Una nuova vita per l’orto botanico di Collemaggio

Dopo anni di abbandono, si lavora al recupero dell’orto botanico di Collemaggio: si procede con la pulizia e il ripristino delle specie superstiti. Presto la riapertura.
Torna a nuova vita l’orto botanico di Collemaggio, dopo anni di incuria. Si procede con la pulizia e il recupero di alcune delle specie conservate nel sito da quasi 60 anni.
L’attento lavoro di bonifica è portato avanti da una serie di associazioni cittadine: Il Seme della diversità e 3e32, coordinate dalla 180 amici L’Aquila Onlus e la Don Bosco. Dopo aver vinto il bando della Provincia dell’Aquila per la riqualifica e la gestione dell’orto botanico nel 2021, il passaggio delle chiavi alla nuova gestione è avvenuto solo a marzo scorso.


Per adesso, il lavoro che si sta portando avanti è di pulizia e rimozione delle sterpaglie, cercando di conservare le specie ancora presenti. In origine l’Orto era utilizzato dai frati Celestiniani che risiedevano nella basilica passando, nel 1965 l’amministrazione provinciale dell’Aquila aveva messo a disposizione della facoltà di Scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali dell’Università degli Studi una prima area dell’attuale sito che corrisponde al giardino delle Peonie e al giardino dello Zafferano con fini didattici e di sperimentazione. Ha una superficie di circa 8 ettari ed è organizzato in settori, alcuni dei quali rappresentano i principali habitat abruzzesi, mentre altri riuniscono specie con caratteristiche simili, non necessariamente autoctone. Venivano coltivate o spontaneizzate 460 specie, tra cui numerosi endemismi abruzzesi, antiche cultivar di pero, melo e ciliegio, e alcuni alberi che ospitavano il vischio (Viscum album), non diffuso negli orti botanici italiani.

Nel 1999, dopo una fase di abbandono, l’area è stata espansa all’intera collina al di sotto della basilica di Collemaggio che include quello che era conosciuto come “il giardino della Transumanza”, voluto in ricordo del punto di partenza del tratturo L’Aquila-Foggia. Purtroppo di tutte le specie che vi erano conservate alcune sono andate perdute.



Questi erano i settori presenti nell’orto botanico prima di essere lasciato all’incuria e al degrado: giardino delle peonie; serra delle piante succulente; giardino dello zafferano; arboreto dei comuni; giardino delle farfalle; semenzaio; parete stillicidiosa e sottobosco; specie aromatiche e officinali; giardino roccioso ornamentale; bulbose ed erbacee perenni; olmeto spontaneo; aiuole didattiche; percorso per non vedenti; giardino fenologico; giardino acquatico; ambienti di alta e bassa quota;prati steppici e garriga; ambiente acquatico; antiche cultivar e pomario; giardino dei semplici; ecosistemi forestali.
“Sarà nostra cura fare il possibile perchè non vi siano altri danni. Le piante sono diminuite, ma era nelle cose dopo anni di incuria”, spiega al Capoluogo la professoressa Antonella Mancusi, presidente della 180 Amici. “Stiamo continuando a tagliare l’erba e a ripristinare le aiuole, per far venire alla luce la parte superiore dell’orto, con la sua splendida serra. Speriamo che ciò possa avvenire in tempi brevi, ma una cosa è certa: l’orto botanico sarà riaperto al pubblico, sotto forma di giardino. Ci sono delle panchine e ci piace pensarlo come un nuovo posto ricettivo a uso della cittadinanza, in compatibilità con l’aspetto naturalistico. Stiamo vagliando anche l’ipotesi di creare una sorta di percorso esperenziale aperto anche alle scuole. Con il tempo, cercheremo di stipulare una convenzione con il nostro ateneo. Non abbiamo fretta perchè abbiamo bisogno anche di un supporto di tipo scientifico. Nella parte bassa del sito invece, dove c’è tanto terreno libero, l’idea è di creare una ricca area culturale per ospitare concerti o piccole iniziative di richiamo“.


Intanto prosegue il lavoro dei volontari, tra loro anche un esperto in Scienze agronome che si sta occupando di selezionare e recuperare le specie ancora attive. A lavoro anche alcuni migranti del centro di accoglienza di Roio. “È sorprendente la risposta di chi ci sta dando una mano. L’area era abbandonata e stiamo cercando di ridarle nuova vita e dignità. Non sappiamo ancora cosa sarà recuperabile dal punto di vista naturalistico, intanto lavoriamo sodo con la speranza di poterlo riaprire al più presto”, è il commento della dottoressa Valentina Acmena, psicologa e coordinatrice dell’associazione Il Seme della diversità.

