Cronaca

Matteo Messina Denaro grave, non tornerà più in carcere

Matteo Messina Denaro, le sue condizioni sono tanto gravi che non si prevede il ritorno in cella. Al suo capezzale figlia e nipote

Non è previsto il ritorno in carcere per Matteo Messina Denaro, il boss è in gravi condizioni: al suo capezzale è giunta anche la figlia Lorenza.

Le condizioni del boss, ricoverato nel reparto per detenuti dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila – dove l’8 agosto è stato di nuovo operato per un’occlusione intestinale – sono talmente gravi che non è previsto il suo ritorno in cella. Indicativo sembra anche il fatto che la cura del tumore al colon sia accompagnata dalla terapia del dolore e dalla alimentazione parenterale. 
Sono i dati di una condizione molto critica alla quale il padrino risponde con forte determinazione: alterna momenti di lucidità e di buonumore a episodi di grande fragilità. La figlia Lorenza, appena riconosciuta, e la nipote Lorenza Guttadauro, che è anche il suo legale, sono giunte al suo capezzale.

Nei giorni scorsi Matteo Messina Denaro è andato anche in coma per reazione ai farmaci. Qualche volta è riuscito ad alzarsi dal letto, ma ha rifiutato di incontrare la figlia per non apparire molto provato. Da qualche giorno, infatti, figlia e nipote si sono trasferite a L’Aquila per seguire il decorso
della degenza. Sua figlia, nata il 17 novembre 1996 dal rapporto con Franca Alagna, è stata riconosciuta dal boss proprio recentemente.
Messina Denaro, infatti, non l’aveva mai conosciuta, come scriveva dalla latitanza all’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, nome in codice Svetonio. Fino al 2012 Franca e Lorenza vivevano in casa della madre del boss, ma poi erano andate altrove anche per sottrarsi a una asfissiante pressione investigativa. La distanza tra padre e figlia si era così allargata. Lorenza aveva seguito il suo percorso di vita da persona normale: aveva studiato al liceo, si era sposata e due anni fa aveva avuto un bambino. La discrezione con cui aveva avvolto la sua vita aveva alimentato la voce che avesse rinnegato il padre e preso le distanze dalla sua storia criminale. Se ne era parlato proprio a ridosso della cattura del “Siccu” nella clinica “La Maddalena”
di Palermo, dove si faceva curare come il signor Andrea Bonafede.

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Ad alimentare quella voce era anche il contenuto di alcuni fogli sequestrati nel covo di Campobello di Mazara. “Perché Lorenza non vuole vedermi? Perché è arrabbiata con me?”, era il cruccio di un padre che in questo modo rinsaldava la tesi di una rottura ormai consumata. In una lettera alla sorella, Matteo Messina Denaro metteva a raffronto i diversi comportamenti tra la nipote del boss Leonardo Bonafede, che non esitava a dichiarare al nonno “onorata di appartenerti”, e lei, Lorenza, che con il suo comportamento induceva Messina Denaro a chiedersi: “Cosa ha fatto al padre, cioè a me? Ma va bene così, non ho più nulla da recriminare”.
Dubbi e apparenze hanno lasciato subito il posto a una realtà molto diversa da quella raccontata. “Notizie destituite di ogni fondamento” le aveva definite il legale Franco Lo Sciuto per conto di Lorenza. Smentite tutte le indiscrezioni e negata qualsiasi dichiarazione “che potesse indurre a ritenere la
sussistenza di una volontà di chiudere ogni rapporto con il padre”. Lorenza e Matteo Messina Denaro si sono visti per la prima volta ad aprile nel carcere dell’Aquila. È stata lei stessa a decidere di incontrarlo. Ora le due donne seguono insieme a L’Aquila l’ultimo tornante di vita di quello che è stato l’ultimo grande latitante di Cosa nostra.

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L’arrivo a L’Aquila

Il boss mafioso è stato condotto nel super carcere delle Costarelle tra il 17 e il 18 gennaio 2023, dopo la cattura arrivata in seguito a 30 anni di latitanza.  Così si è presentato all’anagrafica: “Fino a stanotte ero incensurato, poi non so cos’è successo”.
Dal carcere dell’Aquila Matteo Messina Denaro ha lasciato, fin dal principio, trapelare atteggiamenti di chiaro stampo mafioso, forse come per dare un “segnale” – ad inquirenti e non – che non sarebbe stato disposto a collaborare. Dopo la frase pronunciata all’anagrafica, sulla sua residenza ha risposto: “Non ne ho mai avuta una”,con tanto di sorriso. Del resto, aveva già anticipato la volontà di non collaborare al procuratore Maurizio De Lucia e all’aggiunto Paolo Guido.

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La scelta del carcere aquilano, attrezzato per il regime del 41bis, è apparsa inevitabile, considerate le condizioni di salute del boss, malato di cancro al colon al quarto stadio. Com’è stato spiegato, infatti, il carcere aquilano ha un ottimo reparto di medicina oncologica. Inoltre, la vicinanza a Roma consente veloci trasferimenti per gli interrogatori.

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