Cronaca

Omicidio di Barisciano, inizia il processo d’Appello

L'AQUILA - Fissata la prima udienza in Appello per Gianmarco Paolucci, condannato in primo grado per l'omicidio di Paolo D'Amico.

L’AQUILA – Fissata la prima udienza in Appello per Gianmarco Paolucci, condannato in primo grado per l’omicidio di Paolo D’Amico.

È prevista per il 14 dicembre 2023 la prima udienza di Appello per Gianmarco Paolucci, il giovane condannato in primo grado per l’omicidio di Paolo D’Amico, avvenuto a novembre 2019 a Barisciano. Il giovane è stato condannato dalla Corte d’Assise dell’Aquila al termine dell’ultima udienza del 2 novembre 2022. La condanna era stata quantificata in 15 anni, contro l’ergastolo chiesto dalla pubblica accusa. La Corte, infatti, ha riconosciuto lo sconto della pena previsto dal rito abbreviato, richiesto dalla difesa rappresentata dall’avvocato Mauro Ceci, non essendo state riconosciute le aggravanti contestate dall’accusa. Sia la difesa che l’accusa avevano quindi avanzato ricorso in Appello, evidentemente con motivazioni diverse, e nella giornata di oggi è arrivato il decreto di citazione delle parti. Insieme a Paolucci, sono stati convocati anche i famigliari della vittima come parti civili, rappresentate dagli avvocati Antonio e Francesco Valentini.
Per quanto riguarda invece Gianmarco Paolucci, l’avvocato Mauro Ceci sarà affiancato per il nuovo processo dall’avvocato Alessandra Di Tommaso, e non più dall’avvocato Licia Sardo del Foro di Milano.

La ricostruzione degli eventi secondo la sentenza di primo grado.

Il ritrovamento del cadavere: come ricostruito dai giudici ascoltando i testimoni durante il dibattimento, tutto inizia il 23 novembre 2019, quando la madre di Paolo D’Amico cerca di mettersi in contatto con il figlio, trovando sempre la segreteria. Preoccupata, ha allertato l’altro figlio, che pure ha provato a contattare il 55enne, il mattino successivo. Continuando a non ricevere risposta, i due – residenti a Roma – si dirigono alla volta di Barisciano. In casa, la madre di Paolo D’Amico trova la tavola ancora apparecchiata, con mezzo bicchiere di vino sul tavolo, mentre il fratello cerca nel giardino circostante. A questo punto vengono chiamati i numeri di emergenza. Arrivano altre due persone, un conoscente e una persona che stava eseguendo lavori all’interno dell’abitazione di Paolo D’Amico, preoccupati, come i famigliari, dal fatto di non riuscire più a contattarlo. I quattro hanno ricominciato le ricerche, fino a quando – verso le 15 – dalla finestra del magazzino viene individuata una sagoma a terra. Il fratello di D’Amico ha poi provveduto a forzare l’ingresso, trovando la vittima a terra, sporca di sangue.

Le indagini per l’omicidio di Barisciano: che D’Amico fosse stato assassinato è apparso subito chiaro, in considerazione delle ferite riscontrate sul corpo. L’autopsia stabilirà che a uccidere l’uomo sono stati 22 colpi: 14 al capo, 3 al torace 2 alla mano sinistra, 1 al gluteo sinistro e 2 alle gambe. Alla fine il 55enne è morto per “grave politrauma cranio-encefalico con emorragia subaracnoidea diffusa prevalentemente in emisfero destro, ma diffusa all’interno dell’encefalo con tratti di lacerazione encefalica. Oltre a questo, a concorrere al determinismo della morte c’è anche l’insufficienza respiratoria”. La stessa autopsia ha collocato l’ora del decesso tra la notte del 21 novembre 2019 e la tarda sera del 23.
Le indagini dei Carabinieri, coordinate dalla Procura, hanno scandagliato la vita privata della vittima, ricostruendo i suoi contatti, a partire da quelli posti in essere nell’ambito del consumo e cessione di stupefacenti, in considerazione del fatto che nell’abitazione dell’uomo sono state ritrovate piante di marijuana.
L’attenzione degli inquirenti si è anche concentrata sulla posizione in cui è stato ritrovato il cadavere, che aveva i pantaloni abbassati, nonostante la cintura chiusa, e maglia alzata sul torace, evidente segno di trascinamento. Da qui la ricerca di tracce sui pantaloni, all’altezza delle caviglie, da cui la vittima presumibilmente era stata trascinata. I RIS hanno infatti rinvenuto una mistura di DNA formata dal DNA della vittima mischiato con uno ignoto. Sono quindi partiti i confronti ad ampio raggio con i contatti ricostruiti tramite l’analisi dei tabulati telefonici. Il telefono della vittima era sparito dalla scena delitto, ma gli inquirenti si sono fatti consegnare una copia della sim dal gestore telefonico, riuscendo a risalire ai dati cercati.
Tra i contatti della vittima, proprio Gianmarco Paolucci, che non ha dato il consenso al prelievo del DNA. A quel punto, i carabinieri hanno utilizzato il “metodo Bossetti”; come nel caso dell’omicidio Gambirasio, infatti, i carabinieri hanno predisposto quello che sembrava un normale posto di controllo, effettuando l’alcooltest sul sospettato, che però non serviva a sapere se il giovane aveva bevuto, ma a fare quel prelievo di DNA a cui lo stesso non si era voluto sottoporre volontariamente. Con un’attribuzione generalmente considerata certa con una probabilità statistica che supera il dieci alla sesta, la traccia del DNA sul corpo del D’Amico aveva una probabilità statistica del dieci alla ventitreesima con il DNA di Paolucci. A quel punto il cerchio si è chiuso, in considerazione degli elementi indiziari raccolti, che per i giudici confermano la colpevolezza del giovane. Tra gli elementi indiziari, i contatti tra i due che si intensificano fino al giorno dell’omicidio, il telefono di Paolucci che aggancia una cella telefonica nella zona dell’abitazione della vittima, nell’arco temporale in cui è avvenuto l’omicidio.

L’esclusione delle aggravanti: la stessa Corte, però, non ha riconosciuto le aggravanti contestate dalla Procura, dando modo all’imputato di accedere al rito abbreviato, pervenendo quindi alla pena di 15 anni di reclusione. Per quanto riguarda i futili motivi, l’aggravante è stata esclusa in quanto sostanzialmente non è stato possibile individuare in maniera univoca l’elemento che ha portato all’omicidio. Se l’ambito era quello del consumo e cessione di stupefacenti, infatti, nello specifico non è stato possibile ricostruire il preciso motivo scatenante la lite e la successiva aggressione, se non per ipotesi.
L’aggravante della crudeltà è stata invece esclusa, in quanto “gli elementi emersi dal dibattimento non consentono di ricostruire con certezza l’esatta dinamica dell’aggressione, la sequenza dei colpi e le reazioni  del D’Amico, né affermare con certezza che Paolucci abbia agito da solo. Non è dunque possibile valutare l’inflizione di sofferenze aggiuntive e non necessarie allo scopo omicidiario”.

Ora, quindi, inizia il processo d’Appello, a poco più di un anno dalla prima sentenza.

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