Cultura

Tutti i Santi giorni, 7 agosto: oggi è San Donato d’Arezzo

La rubrica "Tutti i Santi giorni" del 7 agosto: San Donato d'Arezzo, patrono di Celenza sul Trigno.

La rubrica “Tutti i Santi giorni” del 7 agosto: San Donato d’Arezzo, patrono di Celenza sul Trigno.

Il 7 agosto si ricorda San Donato d’Arezzo. Della vita del Santo si ha conoscenza da un’antica ‘Passio’ scritta secondo la tradizione da Severino vescovo, suo successore alla cattedra vescovile di Arezzo. Il testo raccoglie notizie certe ma anche altre che nel tempo sono state confutate dagli stessi agiografi, poiché non rispondenti alle date storiche collegate ad alcuni personaggi presenti. La stessa morte per mezzo del martirio sarebbe incerta, visto che in tanti antichi documenti San Donato è menzionato come “episcopi et confessoris”, e già a partire dal IV secolo il termine “confessore” assunse il significato attuale e non quello di martire. Donato nacque a Nicomedia e ancora fanciullo si trasferì a Roma con la famiglia, dove fu educato da Pimenio e fatto chierico. Suo compagno di studi e di formazione religiosa fu Giuliano che, divenuto inseguito imperatore ed apostata, promulgò una nuova persecuzione contro la Chiesa, prima interdicendo i cristiani dall’insegnamento nelle scuole, dalle cariche pubbliche e dalla carriera militare e poi, nel 362, con vere e proprie azioni di violenza, che costarono la vita, tra gli altri, anche ai suoi genitori e al prete Pimenio. Per trarsi in salvo Donato fuggì ad Arezzo accolto dal monaco Ilariano a cui si affiancò nell’apostolato, operando tra il popolo prodigi e conversioni. La ‘passio’ racconta di numerosi miracoli: resuscitò una donna di nome Eufrosina che aveva in custodia una ingente somma di denaro, ma che con la sua improvvisa morte non si trovava più; ridonò la vista ad una povera cieca di nome Siriana; liberò dal demonio il figlio del prefetto di Arezzo, Asterio. Ordinato diacono e sacerdote dal vescovo Satiro, proseguì la sua opera di evangelizzazione in città e nelle campagne circostanti, finché alla morte del metropolita, fu scelto a succedergli da papa Giulio I. Il miracolo per il quale San Donato viene maggiormente ricordato è quello del calice, che divenne il suo attributo iconografico. Un giorno, dicendo messa, nel momento della consacrazione del vino, un numeroso gruppo di pagani entrò in chiesa e rovesciò il calice che andò in frantumi; San Donato ne raccolse i resti, li mise nel corporale e il calice si ricompose quasi totalmente, tranne che per un frammento proprio alla base della coppa. Il Santo proseguì la funzione versandovi il vino che rimase prodigiosamente al suo interno, cosa che spinse i pagani a credere e a convertirsi. Tuttavia, il clima di terrore giunse ben presto in città: il prefetto di Arezzo, Quadraziano, fece arrestare sia Ilariano che Donato, uccisi poi il primo ad Ostia il 16 luglio, il secondo decapitato ad Arezzo il 7 agosto del 362. Il vescovo Gelasio, suo successore, fece costruire una “memoria” sul luogo della sua tomba, nel colle del Pionta, dove inseguito fu edificata la prima cattedrale di Arezzo. Il corpo del Santo è conservato nell’arca di San Donato, capolavoro della scultura trecentesca, mentre la reliquia della testa è custodita in un prezioso reliquiario anch’esso trecentesco nella Pieve di Arezzo. È considerato protettore degli epilettici, sia perché gli è attribuita la guarigione miracolosa di un bambino da questa malattia, sia per aver subito la morte per mezzo della decollazione. Dal punto di vista iconografico, San Donato è rappresentato in abiti vescovili, con la mitria, il piviale e il baculo pastorale; tra gli attributi sono il calice di vetro, a ricordo del miracolo citato, e il drago da lui combattuto vittoriosamente.

Celenza sul Trigno rappresenta il fulcro della devozione del santo aretino nella provincia di Chieti, dove giunse probabilmente per opera dei Longobardi, la cui presenza in queste terre è documentata già dal VII-VIII secolo e testimoniata ancora oggi dai toponimi ‘Fara’ e ‘Torre della Fara’. Sulla cappella originaria, riconducibile al VII – VIII secolo, è stato edificato nel 1598 l’attuale santuario, con l’annesso convento francescano, divenuto ben presto centro nevralgico del culto per tutta l’area del Medio e Alto Vastese. La fama del Santo taumaturgo e la profonda devozione che lega i pellegrini alla sua figura, è evidenziata dalla presenza, nei vani all’ingresso della chiesa, di oggetti di antichi rituali e di numerosi ex-voto rappresentati da foto, lettere, abiti da sposa, indumenti. In un’urna è custodito un bambino in cera, avvolto in fasce, sul quale si raccontano diverse storie tramandate di generazione in generazione. La versione più comune narra che una giovane sposa pugliese, colpita da sterilità, chiese a San Donato la gioia della maternità anche solo per alcuni giorni; ottenuta la grazia, il bambino dopo poco morì. La donna ne fece imbalsamare il corpo e lo donò al Santo, per recarsi ogni anno, il 7 agosto, in chiesa per sfasciare il bambino, lavarlo e rivestirlo. Un altro oggetto che cattura l’attenzione è una grande bilancia di legno: fino ad alcuni fa veniva usata per la ‘pesatura‘ dei malati, generalmente fanciulli, che venivano adagiati su uno dei due piatti, mentre nell’altro veniva posta dai familiari una quantità di grano pari al loro peso. La pesatura rituale con offerte è documentata in Occidente sin dagli inizi del medioevo e solo col tempo venne accostata alla funzione antiepilettica per il forte simbolismo della bilancia, in rimando all’equilibrio tra corpo e mente. Un’altra pratica devozionale era la ‘svestizione’: i malati di epilessia venivano spogliati e rivestiti di nuovi panni davanti al Santo nel duplice significato di liberazione dal male fisico e da quello spirituale del peccato. Curiosità: la statua di San Donato ha il volto nero. Si narra che durante la trebbiatura, divampò un violento incendio che cominciò a bruciare tutti i covoni di grano. Disperati, gli abitanti di Celenza sul Trigno presero il simulacro del Santo e lo posero davanti alle fiamme, che miracolosamente cessarono. Tuttavia, il viso della statua bruciò e per quanto furono chiamati diversi pittori per ridare il colore al legno combusto, la statua continuò a tornare nera e così e rimasta sino a oggi.

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