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Le nuove stanze della poesia, Le campane di Silvia Bre

25 agosto 2023 | 09:33
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Le nuove stanze della poesia, Le campane di Silvia Bre

Le poesie di Silvia Bre per l’appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.

“Dopo oltre settant’anni dalla sua nascita – commenta Giovanni Solimine, presidente della Fondazione Maria e Goffredo Bellonci – il Premio Strega, divenuto frattanto il più ambito e prestigioso riconoscimento letterario italiano, cui si sono aggiunte negli ultimi decenni altre manifestazioni dedicate alla letteratura europea, alla produzione editoriale per l’infanzia e l’adolescenza, ha deciso di misurarsi con quella che è forse la forma di più elevata della creazione artistica in ambito letterario.  Nasce il Premio Strega Poesia e la cinquina dei finalisti inizia al Salone di Torino il lungo viaggio che si concluderà in autunno con la proclamazione del primo vincitore”.
Qualche settimana fa è stata annunciata la cinquina finalista della prima edizione. Tra questi c’è Silvia Bre, con la sua silloge La campane pubblicata da Einaudi. Gli altri finalisti sono:Umberto Fiori, Autoritratto automatico, Garzanti;Vivian Lamarque, L’amore da vecchia, Mondadori ;Stefano Simoncelli,Sotto falso nome, Pequod; Christian Sinicco, Ballate di Lagosta, Donzelli

Sul sito della casa editrice si legge : “Nella vita – dice una poesia di questa raccolta – siamo attirati da distanze che ci chiamano, che non vediamo e non conosciamo, come da un suono di campane lontane. È un suono remoto, misterioso, un battito originario, nei cui rintocchi la parola poetica nasce e ritorna, ogni volta, per dissolversi. Nelle campane – nella poesia – Silvia Bre cerca di cogliere ritmi che scorrono sotterranei alla vita ma che della vita, non solo individuale, sono la linfa nascosta. A volte è necessario un salto mortale, della percezione e della grammatica. Ma più spesso questa lingua poetica si affina per concentrazione, per elisione, per cancellazione di tutto ciò che è superfluo, nella tensione verso l’origine delle cose, nell’attenzione per i nessi che le legano, per l’attimo di senso quando si dilata e sembra eterno. Le campane non possono non avere anche un aspetto mortuario, commemorativo. E infatti, verso la fine della raccolta, le note assumono un tono quasi cimiteriale e il lessico si infoltisce di «polvere», di «scheletri», di «tenebre». Come se la vibrazione delle campane precedesse e oltrepassasse il rintocco della vita, e rivelasse infine un mistero siderale, l’annuncio di una «lingua celeste dello sparire».

La luce di qualche verità
qui è eclissi
gli sguardi le cantano il buio.
Anche la grammatica fa
il suo salto mortale
e non lo sbaglia e muore.

C’è una forza che tiene e ha una forza
che tira avanti come un animale
non chiede niente e si prolunga buia
nel suo buio venire in mezzo al mondo
travolge tutto dalle sue radici
via dalla memoria di qualcuno
puntando oltre, verso più nessuno
averla dentro leva da se stessi
come va via da te quello che dici.
*
In questo sonno raccolgo la mia polvere
se la mano distesa ancora manca
di franare nell’unica quiete
e la parola innata non significa
ma scendo sempre ancora
nel quieto darsi a lei del mio pensare,
mentre dormo la vita ancora sogno
la quiete che mi accerchia e sta sospesa.
*
Questo diventi, mia acuta differenza
spartita dalle correnti d’aria, squilibrio
rincorsa, tuoni di nostalgia in un suono perso
che si fa dilaniare a ogni rimbombo.
Ma io resisto, ti sto murando col gesto del vento
ti tengo ferma via da me
ti impongo all’universo.
(Silvia Bre, “Le campane”, Einaudi 2022)

Silvia Bre, nata a Bergamo, vive a Roma. Ha esordito nel 1990 con la raccolta di poesie I riposi (Rotundo), alla quale hanno fatto seguito Le barricate misteriose (Einaudi 2001 – premio Montale), Sempre perdendosi (Nottetempo 2006 – premio Montano, portato a teatro da Alfonso Benadduce), Marmo (Einaudi 2007 – premi Viareggio, Mondello, Frascati, Penne, Arenzano), La fine di quest’arte (Einaudi 2015).
Oltre alla traduzione di autori come : Robert Graves, Alberto Manguel, Alice Walker, Claudia Rankine, Doris Lessing, Naomi Alderman, Alison Lurie, Siobhan Fallon, Sharon Kivland, Lodro Rinzler. Particolare attenzione va data alla traduzioni di : Il canzoniere di Louise Labé (Classici Mondadori, 2000), da Emily Dickinson Questa parola fidata (Einaudi 2019), Il giardino di Vita Sackville-West (Elliot, 2013), Esercizi di potere di Margaret Atwood (nottetempo 2019).

Cimiteri di campane via dal mondo
fanno l’unione della terra all’erba, vegliano
sulla diaspora dei morti, trame dell’insaputo,
nessuna luna ha una febbre così fredda
di rimanere ferma nelle notti, devota al vuoto.
Ma un’aria protesa è un fulmine, il venire meno
al loro patto insegnando senza luogo la disfatta
e non è alta la nota della fine ma si immagina tremenda,
la sua ferita fino in cielo è non morire.
Le campane (Einaudi, 2022) opera finalista al premio Viareggio Rèpaci

Stefano Vitale su Il giornalaccio .net dice a proposito di questa raccolta : .”Non ci si aspetti dunque un libro di versi facili, accoglienti, cordiali. Il verso di Silvia Bre qui è aspro, teso, talvolta fuori giri, fuori ritmo per segnare lo spaesamento, il disorientamento esistenziale dell’uomo e della poesia stessa. E’ come se Silvia Bre ci prendesse per mano per accompagnarci in un bosco di rovi dove domina il silenzio, interrotto dai nostri lamenti per un taglio, una spina, un graffio sul viso o sulla mano.”

Manca dunque in queste poesie la colloquialità che si ritrova in altri poeti, ossia quel modo di far sentire la parola come un’amica tesa a volte a lenire i malanni dell’animo, a volte a completare le distanze tra se stessi e il mondo, a volte ad includere il mondo nel proprio mondo.. In queste poesie si sente come dice Stefano Vitale la ruvidezza di un pensiero che però non inganna. I sotterranei dell’anima vengono fuori tutti insieme perché si dispongono a recuperare quello che non si riesce ad addomesticare.

Un verso che non si riesce ad addomesticare in quanto vaga nel vuoto di una contemporaneità in cui nemmeno la poesia può fare da argine al vuoto, all’anomia che ci prende, che ci circonda, che insomma travaglia la nostra vita dentro il suono sommesso e dolente di campane quale metafora di una condizione umana che ha dovuto rinunciare al contatto diretto autentico con se stessa.

“Silvia Bre – continua Stefano Vitale – non rinuncia però alla parola, che è suono per eccellenza, per dire che la verità, tutte le verità sono tramontate, sprofondate nel buio. L’essenza di quel che resta è suono, voce distante, soffio di un segno senza tempo. Silvia Bre ci offre una sorta di metafisica della storia in versi tracciando un bilancio dolente dell’intera storia umana, ripiegata su se stessa. “

Emanuela Dattilo su Doppiozero.com interpreta così l’intera produzione di Silvia Bre : “L’opera di Silvia Bre rappresenta uno speciale congedo della poesia, il cui gesto ha tuttavia una intenzione assai diversa rispetto alla tradizionale formula stilnovistica. Questo congedo non intende più, infatti, dare una destinazione (assegnare un destino) alle parole dopo l’avvenuto atto poetico, né deve più rivolgersi necessariamente ai versi stessi, in maniera diretta; piuttosto in questo congedo si sancisce l’impossibilità di ogni reale e definitiva unione con le parole, il fatto che la poesia si svolge in un ripetuto addio da esse, o in un sostare in attesa nella loro assenza, sempre perdendosi. Non si celebra qui l’avvenuta unione di parola e conoscenza nella poesia, come nei poemi stilnovistici, ma piuttosto si misura lo spazio vuoto tra di esse. Può esistere un congedo assoluto, sciolto da ciò cui si dice addio? Il poeta che scrive questi congedi non sarà, allora, semplicemente ammutolito? Il congedo è la formula apparentemente contradittoria per cui la parola si rivolge verso se stessa non per unirsi, ma per separarsi da ciò che nomina e possederlo intatto come un ricordo.
Peculiare delle poesie di Bre è, innanzitutto, l’insistito e appassionato tenore speculativo, che rende in certa misura goffo e superfluo ogni esercizio critico su di esse. È una poesia, questa, densa di pensiero; molti sono i brani in cui dichiaratamente è svolta una riflessione sulla lingua poetica, e molte le poesie in cui viene reso dettagliatamente conto di alcuni «esercizi spirituali», quasi occasione pratica di quelle riflessioni: come «l’eremita in cima a una colonna / nel deserto», il poeta sembra disporsi continuamente in attenta attesa, fino a essere pieno della muta sostanza delle cose”

Le campane di Silvia Bre sono forma e fonte di un suono che anticipa e sopravvive al lettore, di una musicalità ancestrale, o archetipica, che rimanda inevitabilmente all’assenza. A tal proposito, su «Il Manifesto», Sara De Simone fornisce alcune interessanti considerazioni: ci ricorda, infatti, che «esistono poeti la cui forza espressiva è tanto grande da somigliare al silenzio». «Chi prova a definire il mistero lo perde, chi inchioda un senso al suono lo fraintende. Ogni poeta ce lo insegna: si ama la poesia se si accetta di non capirla fino in fondo».
Quella della Bre è una rivoluzione necessaria che pone al centro l’ascolto e invita a restare sempre con l’orecchio teso verso le vibrazioni, la voce degli altri, dell’Altro. Operazione da consumarsi, in segretezza, anche con gli occhi.

Avevamo pensato bastasse essere vivi
alta tra le mani mulinanti l’ambizione incendiaria
pensavamo che quel nuotare vivi bastasse
a entrare nelle menti, essere visti
nero fiore dell’acqua nella notte, nello sciame di onde,
orde, eserciti di mare contro paia d’occhi pronti
a sparire, entrare a corpo morto nel nero delle menti
di bianco solo il bianco dell’occhio. Nessuno mai
riposa in pace sul fondo di menti senza pace
il vostro eterno il nostro
la perla dell’occhio svuotato dai pesci
cinque metri più sotto.

***

Da qui si scorge la belva che esiste per sparire
e guarda in verticale, riempie di salti, di verbo
il frammezzo tra sole e terra, la cogli nell’arco siderale
che è l’amore sfinito per i giorni,
nell’opera che resta inconclusa a fissare l’eterno.

***

Nell’isola che è di ombra e ti denuda, e bacia
le tue mani invase dal musico disegno della forma
e ti abita se avanzi tra le lame stupida
nella luce di marzo, lascia anche quello che non hai
sulla soglia etrusca, il feroce desiderio invoca,
tieniti pronta.
Le campane (Einaudi, 2022)