accusatore degli altri, a 18 anni. In appello l’ergastolo è stato confermato solo per Profeta, la condanna di Orofino è stata portata a 9 anni per favoreggiamento e Scotto è stato assolto. Confermati i 18 anni a Scarantino. Le condanne sono definitive. Il processo bis, nel quale erano imputati gli uomini della Cupola e i capi mandamento di Cosa nostra, si è concluso il 18 marzo del 2004 con 13 ergastoli. Il carcere a vita è stato confermato per Totò Riina, Salvatore Biondino, Pietro Aglieri, Giuseppe Graviano, Carlo Greco, Gaetano Scotto, Francesco Tagliavia. Ergastolo anche per Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino, Lorenzo Tinnirello, Giuseppe Urso e Gaetano Murana che in primo grado erano stati invece assolti. La sentenza è diventata definitiva, ma il pentimento del capomafia Gaspare Spatuzza, che ha denunciato il depistaggio delle prime indagini commesso alle false accuse di Scarantino, ha determinato la sospensione delle pene per Profeta, Scotto, Vernengo, Gambino, La Mattina, Urso e Murana, ingiustamente accusati. Le loro condanne sono state annullate al termine del giudizio di revisione celebrato a Catania. Il processo Borsellino ter si è concluso, invece, nel 2006, dopo che la Cassazione aveva parzialmente annullato la sentenza del 2003 della Corte d’Assise d’appello di Caltanissetta trasferendo il fascicolo a Catania. Inflitte condanne a vita a Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michelangelo La Barbera, Raffaele e Domenico Ganci, Francesco e Giuseppe Madonia, Giuseppe e Salvatore Montalto, Filippo Graviano, Cristoforo Cannella, Salvatore Biondo il ”corto” e Salvatore Biondo il ”lungo”, Giuseppe Farinella, Salvatore Buscemi, Benedetto ”Nitto” Santapaola, Mariano Agate, Benedetto Spera. I due collaboratori di giustizia Antonino Giuffrè e Stefano Ganci sono stati condannati rispettivamente a 20 e 26 anni di reclusione.

In una intervista rilasciata all’inizio del luglio 1992, Borsellino aveva dichiarato:“Io accetto la… ho sempre accettato il… più che il rischio, la… condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. Il… la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in… in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare… dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro”.

Strage via D’Amelio: gli eventi a Palermo e le polemiche dei familiari

31 anni dopo Palermo si ferma e, in questi giorni, sono diverse le manifestazioni organizzate in ricordo del giudice Borsellino. Celebrazioni che però non vengono viste di buon occhio dai familiari del giudice “Non vogliamo che ci siano avvoltoi in via D’Amelio, ipocriti che portino corone e onori fasulli”. Così, Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso dalla mafia e animatore del movimento delle agende rosse, rinfocola le polemiche.  “Ho giurato – spiega Borsellino – che non avrei più permesso simboli di morte laddove c’è l’Albero della pace voluto da mia madre e dove intendo realizzare un Giardino della pace”. “Le esternazioni del ministro Nordio – aggiunge il fratello del magistrato ucciso -, al di là del loro esito, hanno mostrato la volontà di demolire la legislazione pensata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per dare gli strumenti necessari a combattere la criminalità organizzata. Non deve essere consentito”.

In occasione dell’anniversario della strage si svolgeranno due manifestazioni, una organizzata dal cartello di associazioni e movimenti, comprese le Agende rosse, che ha promosso un corteo all’insegna dello slogan “Basta Stato Mafia”, dall’albero Falcone a Via D’Amelio, l’altra sarà la tradizionale fiaccolata promossa ogni anno dalla destra. Il premier Giorgia Meloni ha fatto sapere che sarà a Palermo per ricordare il giudice.

Mercoledì 19 luglio, via D’Amelio al mattino sarà “colorata” dai bambini della città. Alle 14,30 prenderà il via il corteo (si parte dall’ Albero Falcone in Via Notarbartolo) “Basta Stato Mafia” organizzato da Our Voice, Attivamente, Officina del Popolo, Sindacati Studenteschi “Regina Margherita” e “Kiyohara Parlatore”, Collettivi studenteschi “Rutelli” e “Fa.Se”, Cgil, Arci, Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, Associazione Radio Aut, Sunia, USB, Voci nel silenzio. Alle 15, davanti all’albero della pace, lì dove Borsellino e la scorta vennero ammazzati interverranno i parenti degli agenti che difendevano il magistrato e Antonio Vullo, l’unico sopravvissuto alla strage. Alle 16,50 il minuto di silenzio preceduto dalle parole del fratello Salvatore e seguito dalla lettura della poesia “Giudice Paolo” di Marilena Monti e dalla rappresentazione del gruppo “Teatro dell’anima” del Convitto nazionale “Giovanni Falcone” di Palermo in collaborazione con la Rete Antimafia. Alle 17.15, sempre in via D’Amelio, interverranno Stefano Mormile, presidente dell’ associazione Familiari vittime della Falange Armata; Sonia Zanotti dell’associazione Familiari strage stazione Bologna, Scarpinato, l’avvocato Fabio Repici. In serata alle 20 la fiaccolata del “Forum 19 luglio” con partenza da piazza Vittorio Veneto e alle 21.45 Via D’Amelio “Un viaggio simbolico in un mare di guai, tra mafia, P2 e falange armata…” a cura del Centro Giovani di Cornaredo (Milano).