Alzheimer a 54 anni, il tempo piccolo di Michele Ferraro e Tina Naccarato

Michele Ferraro, malato di Alzheimer a 54 anni: un dramma che investe tutta una famiglia. L’appello della moglie Tina, caregiver abbandonata: “Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo”.
“Siamo un piccolo esercito di disperati: caregiver dei nostri cari colpiti da Alzheimer precoce e nello stesso tempo, mentre li assistiamo, siamo ‘soldati’ che combattono per le loro battaglie da cui non usciremo mai vincitori, contro le istituzioni e contro la burocrazia che troppo spesso abbandonano chi come noi è in estrema difficoltà”. Tina Naccarato lo sa bene che il tempo insieme a suo marito Michele Ferraro, affetto da demenza senile precoce, da qualche anno è sempre più prezioso, sempre “più piccolo” perchè quando si sta bene, quando c’è la salute sembra che nulla possa finire; invece dal 2020 in poi, dall’arrivo della diagnosi di Alzheimer precoce giovanile, a soli 54 anni, è solo buio.
All’Alzheimer è dedicata anche una giornata mondiale, il 21 settembre, ma Tina non ne vuole sentire parlare. “Io non amo le ‘giornate mondiali’ e men che meno mi serve la retorica di oggi. Siamo lasciati soli, come cani abbandonati sull’autostrada d’estate, soli senza un perché, soli senza colpe, soli senza mai un gesto di affetto che sia vero, esposti alle intemperie del quotidiano, con uno smisurato bisogno d’amore. Indossiamo una corazza, ma dentro portiamo il peso di un dolore infinito, di una paura che raggela, terrorizza. Siamo lasciati soli, il malato ed i suoi familiari. Allontanati come appestati. Non abbiamo bisogno di giornate mondiali del cavolo. Avremmo solo bisogno che vi accorgeste che siamo ancora vivi e che la vostra indifferenza è aceto sulla nostra sete infinita“. spiega sentita dal Capoluogo.
Soli, Michele Ferraro e Tina Naccarato, dopo aver combattuto per essere riconosciuti come ‘malati’ (non a caso lei parla sempre al plurale), adesso combattono e cercano scampoli di normalità: da 6 mesi suo marito Michele vive in una rsa in Calabria in cui sono ricoverati anche disabili con problemi psichici gravi, ma il sabato, ogni sabato, per lui è una giornata speciale. Gli operatori raccontano a Tina che Michele si prepara con cura, si mette la maglia buona, si spruzza il profumo e aspetta, aspetta la sua bolla d’amore, la sua dose di emozioni, il loro bambino, per andare insieme al mare a mangiare i calamari e il baccalà, cercando di far finta di essere una coppia come tutti gli altri. Scampoli di normalità che fanno male e riscaldano il cuore allo stesso tempo, perché non si da davvero quanto sarà il tempo che si ha davanti.
Michele Ferraro aveva 54 anni quando, tra il 2019 e il 2020 dopo una serie di indagini, ha scoperto di avere l’Alzheimer precoce: la malattia che cancella ricordi e vissuto, ma non le emozioni. Una diagnosi tardiva per una patologia “che non lascia scampo” e di cui probabilmente soffriva già da 5 anni. Michele Ferraro e Tina hanno un bambino piccolo, nato nel 2017, che del papà in salute ricorda poco e niente. Un bimbo che è dovuto crescere troppo in fretta e che, probabilmente, non avrà quel bagaglio di ricordi preziosi nella relazione tra un padre e un figlio. Abbiamo conosciuto la battaglia di Tina raccontando la storia di Michela e Paolo Piccoli. Nel tempo queste due donne forti e coraggiose sono diventate amiche virtualmente, “perchè insieme lo stesso fardello sembra meno pesante”.

“Ho paura – dice Tina – ho paura del presente e del futuro. Oggi Michele è sereno, e le sue condizioni di salute consentono ancora un briciolo di normalità…Ma quanto durerà questa situazione? Mio figlio è piccolo e devo essere forte anche per lui. La sua innocenza e le sue domande mi insegnano ogni giorno ad amare e ad apprezzare quello che ho, a buttare il cuore oltre l’ostacolo anche se ho paura, a riconsiderare il tempo che abbiamo, sapendo benissimo che non sappiamo quanto ne avremo ancora davanti”.
Michele e Tina erano una coppia serena: lui luogotenente della Dia distaccato all’Antimafia, lei docente alla scuola primaria e all’università. Campano lui, calabrese lei, dopo il fidanzamento, avevano coronato con il matrimonio il loro sogno d’amore. Quello di Michele era un incarico di responsabilità, la vita scorreva tranquilla, poi, finalmente, nel 2017, la loro storia era stata coronata dalla notizia dell’arrivo di un figlio, il primo. “All’epoca ero concentrata sulla gravidanza – ricorda Tina – ma mio marito era diventato strano, nel giro di poco non riuscivo a riconoscerlo. Pensammo fosse stress, stanchezza, dopotutto il suo non era un lavoro ‘facile’. Ci trasferimmo in Calabria, eravamo vicini alla mia famiglia, ma lui era sempre più apatico, faceva fatica a trovare le parole quando mi raccontava qualcosa, lui che era stato sempre brillante nell’eloquio aveva perso lo smalto, come se sul suo sorriso fosse stata dipinta un’ombra”.
Ovviamente come successo per Paolo Piccoli e Michela Morutto, la diagnosi non è arrivata subito, “Perché nessuno poteva immaginare che mio marito, a 50 anni, stesse ‘covando’ una malattia degenerativa così grave, solitamente associata alla senescenza. Speravo che l’arrivo del bambino potesse cambiare le cose, perché anche io non avevo immaginato una diagnosi del genere: nella sua famiglia non c’era nessun tipo di familiarità e lui è stato il primo caso”.
Di controllo in controllo Tina e Michele arrivano al 2019: “Dalle tac non era risultato nulla, a livello cerebrale mio marito non aveva niente. La situazione è precipitata nel 2020 durante il primo lockdown: eravamo in casa insieme tutto il giorno, io in smart working, lui in ‘lavoro agile’ e, ovviamente, c’era un bambino piccolissimo da crescere e accudire. In pochi mesi di isolamento, senza vedere punti di riferimento e senza svolgere le sue solite mansioni quotidiane, mio marito è letteralmente crollato. Non riusciva a leggere nemmeno 2 righe, impensabile seguire un film per più di 10 minuti”.

Michele ha continuato a lavorare fino alla metà del 2021 poi la malattia ha cominciato a galoppare, inesorabilmente.“Avevo paura che guidasse e che rimanesse solo: come prima cosa si è messo in malattia, siamo tornati a Cosenza dove io ho i miei genitori, gli unici che ci hanno dato una mano. Nel giro di 2 anni sono scomparsi tutti o quasi: parenti, amici, conoscenti. Oggi sembra come se Michele non fosse mai esistito…L’odissea è cominciata quando ho dovuto avviare le pratiche per la pensione e la 104, perché come caregiver per le Asl e per lo Stato praticamente non sono nessuno. Michele è stato abbandonato due volte: la prima dai tanti che dicevano di volergli bene e poi da chi doveva assicuragli un presente dignitoso“.
C’erano gli stipendi di Tina e lo stipendio di Michele per tamponare tutte le spese in attesa del riconoscimento dell’invalidità e c’erano i genitori della donna che, incastrando gli impegni, annullandosi completamente e affrontando una vera e propria ‘guerra’ con la burocrazia, è riuscita a tenere in piedi la famiglia.“Da casa ho fatto sparire tutti gli oggetti contundenti e i coltelli perché ero terrorizzata dal pensiero che mio marito potesse farsi o farci del male, pur non volendo. Ho trovato e provato diverse persone per avere un aiuto in casa, ma dopo qualche giorno andavano via perché mio marito ‘era troppo pesante da gestire’ e intanto mi confrontavo con un uomo che stentava a riconoscermi e nello stesso momento dovevo sorridere a nostro figlio che cominciava a farmi delle domande… ‘Perché papà fa così?’ ‘Papà è cattivo mamma?’ ‘Perché papà quando gioca con me si stanca subito?’ …Trovate voi le parole per dire a un bambino di 4/5 anni che sarà sempre peggio e che il papà a breve non si ricorderà nemmeno il suo nome!”.

La scorsa estate, è arrivata, precoce come la diagnosi, anche la fase aggressiva, tipica dei malati di Alzheimer. “Ho dovuto dire basta, la nostra casa per mio marito era un posto ormai estraneo e pericoloso; soprattutto c’era anche nostro figlio che aveva 5 anni. Ho dovuto cercare una struttura che lo accogliesse e dove potesse essere accudito e curato da persone competenti. Michele aveva perso 15 kg a seguito di un ricovero in ospedale di una settimana ed era molto debole e, per non farci mancare nulla, c’erano stati anche degli episodi epilettici. Ho cercato di tenere duro, ma non ero più in grado di fare da sola”.
Michele in questi mesi non ha ripreso peso, è debole, cagionevole, ma è tranquillo, Tina va trovarlo durante la settimana, ma per i medici che lo tengono in cura gli incontri con il bambino, finché sarà possibile, è meglio farli fuori la struttura, così ogni fine settimana aspetta l’arrivo della sua famiglia.“Ci sorride, andiamo al mare, mangiamo il pesce e cerchiamo di non pensare al futuro, ci abbraccia e ci bacia, la nostra presenza per lui è ancora un appuntamento. Anche noi come tanti altri nella nostra condizione non sappiamo nulla sull’aspettativa di vita, per ora ogni giorno è un dono, ogni incontro una carezza preziosa per me e mio figlio. Mi fa rabbia pensare che non ci sarà futuro e non c’è presente nel rapporto padre/figlio. Sto cercando di creare dei micro momenti, abbiamo cercato di affrontare insieme la fase dell’aggressività per far capire a nostro figlio che il papà non è cattivo e se si comporta così non è colpa sua. In rsa ci sono tanti giovani con vari problemi, ogni volta, a ogni visita, tocchiamo con mano la sofferenza, un dolore umano spaventoso”.

Tina ha deciso di parlare – anche attraverso la sua pagina Facebook – esponendo il suo dramma e la sua intimità, per richiamare l’attenzione non solo sulla problematica del marito, purtroppo sempre più frequente, ma per puntualizzare aspetti ancora poco raccontati, sottolineare quanto una patologia del genere devasti l’intero nucleo familiare e non solo il malato, soprattutto se ad esordio precoce.“Dietro ogni caso di Alzheimer c’è sempre o quasi qualcuno che cura il proprio congiunto e anche questa persona merita e deve essere aiutata. La mia famiglia non esiste più, nonostante io faccia il possibile per mantenere intatto il pilastro che avevamo costruito una vita fa per la serenità di nostro figlio. Vivo nella paura che ogni giorno possa essere l’ultimo…E se a me dovesse succedere qualcosa, che ne sarebbe di Michele e di nostro figlio?“