Le nuove stanze della poesia, Francesco Targhetta

Il poeta Francesco Targhetta per l’appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia a cura di Valter Marcone.
Francesco Targhetta per l’appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia a cura di Valter Marcone.
Dall’8 al 29 ottobre 2021 Targhetta è stato il “Poeta che legge” su TYPEE: ogni appuntamento video, della durata di cinque minuti, è stato dedicato dedicato alla lettura e al commento di tre poesie, sulle quali Targhetta ha offerto consigli, suggerimenti, spunti e approfondimenti di lettura. Francesco Targhetta vive a Treviso dove è nato nel 1980, e dove insegna lettere alle superiori. Dopo il dottorato in Italianistica all’Università di Padova (con tesi su Corrado Govoni), ha approfondito gli studi sulla poesia simbolista di fine ‘800 grazie a un assegno di ricerca e ha insegnato per 4 anni. Nel 2009 ha esordito con la raccolta di liriche Fiaschi alla quale ha fatto seguito il romanzo in versi Perciò veniamo bene nelle fotografie ,nel 2012 e la plaquette Le cose sono due nel 2014 vincitrice di due riconoscimenti. Il suo esordio nella narrativa tout court è avvenuto nel 2018 con il romanzo generazionale Le vite potenziali, ben accolto dalla critica e vincitore de Premio Berto e del Selezione Campiello. Nell’ottobre 2019 scopre l’Istituto magistrale frequentato daAndrea Zanzotto tra il 1934 e il 1937: “Duca degli Abruzzi” di Treviso,oggi Liceo Statale.
Tra le tante poesie trascrivo queste due poesie inedite:
Vito
Vito evita la vita da una vita:
gli mette ansia, come tutto il resto,
e per riuscire a viverla non resta
che un suo incondizionato disinnesco.
È figlio del suo tempo come esempio
di svuotamento:
è il prototipo dell’anedonico,
l’automa-tipo in un dagherrotipo,
ma ogni giorno si esercita nel plagio
di un uomo che si trova
a proprio agio nel mondo.
L’amore non è che inadeguatezza:
solo a celarlo si sente all’altezza
di chi con piena ragione lo ignora,
e dunque spera di non provare altro
che quella forma di tedio febbrile
minacciata a ogni ora su ogni fronte.
Si può dirlo perciò inoffensivo?
Il suo nome è la vita al maschile,
così porta scritto in fronte l’equivoco.
(Non essere in grado di accettare) la brutalità del mondo
I video dei profughi, degli incidenti,
dell’estrema indigenza e delle esecuzioni,
rifiuta di vederli, clicca altrove,
sa che non riesce a tollerarne il dolore,
e delle notizie bastano i titoli.
C’è la possibilità
che si riveli trattarsi
solo di meschinità.
La considera, con scarsi
strascichi:
nella vita ha ben appreso
ad autodifendersi.
A ripararsi dal male altrui, certo,
si rimane di tutto poco pratici,
bambini incanutiti senza accorgersene,
nella parte di mondo fortunata
dove latitano gli accadimenti.
Quando affiorano ricordi infelici
schiocca la lingua sul muro dei denti.
“La colpa al capitalismo” è la nuova raccolta di versi di Francesco Targhetta, che si configura come una coda poetica ideale di “Le vite potenziali” (il romanzo con cui ha vinto il Premio Selezione Campiello nel 2018). Nell’opera, oltre alle liriche, trovano posto anche veri e propri racconti in versi, capaci di descrivere un sentimento di malinconica resa alle cose odierne, e di ribellione e resistenza alla perdita
A oltre un decennio dall’esordio con la silloge poetica Fiaschi (ExCogita, 2009), seguita dal romanzo in versi Perciò veniamo bene nelle fotografie (edito prima da Isbn nel 2012, e poi ripubblicato da Mondadori nel 2019), che rivelò l’insegnante di Lettere e dottore in Italianistica Francesco Targhetta (Treviso, 1980) tra le principali voci della generazione precaria e paralizzata affacciatasi alla vita adulta negli anni ’10, La Nave di Teseoha portato nel giugno 2022 in libreria la sua nuova raccolta di liriche, intitolata La colpa al capitalismo di cui trascrivo una poesia :
Shelf life
C’è la vita cellulare che perdura
(per quanto ancora?)
e la vita da scaffale
che è finita.
Lo intuisce un sabato di pioggia
ritornando dopocena dal mare,
la pelle del colore della merce
sfiancata dietro una vetrina al sole.
Qual è, si chiede, la fine
dei cartoni di latte invenduti?
Dei biscotti troppo a lungo esposti
rimpiazzati da altri più freschi?
Del vassoio di straccetti di pollo
scaduti da due settimane?
Sua madre
li dava in pasto al cane.
Dice Stefano Stringini su Il Diario on line che è possibile intuire in queste poesie di La colpa al capitalismo: “una tensione post- pasoliniana, che densa di policromi richiami all’impegno civile, rimanda però ad un progressivo e consapevole senso delle decomposizioni dei suoi stessi valori, fatti rimbalzare nel libro con una scansione ritmica, lineare e al tempo stesso franta. Secondo una logica metrica che, come già lo scrittore ha dimostrato nella sua precedente raccolta di liriche: Perciò veniamo bene nelle fotografie, indugia in una tensione retrattile del verso, che si espande in tutta l’opera, prediligendo una consapevole polimetria in bilico tra l’endecasillabo morbido al tempo stesso martellante e il verso libero, talvolta anche apparentemente distaccato nella sua pur organica struttura. Con effetti e contenuti in bilico tra l’aforisma e l’hayku giapponese. Le tematiche e la tensione lirica sono infatti in forte contrasto tra il desiderio di concretezza e il senso della sua dematerializzazione, cosa che Targhetta sembra a tratti desiderare, a tratti subire da testimone muto, come se fosse nel vortice di un’ entropia, che ( specchio dei tempi)pur non riuscendo a controllare, vive quasi con la logica dello sciamano che danza volutamente sotto la pioggia, per trasmetterci, in una prospettiva intimistica e al tempo stesso tempo sociale, le sue personali notizie dal diluvio”.