Le nuove stanze della poesia

Le nuove stanze della poesia, Alessandro Carrera

Le poesie di Alessandro Carrera nell'analisi di Valter Marcone nell'appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia.

Il tempo dei morti di Alessandro Carrera, nell’appuntamento settimanale con la rubrica a cura di Valter Marcone.

Il tempo dei morti è un testo unico nel panorama della poesia italiana contemporanea. Nato per incorporazioni di frammenti, scene e visioni, ha infine assunto la forma di un poema drammatico unitario, diviso in 14 scene e animato da otto personaggi o “voci”. La storia trova le sue radici in un tempo e un luogo precisi: siamo nella campagna del lodigiano, in un arco di tempo che va dagli anni trenta alla fine della guerra, e dagli anni cinquanta fino al termine del secolo. La vicenda iniziale è quella di due ragazzi rimasti orfani, del trauma che uno di loro subisce quando viene assurdamente accusato di essere responsabile della morte del fratello minore, e dell’effetto esteso nel tempo che questo trauma provocherà nella vita del ragazzo e alla sua famiglia quando sarà cresciuto. Ma non è una storia che si possa raccontare in forma lineare, perché il tempo in cui si svolge non è il tempo dei vivi, è il tempo dei morti, dove non c’è differenza tra passato e futuro. Il volume è arricchito da una illuminante prefazione di Franco Nasi e da una intensa conversazione dell’autore con Andrea Bajani che tocca non solo la composizione del Tempo dei morti ma l’intera, molteplice produzione di Alessandro Carrera.

Il tempo dei morti. Mistero di voci edito da Moretti&Vitali è un’opera che affonda le sue radici in una vicenda umana drammatica – e forse per questo ha richiesto una forma espressiva drammaturgica – il cui nucleo forte si può sintetizzare come segue: un padre proietta l’ombra del fratellino morto nel figlio, il quale per questo non riesce veramente a nascere. Nasce invece una poetica dell’increato: una perla increata [che] già vive, i “nomi impronunciati”, i “non nati” o “disnati” che occhieggiano al “vero nascere” di Zanzotto, laddove “disnascere” è regressus ad uterum

Tuo figlio si è disnato. Non ci lascia.
Non dimentica che è stato fra di noi
come tutti i non nati, qui che il tempo
fa un arco e la morte è un bambino
che non cresce. E ci guarda stordito.
Povero, ostinato come un vivo, ci crede
sempre uguali. Non sa che nessuno
è più inquieto di noi, appesi come siamo
al giudizio dei distratti che ci inchioda,
alla breve arroganza della vita…

***
Io, bambino, mai lo sono stato.
Ho avuto un figlio, sì, ci siamo avuti.
mi ha fatto lui quello che sono, un morto
che cammina nei suoi piedi. E io di lui
ho fatto quello ch’ero stato: un padre
di nessuno, che semina e non coglie.

***
Si va in cielo coi propri difetti,
non le opere buone o preghiere”.
Lui pensava che fosse un segreto.
C’è del brandy, beviamo un bicchiere.
A me sembra che ha poca memoria,
non sa neanche se mi ha fatta lui,
se mi son liberata da sola
dalle cabale sue e d’altrui.
/…/
Ma si alza, fa segno che è tardi,
la sua veste non manda un fruscìo.
Dice sì, ti sei fatta da sola,
io ci ho messo ben poco di mio.

Alessandro Carrera insegna Italian Studies e World Cultures and Literatures alla University of Houston, in Texas. Laureato in filosofia all’Università degli Studi di Milano, ha lavorato negli anni ’70 e ’80 nel mondo musicale ed editoriale. Si è trasferito in Nord America nel 1987 e ha insegnato a Houston, a Hamilton (Canada) e a New York, dove per sette anni ha curato anche gli eventi letterari dell’Istituto Italiano di Cultura. È tornato a Houston nel 2001. Ha pubblicato varie raccolte di poesie, tra cui la più recente è Songs of Purgatory (New York, Gradiva Publications, 2020), opere di narrativa tra cui La vita meravigliosa dei laureati in lettere (Sellerio 2002), testi di filosofia come La consistenza della luce (Feltrinelli 2010) e di musica, tra cui La voce di Bob Dylan (Feltrinelli 2001 e 2011). Tra i suoi libri più recenti vi sono Fellini’s Eternal Rome (Bloomsbury 2019), Il colore del buio. La Cappella Rothko a Houston (il Mulino 2019) e Fellini, o della vita eterna (MC Edizioni 2020). Ha tradotto le canzoni e le prose di Bob Dylan (Feltrinelli) e vari romanzi di Graham Greene (Monadori e Sellerio). È di prossima uscita per Feltrinelli la sua edzione di Pop di Andy Warhol. Non ha mai abbandonato la musica, e le canzoni incluse in Songs of Purgatory si possono ascoltare su https://www.gradivapublications.com/latest-news Dirige per Olschki la rivista di poesia Gradiva.
Marco Merlin in “Poeti nel limbo. Studio sulla generazione perduta e sulla fine della tradizione” un saggio che “colma un vuoto negli studi e nella poesia italiana analizzando il lavoro dei poeti nati negli anni Cinquanta e Sessanta in un’interpretazione organica. Un punto di partenza per delineare il canone dei poeti successivi alla “generazione del ’68”, l’ultima in qualche modo storicizzata, ci parla della poesia di Carrera che “ sembra far leva su una matrice espressiva spiccatamente orale, nel senso che ha la proprietà di garantirsi con naturalezza il passaggio, quasi inavvertito, fra diversi registri e toni, che vanno dalla narrazione piana a quella dal piglio epico, dalla confessione all’invettiva, dall’ironia al movimento lirico alla più alta visionarietà. “(…) Anche se a dire il vero :” gli esordi racchiusi nella raccolta La resurrezione delle cose, lasciavano presagire altra direzione, forse persino uno sbocco espressionistico. La sperimentazione linguistica, infatti, era a quell’altezza ancora alquanto insistita e dava origine non soltanto a zone costipate a livello sonoro e dense fin quasi all’impenetrabilità per le forzature sintattiche e gli accumuli (basti un semplice assaggio dal frammento V, dal sapore zanzottiano, di Lezioni all’aperto: «Miserie della pedagogia / plurale e progressiva, decisa / in sicure didassi sfiancate / dal fieno di maggio, ci spinge / a pastura lezioni creative / a usare ben altre nature / idilli ben altri. Quale / stanchezza insegnante, quale / routine stravigliacca o collega / ci fa ribadire gl’illusi / poeti migrati, con quale coraggio / ripetere a questi agli immoti / immotivati impenetrati in condotti / violenti pueri felici che in qualche / canto in qualche amore in / qualche biografica primavera in / qualche letterato eczema / il cuore, sì, il senso educato / il sociale palpitare può / essere pianta, e dico rosa, / e dico prato e tramonto / ora qui io e perpetuo la / bella morte incompresa il / crepare sussidiario vedrete / all’esame vedrete che cosa»), ma coincideva a tratti con il nucleo ispirativo del componimento, come tradiscono sia alcuni titoli – Robo con fractura (dialettica al congresso) – sia la bulinatura dei passaggi più intensi e memorabili scanditi all’interno della ritmica magmatica e percussiva di molti testi. “

“…Si intuisce nell’opera di questo poeta anche il carattere davvero “americano” , la coraggiosa apertura su più fronti, tornando così a liberarla dalle costrizioni liriche per farla adagiare su più generi. Il lavoro stesso dell’autore, nella sua complessità, sembra allargarsi di libro in libro seguendo svariate piste contigue. Ma basterebbe rileggere le prime sequenze della Sposa perfetta (il titolo di questa sezione, con ossimoro di per sé pure sintomatico, è Voli domestici) per tastare con mano non soltanto una visionarietà che diremmo eliotiana, ma la stessa capacità linguistica dell’autore di conferire potenza e grandiosità a strutture semplici ed eloquenti insieme nella loro configurazione per riprese e ritorni, su una scala di scanditi parallelismi: «Buongiorno, sono il vostro pilota. / Sapete, certe volte non so chi sono / […] / Sono sempre il vostro pilota / […] / Buongiorno, sono il vostro pilota / Fidatevi, non ne avete altri. // Buongiorno, sono il vostro pilota. / Voi no»).

Da , Beato chi scrive , Nottetempo ,2016

***
Ti ho sentito
elogiare la pozzanghera.
L’universo, dicevi,
tutto si specchia
nel suo torbido innocente.

Avrei preferito
il contrario,
sentirti elogiare
l’universo,
dire che con tutti i suoi soli
e le tempeste
non è che una pozzanghera
neanche tanto fonda.
***
Ti dicono i versi
parlano ai versi
come la notte
parla alla notte
e il giorno parla al giorno.

Non crederci. I versi
fanno parlare la notte
fino a che il giorno
la vede inarcarsi,
arcobaleno nero,
da mattina
a mattina.
***
Ma se sogni,
allora sogna
che sopra la fragile tenda
delle palpebre
un altro regno giace aperto,
immenso,
bagnato di luce,
dove ogni sillaba
è letta altrimenti.

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