Le nuove stanze della poesia: Sotto falso nome, Stefano Simoncelli

Le poesie di Stefano Simoncelli per l’appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.
Era l’alba da qualche attimo/ quando sei ritornata a casa/ sedendoti sulla poltrona/ che era di tuo padre, in veranda,/ a guardare la pioggia che picchiava/ senza compassione l’erba del giardino./ «Sei venuta a riprendere il tailleur/ azzurro delle nozze?» ho chiesto/ porgendoti una tazza di caffè/ appena fatto. …«No, preferisco/ l’abito bianco della cresima,/ più elegante e luminoso»/ hai risposto continuando/ a guardare la pioggia/ e senza bere il caffè./ «Eri magica nella foto/ in quella chiesa di Milano»/ ho detto cercando di sfiorarti/ non so se la mano o la fronte./ «Grazie» mi hai sussurrato/ alzandoti e scomparendo/ molto al di là della pioggia.
Nel suo ultimo libro “ Sotto falso nome” Stefano Simoncelli ( Cesenatico 6 gennaio 1950) ci porta per mano in un mondo di ricordi in cui la la “feroce grazia delle poesie di abbandono” sono un vero e proprio album di immagini,: i poeti conosciuti e amati, il padre, la madre, e soprattutto la compagna di una vita, morta ma presenza costante, là, che lo attende, che dà un senso all’esistenza anche nella sua assenza.
Questo essere “ sotto falso nome” la dice tutta rispetto ad uno sforzo in cui il poeta tenta di annullare la sua identità per restituirci solo il mondo degli altri, di quelle persone che gli sono state vicine . Ce le restituisce con un candore , un nitore veramente unico perchè uniche sono quelle persone, quei ricordi, i giorni della sua vita con loro, insomma un mondo scomparso che bisogna continuare a far vivere non solo dentro il cuore e la mente ma anche in tutte quelle espressioni della vita quotidiana che impongono spesso ai “sopravvissuti” il coraggio di tirare avanti anche se il lutto è inconsolabile e le ossessioni del passato e del presente non danno tregua .
“La memoria affievolita, la forza del ricordo, la stessa riduzione dell’io senza anagrafe a favore della narrazione dell’altro/altra non è un gioco delle parti, anzi, è il modo con cui Simoncelli mette in gioco l’amore, terreno e sacro, mondano e possibile, irrinunciabile.”
Stefano Simoncelli è stato uno dei fondatori della rivista Sul Porto, giornale di letteratura e politica che negli anni ’70 pubblicava contributi di poeti come Pasolini, Bertolucci, Caproni, Sereni, Fortini, Raboni e Giudici.
Tra le sue opere vanno ricordate le sillogi Giocavo all’ala (Pequod, 2004), Terza copia del gelo (Italic, 2011), Hotel degli introvabili (Italic, 2014), Prove del diluvio (Italic, 2017), Residence cielo (Pequod, 2018), Un barelliere del turno di notte (Pequod, 2021) e Sotto falso nome (Pequod, 2022) grazie al quale è entrato nella cinquina finalista del Premio Strega Poesia 2023.
Clery Celeste scrive su Pangea Rivista avventuriera di cultura & idee :”Mi dice che questo è l’ultimo, “giuro, è l’ultimo libro che scrivo. Una sorta di testamento”. Gli ho sorriso. Come faccio a credere che Stefano Simoncelli smetta di scrivere, lui che per me è un essere umano (o forse una figura fantastica?) che è scrittura stessa? Anche nel suo lungo periodo di silenzio – durato quasi quindici anni – ha finto di stare zitto, ha finto di essersi dimenticato della poesia. La parola invece si è accumulata in lui, goccia dopo goccia, si è sedimentata fino a un giorno magico in cui la misura era colma e ha traboccato. Lo conosco dal 2012 e gli ho visto inseguire parole e fantasmi, nuotare e cavalcare onde immense di suoni e immagini. Ecco perché ho sorriso, come fa a dirmi “è l’ultimo”? Poi ho letto questo suo libro “Sotto falso nome “ sempre per la fedelissima Pequod, che esce nelle librerie proprio in questi giorni. “
In un’altra raccolta “ A beneficio degli assenti “ Simoncelli scrive: “Raccontano che le volpi prima di morire guardino verso la collina o il bosco dove sono nate. Non so se sia vero, ma mi piace crederlo ed è quello che provo a fare ogni volta che prendo in mano la matita, il quaderno rigorosamente a quadretti e comincio a scrivere”. D’altronde, qui, convocati, ci sono Sergej Esenin (“e sembro una betulla di Esenin tanto ero pallido/ e magro”), “i colombi che hanno visto volare Hrabal”, il luogo “dove si è suicidato lo scrittore Romain Gary con un colpo di pistola alla testa” (“Si svegliava, si lavava con cura,/ si spalmava la brillantina nei capelli/ e via, a infrangere un’altra volta le leggi// immodificabili dello spazio e del tempo./ Ancora non so se sia morto davvero/ o sia al piano di sopra che dorme”).
E’ una specie di diario “Sotto falso nome “che racconta così le assenze, i sentimenti, i crucci,la quotidianità:
Ho preso appunti con la matita
su una tua camicetta azzurra
cui mancano due bottoni.
Forse li avevo strappati
in uno dei miei impeti
non so se d’amore o rabbia
e ho tirato un’altra volta l’alba
in un punto che non ha ritorno.
Mi trovo ancora lì e ti aspetto.
Cesenatico, 29 marzo 2021
*
Che cosa posso dirti che tu non sappia?
Niente, se non crepacuore e brividi
nell’estate più lunga di sempre,
torrida, irrespirabile, piena di gente
che prende d’assalto i caffè e i ristoranti
dove non trovo mai un tavolo a cui sedermi.
Sai che cosa succede in questi tempi difficili
e come sia sempre fuori posto o assediato.
È diventato un porto terminale questo
dove non partono barche per la pesca,
ma arrivano burrasche o acque alte
e io che qui ho imparato la lingua
morta degli addii mi sento come una vela
assetata di vento in una bonaccia bianca.
Cesenatico, senza data
*
È come se guardassi gli anni
dietro un vetro smerigliato,
opaco o rigato di pioggia,
sempre più indistinguibili, confusi,
ma è rimasta intatta nella mia memoria
ogni giorno più provvisoria, la tua comparsa
nella vestaglia di seta viola aperta sulle gambe
slanciate, eleganti, le caviglie impareggiabili,
mentre salivi le ripide scale di questa casa
a due piani («da vecchi la malediremo»
imprecavi) per venirmi a trovare.
È questa la scena che rivedo
nelle insonni notti solitarie.
Cesenatico, 12 agosto 2021
*
Mi fa visita a volte la paura
di non arrivare alla porta
e chiamare qualcuno
che mi venga in soccorso qui
dove anche le ombre sono scomparse
dietro alla tua sui muri che si sbrecciano
e nella tenacia con cui mi perdo su piste
sbagliate, in percorsi pieni di nebbia
che finiscono in mare e labirinti
come quello prima dell’alba
tra invalicabili pareti di mais
dove, a ogni curva, respiravo
il tuo profumo buono, caldo,
leggero, che mi precedeva
e guidava verso l’uscita
che non potevo vedere,
ma prendevo d’infilata
come un colpo di vento
mentre la paura svaniva.
Sala, frazione di Cesenatico,
30 settembre 2021
*
Le prime luci dell’alba sul canale,
figure audaci, contegni ambigui
e inutili rincorse soffocanti
ai confini dei vicoli ciechi
fino alla nostra porta spalancata.
Sono anni che faccio tutto il possibile
per tenerti qualche momento in vita,
ma non è abbastanza. La verità è
che ormai non basta più niente
e scelgo sempre il modo peggiore,
il più frenetico o paralizzante,
per non trovare mai pace.
Cesenatico, 4 ottobre 2021
Scrive Davide Rondoni su rivistaclandestino.com : “C’è una feroce grazia, una persistente misura di grazia nelle poesie di sconforto, di abbandono che Stefano Simoncelli ci offre nel suo recente ultimo libro, “Sotto falso nome” (Pequod). Il poeta solo e invecchiante butta lì i suoi racconti in versi, narra di albe rattrappite, di muri soffocanti, di sogni ingannevoli, di nostalgie che azzannano, di apparizioni ingannevoli, di segni… Sono racconti, per fotogrammi, di un tempo svuotato – sì certo ancora certi guizzi, specie della memoria, gli omaggi (al purtroppo interista Sereni), i ricordi vividi e allucinati del padre, della madre, le terribili somiglianze in cui si inoltra… La morte dell’amata ha svuotato non solo la casa, ma anche il tempo. Eppure il poeta che dice di non credere più a niente, a nessuno, parlare deve, quasi suo malgrado, ancora dire, e scrivere “attorcigliato” su se stesso, ma deve. E lo fa con grazia, oscillando tra quella del rimbambito, dello sperduto e quella, quasi bambinesca, di chi ripete che non sa dove sta andando. Cioè lo sa benissimo, ma ecco, in realtà non lo sa. Sa che lei è là, lo attende. Di questo non dubita, con grazia e ferocia. Il canto dimesso dello svuotamento si fa, talora, tensione dell’attesa, tremore della soglia. Così questo libro che si apre nel segno della volontà di sparizione diviene paradossalmente segno della infinita presenza di lei, e attesa. Libero da obblighi (gira, fuma, ricorda anche se non dovrebbe) immerso in luoghi colti quasi sempre senza luce – Cesena, Cesenatico che pur sono così luminosi, ma lo sguardo è annebbiato dalla perdita – libero dunque da obblighi, finanche quelli verso la poesia, Simoncelli che si sente sotto falso nome, come se appunto pure il nome noto e ammirato del poeta fosse alle spalle, offre una voce nuda, implacabile. E però con grazia. Non solo nella tessitura, nelle sospensioni, nel lessico mai sbavato, insomma nello stile, ma una grazia per così dire interiore, una spoliazione.
La realtà intera – i dettagli, le memorie, i luoghi – assume in questa dinamica, per contrasto, un rilievo assoluto. Già era questa, nella lunga storia della poesia di Simoncelli, una specifica caratteristica, ovvero la poesia come rilievo del mondo, e non suo velame o abbellimento. Ma qui, se si può dire, si arriva a un grado di nitore, di efficacia notevolissima. Che sia un “aprile senza remissione” o le “pastiglie al tamarindo” del padre, o un tram (quasi caproniano) da cui la figura amata scende, gli elementi chiamati nella poesia di Simoncelli ricevono una speciale misura di presenza. Quale è la forza che ottiene tutto questo? La ossessione del lutto senza rimedio? Certo, anche questa forza concorre. Ma credo che innanzitutto sia la strana forza che c’è in gioco quando c’è in gioco l’amore: la diminuzione dell’io, e la percezione che il mondo, se è qualcosa, è la scena per una figura amata. In questa doppia trasformazione, la scena su cui diminuisce l’io diviene la scena per la evenienza del “tu”, si realizza in modo radicale la forza d’amore. Quella che, anche “sotto falso nome”, dà alle cose il vero rilievo, il rilievo “sacro”. L’essere sulla soglia tra conoscenza e altro.”
Ma ecco ancora l’abbandono ai ricordi da parte di Stefano Simoncelli in “Hotel degli introvabili “:
Per alcuni anni, prima di addormentarmi
ho sperato sarebbe venuto a prendermi
come davanti al portone della scuola
quando gli consegnavo la cartella
e m’aggrappavo al suo braccio.
Sarebbe stato là, sul marciapiede,
m’illudevo, distante da tutti e fumando,
ma niente, nemmeno la brace della sigaretta
a luccicare nel buio dove lo immaginavo.
Poi in un’alba livida e piena di vento,
quando ormai non ci contavo più,
si è aperta e richiusa la porta dove dormivo
e l’ho visto: era lì, ai piedi del letto,
che mi aspettava fumando.
Hotel degli introvabili (Italic, 2014)
Ricordi, storie di vita, emozioni insomma il mondo di Stefano Simoncelli.