Le nuove stanze della poesia, Barbara Korun

Sensualità, ironia, passione, femminilità, nei versi di Barbara Korun, uno dei grandi talenti della poesia slovena. Ne parliamo nell’appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.
La raccolta di poesie di Barbara Korun, “Voglio parlare di te notte. Monologhi”, traduzione di Jolka Milič, Multimedia, Baronissi 2013) merita di essere conosciuta da un pubblico più vasto di quello che solitamente assiste ai suoi reading tenuti dalla poetessa slovena in Italia.
E’ una poesia quella di Barbara Korun ridotta all’essenziale che fa umano l’essere umano ossia che lo rende appunto un essere umano in questo nostro tempo caotico e disperato. Anche se Loredana Umek nell’incipit della prefazione al libro afferma: “L’erotismo è il punto di partenza della poesia di Barbara Korun (…)”una poesia che dà grande risalto al corpo, alla fisicità come la stessa Korun scrive : ““Scrivo forse diversamente essendo una poetessa e non un poeta? In quanto poetessa i lettori mi accettano diversamente di come lo farebbero se fossi un poeta? Per me fa lo stesso. Ma sociologicamente parlando non lo è. Il genere sessuale al quale appartengo senza dubbio influisce su come scrivo, anche se ignoro in che modo, essendo io un’entità. Ciò che sono comprende anche il mio sesso, comunque non posso assolutamente togliermelo da dosso, fare finta che non esiste o astrarlo, neanche ipoteticamente. Nemmeno intendo farlo. Leggo la poesia che certe donne scrivono in maniera da eludere il loro sesso, di negarlo, di non metterlo in mostra bensì sottrarlo alla vista. In quanto a me la mia femminilità mi eccita più che inquieta. Mi fa piacere (ne godo) e mi rende felice.” (Barbara Korun, Riflessioni sulla poesia, in Fili d’aquilone n. 13 gennaio/marzo 2009) .
Sin dal titolo della raccolta, infatti, un ruolo centrale è rivestito dalla notte, cui è dedicata un’intera sezione del libro da pag 35 a pag 49. Questo elemento porzione di giorno connotata dall’assenza o scarsità di luce viene personificata , “l’oscuro volto della notte”,, “tu sei l’utero dell’universo” , con espressioni che evidenziano la corporeità di questa entità, alla quale peraltro l’autrice si rivolge con un familiare tu.
Voglio parlare di te notte
voglio parlare dell’alba
voglio parlare del bosco che sorge da te
(tu sei l’utero dell’universo
tu concepisci ciò che esiste)
come si delineano dapprima i contorni
come in seguito aggiungi
premeditatamente le foglie
e prepari i tronchi
affinché risplendano
nella luce solare
e questo è l’attimo che io fermo
per sentirlo profondamente
quando il buio s’intreccia con gli atomi della luce
quando il crepuscolo è palpitante
e promette
la nascita
quando quatto quatto
si trattiene fino a soffrirne
e lo stridore dell’attesa trascende
in giubilo del giorno
quando è pieno zeppo
saturo e colmo di silenzio
quando è sul punto di proprio sul punto
Un altro tema centrale della poetica di Barbara Korun: la metamorfosi. Non estranea alla cultura classica, come testimoniano i riferimenti a Euridice , Pizie , Sisifo e, in testi qui non antologizzati, ad Antigone, l’autrice ci propone le sue metamorfosi spesso in chiave onirica: ad esempio in “Tu sei un bosco”(39) – e il bosco, sia detto per inciso, è un’altra figura ricorrente almeno nella prima parte del libro – “e ospite del sole rinasca in aria / e diventi bosco”; o in “Donna” (73-77), “E in questa notte (…) io sono tutto e sono dappertutto / in ogni fogliolina che cresce / in ogni neonato perfino nel feto / immensa irripetibile”. Anche il procedimento stesso della scrittura si rivela in fondo una lunga, dolorosa trasformazione in “Come scrivi una poesia” (105).
Ma l’apoteosi della metamorfosi è costituita senza dubbio dalla poesia “Il cervo” (71-73)
Mi sveglio con la calda lingua di un cervo tra le gambe.
attraverso la porta aperta penetra la piana luce della sera.
il cervo mi punzecchia lievemente i seni leccandoli. lascio
che con la ruvida lingua mi lambisca il sesso,
il petto e il viso, m’inebria il suo profumo,
profumo di terra, di muschio, di fradicio e di paura.
odore d’istinto.
poi mi si sdraia accanto, accanto al mio ventre, da poter
accarezzare i suoi peli setolosi, ha la testa vigile sollevata
e lo sguardo fisso lateralmente, nel bosco.
nell’oscurità risalta il suo nudo pene rosso.
quando il tempo si addensa e tendo il braccio nel buio, sfioro
un corpo maschile. la mia smania d’amore è cocente.
mi ama con naturalezza e da vicino.
nelle mani ha i venti del nord e del sud.
attraverso il suo corpo scorrono i fiumi e si muovono gli oceani.
la bocca è calda e piena come la pioggia estiva,
la stanza è colma di voci terrestri ed extraterrestri.
a volte qualche raggio smarrito della luna gli scopre il volto.
non mi guarda negli occhi come se volesse difendermi da se stesso.
talvolta mi ama con trasporto da non farmi sentire più la gravità.
talvolta la voluttà sgorga dal suo ombelico come una piccola
sorgente limpida, talvolta dal suo interno vomita la lava,
ma non mi ferisce mai.
sempre con immensa attenzione mi posa con il ventre sulla terra,
e quando mi morde il collo e fiuto il suo caldo alito, lo so
che verrò inevitabilmente risparmiata.
ai primi albori nei suoi capelli tasto due cornetti
le setole dalla testa si allargano sulla schiena, fino al coccige.
sul ventre gli spunta la soffice erba animale.
all’alba mi scruta una testa di cervo con occhi ormai appena umani,
con occhi di là del confine.
le sempre più coriacee mani mi accarezzano assenti.
gli cresce una corona.
nel capanno si fa strada la fragranza del mattino e il cervo si alza.
quando esco davanti alla porta, mi guarda in maniera
da spaccarmi in due pezzi sull’istante e bruciarmi.
e mentre ascolto frusciare l’eco dei suoi veloci passi animaleschi,
sento che dalle mie due riarse metà crescono fiori
selvatici.
Un altro elemento centrale nella poetica della Korun è il dualismo che, come abbiamo in parte già avuto modo di osservare in relazione a giorno/notte e vita/morte, non è mai manicheo, piuttosto direi dialettico. Lo si riscontra sin da alcuni titoli: “Ho due animali” (59), “Due” (83), la sequenza “Donna” (73-77) “Uomo” (77 – 79). Dualismo che viene spinto fino al limite dell’ossimoro come vediamo in “Gelido fuoco” (87), “aspra dolcezza” (29), ecc.
DUE
due si spogliano
si tolgono le vesti
si sfilano le scarpe
si levano i gioielli e l’orologio
si denudano completamente
continuano a spogliarsi
con mani carezzevoli
si tolgono la professione il nome
le abitudini quotidiane
con baci pazienti
si liberano dei loro amori
trascorsi delle loro attese
con morsi profondi si disfano
degli anni della loro passione
con la bocca a vicenda
si sbarazzano del sesso
si svestono dell’infanzia
(operazione lunghissima)
si tolgono di dosso la mamma
e il padre con energici lavacri
forti abbracci e strusciate
di corpo a corpo
ed effusione di linfa
raggiungono le tenebre
mai nominate alle quali
danno a ritroso dei nomi
che man mano dimenticano
quando s’infiammano
continuano a spogliarsi
attraverso il riso il pianto
i gemiti e le grida
fino all’innominabile
carnalità
di là della nascita
sono nudi
Scrive Giancarlo Cavallo: “La parte finale del libro è costituita dai Monologhi (107 – 137), “su eventi storici e vicende di attualità”: in essa troviamo personaggi storici o attuali, più o meno noti, titoli talvolta lunghissimi perché sintetizzano una vicenda, un’apertura al mondo con la sua complessità, visto talvolta con grande ironia, sempre con grande capacità di analisi e voglia di porsi domande a cui è difficile dare una risposta, come sulla responsabilità del poeta (Barbara Korun ecc., 131), o sulla funzione e limiti della poesia (Hannah Arendt ecc., 135-137). Questa sezione, che rappresenta un punto di arrivo della scrittura e della poetica della Korun (“Sono stata più autistica, più egocentrica quando ero giovane,ora sono più attenta al mondo, agli animali, alle piante, al paesaggio”, dichiara sempre in “Conversando con Barbara Korun”, cit..) meriterebbe di sicuro un ben più ampio spazio, ma non voglio abusare della pazienza del lettore; sottolineo solo come, a mio parere, con questi monologhi la Korun in qualche modo si ricongiunga alla tradizione familiare che vede il padre e la sorella (e lei stessa, nella sua veste di critico teatrale) impegnati sul versante del teatro e la madre nella produzione di programmi radiofonici, preconizzando, probabilmente, esiti del suo lavoro verso la prosa: sarebbe una grave perdita per la poesia, ma un sicuro acquisto per la prosa, teatro o narrativa che sia.
NE POŠKODUJ ME
Ne poškoduj me, ko stopaš vame.
Ranjena od tvoje mehkosti,
nežnosti. Sile so komaj komaj
še v ravnovesju.
Poznam tvojo ostrino,
izbrušenost.
S počasnim, natančnim gibom
boš podrl jezove.
Čez nebo bo zažarel
mavrični severni sij.
NON DANNEGGIARMI
Non danneggiarmi quando mi penetri.
Ferita dalla tua morbidezza e dalla
tenerezza. Le forze a stento
mantengono ancora l’equilibrio.
Conosco il tuo acume,
la tua sottigliezza.
Con gesto lento, preciso
abbatterai gli argini.
Nel cielo comincerà
a risplendere l’aurora polare.
IMAM DVE žIVALI
Imam dve živali.
Rdečo in modro.
Ko modra pije, rdeča
dirja.
In obratno.
Nikoli ju ne morem ujeti,
razpeta med počivajočo in dirjajočo.
Spustila bom misel
za vabo,
daleč daleč v ravnino.
Ne bosta opazili,
z gobci vohajoč neskončnost.
Legla bom v travo
blizu izvira in
zaspala.
Luna me bo pokrila.
Zjutraj
s prvimi vodoravnimi žarki
bosta prišli.
Utrujeni, potni, penastih gobcev.
Potem bomo
skupaj
pili vodo.
HO DUE ANIMALI
Ho due animali.
Uno rosso e l’altro azzurro.
Quando l’azzurro beve, il rosso
scorrazza.
E viceversa.
Non riesco mai a catturarli,
tesa tra quello che riposa e quello che corre.
Lascerò andare un pensiero
come richiamo
lontano lontano nella pianura.
Non se ne accorgeranno
fiutando l’immenso coi musi.
Mi sdraierò sull’erba
vicino a una sorgente
e mi addormenterò.
La luna mi coprirà.
All’alba
coi primi raggi verticali
verranno da me.
Stanchi, sudati, con i musi schiumosi.
Dopo
berremo insieme
l’acqua.