Cardinale Giuseppe Petrocchi, 50 anni di sacerdozio e 25 da vescovo: “Il Signore ha abitato la mia storia”

1 ottobre 2023 | 18:59
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Cardinale Giuseppe Petrocchi, 50 anni di sacerdozio e 25 da vescovo: “Il Signore ha abitato la mia storia”

Celebrazioni per il giubileo sacerdotale ed episcopale del cardinale Giuseppe Petrocchi. La cerimonia a Collemaggio.

L’AQUILA – Celebrazioni per il giubileo sacerdotale ed episcopale del cardinale Giuseppe Petrocchi: “Per tutto il bene, ricevuto e dato, ringrazio Dio, come anche i fratelli nella fede e tutti gli amici che mi hanno assicurato autentica vicinanza”.

Si è svolta oggi pomeriggio, domenica 1 ottobre nella basilica di Santa Maria di Collemaggio, la solenne celebrazione eucaristica per il giubileo sacerdotale ed episcopale del cardinale Giuseppe Petrocchi, presieduta dallo stesso Arcivescovo dell’Aquila e da altri Vescovi della Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana (Ceam) di cui è Presidente e dal Clero diocesano. Per l’occasione, a fine cerimonia scambio di doni con il sindaco Pierluigi Biondi, che ha rivolto il suoi auguri al cardinale: “In questi anni da sindaco dell’Aquila ho incrociato tante persone. Alcuni incontri si sono mutati in conoscenza, qualche conoscenza si è trasformate in amicizia, altre in collaborazioni importanti per la città e il suo territorio, altre ancora hanno contribuito alla mia crescita professionale o umana. In un certo senso e non poteva essere altrimenti, Papa Celestino V è stato l’artefice del mio incontro con il cardinale Petrocchi. Ero stato appena eletto sindaco e già mi trovavo a dovermi confrontare con l’evento più radicato, sentito e significativo degli aquilani, la Perdonanza celestiniana. Credo non sia mai semplice incontrare chi ha scelto di votarsi all’integrità cristiana, a chi si confronta quotidianamente con la vita attraverso la certezza che l’amore in Dio sia sostanza di ogni cosa. Ma il sorriso accogliente di sua eminenza il cardinale Petrocchi da allora mi ha accompagnato nella conoscenza di un maestro dell’interiorità, di un teologo della grazia e del perdono, di un cultore della bellezza dell’anima umana. In occasione dei momenti di grande impatto emotivo per gli aquilani – come per la ricorrenza del sisma o per i riti della Perdonanza – le sue omelie, negli anni, sono state fonte di ispirazione e consolazione per i fedeli e nel mio impegno di sindaco. Profondità, visione, responsabilità etica, studi complessi e conoscenza dell’uomo, rispetto della fatica del vivere e nello stesso tempo della bellezza della vita, compassione e condivisione, amore per la nostra città e per le nostre ferite: in questa sorta di verbum abbreviatum, la mia riconoscenza a sua eminenza, il cardinale Petrocchi. Al quale vorrei rivolgere un grazie particolare per il regalo più intenso e amorevole che potesse fare agli aquilani: l’apertura della Porta Santa di Collemaggio per la prima volta per mano di un pontefice dal peso umano e cristiano immenso come quella di Papa Francesco. Eminenza, mi permetta di rivolgerle un reverente abbraccio da parte della città che rappresento nella certezza che gli aquilani rimarranno nel suo cuore e saranno sempre presenti nelle sue preghiere come lei nelle nostre. Così come rivolgo, infine, auguri al nostro arcivescovo coadiutore, Antonio D’Angelo, che abbiamo accolto nella nostra comunità e che, come sottolineato dal cardinale, saprà amministrare la nostra chiesa con il suo stesso amore”.

“Gli anniversari, – ha sottolineato invece il cardinale Giuseppe Petrocchi nella sua omelia- specie se di ampia portata (come 50° e 25°) sono occasioni privilegiate per scrutare la propria esistenza con sguardo profondo e adottando approcci globali: si guadagna, così, la ‘visione d’insieme’ come pure una ‘percezione articolata’. Proprio la ‘distanza prospettica’ consente di cogliere con più chiarezza l’intervento di Dio: so che il Signore, infinitamente grande nella misericordia, ha abitato la mia storia. Anzitutto faccio ‘memoria’ della chiamata che ho ricevuto e delle Comunità ecclesiali in cui ho svolto il mio ministero. Rievoco, nella mia anima, con riconoscenza commossa, gli ‘incontri’ con persone ‘provvidenziali’: diventate per me importanti figure di riferimento e decisivi compagni di viaggio. Non sarei ciò che sono e non starei dove sto se non le avessi avute al mio fianco, nei passaggi fondamentali della mia vita. Anche le difficoltà e le ‘onde’ contrarie si sono rivelate, nel flusso degli anni e con l’aiuto di Dio, spinte favorevoli per avanzare sul mare della vita sacerdotale, cristiana e umana. Per tutto il bene, ricevuto e dato, ringrazio Dio, come anche i fratelli nella fede e tutti gli amici che mi hanno assicurato autentica vicinanza. Chiedo e offro perdono per le azioni segnate da limiti e difetti. In questa omelia non parlerò delle mie vicende biografiche, ma vorrei condividere alcune riflessioni sull’episcopato, che ho maturato nel tempo e a cui ho cercato di ispirarmi nel corso del mio ministero”.

La diretta:

Per quanto riguarda i vescovi, sono chiamati “ad agire ‘in persona Christi et in nomine totius ecclesiae’. Un ministero da esercitare ‘in’ unità e ‘per’ l’unità, sapendo che solo chi ‘è-Chiesa’ può ‘fare-Chiesa’. Occorre, allora, vigilare su se stessi, cercando nel Signore la grazia di ‘sentire Ecclesiam, sentire cum Ecclesia, sentire in Ecclesia’, ‘da’ Vescovi, nel segno della ‘collegialità’. La dimensione ‘sinodale’ è costitutiva del ministero episcopale: in comunione con il Papa, con tutti i Confratelli e con l’intero Popolo di Dio. Infatti, ‘è proprio della natura sacramentale del ministero ecclesiale avere un carattere collegiale. (…) Scelti insieme, (i Vescovi) sono anche mandati insieme, e la loro unione fraterna sarà al servizio della comunione fraterna di tutti i fedeli; sarà un riflesso e una testimonianza della comunione delle Persone divine’. Per questo, nel declinare i verbi evangelici, liturgici e pastorali, la forma “grammaticale” più propria dovrebbe essere quella del ‘Noi-Chiesa’. Faccio mia la intensa espressione di Agostino di Ippona, il quale ha scritto: ‘il giorno della mia consacrazione episcopale Dio mi tolse a me stesso e mi prese per sé; poi mi consegnò al popolo, come dire, mi convertì: da essere per me stesso in essere per loro'”.
“I Vescovi – ha proseguito il cardinale Giuseppe Petrocchi – hanno in prima istanza il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Cristo, come ‘maestri della fede’, ‘rivestiti dell’autorità di Cristo’. Non solo insegnano ciò che il Signore ha rivelato, ma operano nel Suo nome: è il Signore stesso che agisce in loro: ‘chi ascolta voi, ascolta me’. Occorre pensare ‘nella’ Parola; agire ‘secondo’ la Parola; parlare ‘della’ Parola, parlare ‘con’ la Parola: cioè, usare ‘parole’ conformi alla Parola. È richiesto anche essere uomini ‘di’ parola: cioè, sinceri e fedeli alle promesse fatte.

I ministri della grazia: “Vivere e far vivere la Pasqua del Signore”.

“Anzitutto – ha sottolineato il cardinale Giuseppe Petrocchi – attraverso la celebrazione dei sacramenti e nella liturgia eucaristica, che è “ri-presentazione” della morte e risurrezione di Gesù. Proprio nel rito della Ordinazione, il Presbitero, preparandosi a celebrare il sacrificio eucaristico, si sente dire: «Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore». Ogni esistenza cristiana e sacerdotale è coinvolgimento nell’evento della croce e partecipazione alla Vita, che vince il male e rende figli di Dio. Abbiamo ascoltato dall’Apostolo Paolo (Fil 2, 1-11) una splendida sintesi dell’“iter redentivo” compiuto dal Figlio-fatto-uomo: la sua “discesa” e la successiva “esaltazione”, cioè la dinamica della “kenosi” (=abbassamento per amore) e della pienezza gloriosa ricevuta da Dio.  «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio  l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre» (Fil 2, 1-11). Questo brano biblico costituisce la “magna carta” di ogni discepolo del Signore, e, con particolare intensità, lo “statuto evangelico” di coloro che Gli diventano conformi nel sacerdozio, attraverso il sacramento dell’Ordine. «Pertanto i presbiteri sono chiamati a prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo pastore, attualizzando il suo stile di vita e facendosi quasi sua trasparenza in mezzo al gregge loro affidato» (PdV, n. 15). È un Ideale sublime, umanamente irragiungibile senza il soccorso dell’Onnipotente. Per questo, il giorno della consacrazione, il mio Padre spirituale mi disse: “sei costituito Successore degli Apostoli, una volta per sempre, in forza dell’Ordine sacro; ma “Vescovo”, in senso esistenziale, sei chiamato a diventarlo, ogni giorno di più, lasciandoti plasmare dallo Spirito di Verità e di Unità”.

Testimoni della carità: “La carità è l’anima di ogni apostolato: ecco perché l’apostolo Paolo sentenzia: «al di sopra di tutto vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione» (Col 3,14). È facendo leva sulla grazia che il Vescovo si impegna ad amare tutti, per primo, sempre, al di là di tutto, nonostante tutto. Si tratta di inoltrarsi sulla “via maestra” che porta all’ incontro con tutti, considerati universalmente candidati alla santità. Per questo il Vescovo  diventa l’uomo del dialogo e della missione (cfr. Pdv, n.18). La carità non è soltanto itinerario che immette in relazioni fraterne, ma anche una porta per accedere alla conoscenza autentica di se stessi e degli altri. S. Agostino dichiara: “Non si entra nella verità, se non per la carità” (Contra Faustum); affermazione confermata da S. Gregorio Magno il quale sostiene che «attraverso l’amore arriviamo alla conoscenza» in quanto «l’amore stesso è conoscenza»”.

Inoltre, il vescovo “È uomo “in” comunione, uomo “di” comunione”, uomo “per” la comunione: infatti, «il ministero ordinato ha una radicale “forma comunitaria” e può essere assolto solo come “un’opera collettiva”» (PdV, n. 17). In tale prospettiva si comprende perché il Vescovo è destinato ad essere anche un instancabile tessitore di riconciliazione e di pace: anzitutto celebrando il sacramento della Penitenza (Confessione). Non si arrende davanti alla divisione e alla inimicizia: cerca sempre i sentieri che portano a ristabilire la concordia, sapendo che nulla è impossibile a Dio (cfr. Lc 1,37). In sintesi, il ministero del Vescovo – nella Chiesa che gli è affidata – gravita sulla triplice scansione teologica della Confessio Trinitatis, del Signum fraternitatis e del Servitium caritatis.

Maria: Madre, Maestra, Modello di Comunione e di servizio evangelico all’umanità. “Costituisce per me – ha spiegato il cardinale Giuseppe Petrocchi – una sorgente inesauribile di luce evangelica, di amore sempre accogliente e un esempio di coerente sequela cristiana. Con crescente evidenza la “dimensione mariana” mi appare essenziale nella vita e nella missione della Chiesa, come anche nell’esercizio del ministero sacerdotale ed episcopale. Facendomi eco dell’umile Vergine di Nazaret, desidero oggi innalzare il mio “Magnificat” e, ancora una volta, professo la volontà di consegnarmi per intero nelle sue mani materne, perché mi aiuti ad essere fedele, fino alla fine: nella speranza che “Dio il quale ha iniziato in me la sua opera, la porti a compimento”.

Al termine della celebrazione la lettura del messaggio augurale firmato da Papa Francesco e della bolla pontifica di nomina di Mons. Antonio D’Angelo ad Arcivescovo Coadiutore di L’Aquila. A seguire, il messaggio augurale del Sindaco Pierluigi Biondi.

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