Don Paolo Piccoli, processo tutto da rifare: le motivazioni della Cassazione

Processo a don Paolo Piccoli, le motivazioni della Cassazione che ha annullato la condanna a 21 anni. La difesa: “Dalla lettura della sentenza emerge con chiarezza che il processo va rifatto da capo”.
Deciderà la Corte d’Assise d’Appello di Venezia – e non più quella di Trieste – le sorti di don Paolo Piccoli, il sacerdote veneto incardinato nell’Aquilano, condannato a 21 anni e mezzo di reclusione per l’omicidio di monsignor Giuseppe Rocco. Pubblicate le motivazioni della Suprema Corte di Cassazione con cui, a marzo scorso, è stata annullata la precedente sentenza.
Don Paolo Piccoli, canonico militare e cappellano sulle navi da crociera, è molto noto in città dove aveva prestato servizio nelle parrocchie di Rocca di Cambio e Pizzoli. Era stato condannato a dicembre 2019 dalla Corte d’Assise d’Appello di Trieste a 21 anni e 6 mesi di reclusione per l’omicidio di don Giuseppe Rocco, monsignore triestino 92enne, il cui corpo fu rinvenuto all’interno della Casa del Clero di Trieste dove entrambi i presuli abitavano, il 25 aprile 2014.
In un primo momento si pensò a una morte naturale, data anche l’età avanzata; l’accusa di omicidio arrivò diverse settimane dopo, a seguito di autopsia. La vittima fu trovata senza vita dalla perpetua, Eleonora Laura Di Bitonto, che tentò di rianimare l’anziano, come registrato anche dalla telefonata fatta al 118. Sempre la perpetua, sia prima che durante le fasi del processo, fu la grande accusatrice di Don Piccoli, unica destinataria, tra l’altro, della cospicua eredità di don Rocco che – stando a quanto riferito dalla stessa – avrebbe poi diviso con i nipoti del monsignore. A don Piccoli viene contestato di aver ucciso don Rocco per impossessarsi di alcuni monili che il sacerdote aveva nella stanza e soprattutto della collanina che l’anziano prelato indossata sempre; una tesi più volte smentita dalla difesa durante tutte le fasi di dibattimento. La collanina – come accertato di nessun valore commerciale – di fatto non è mai stata trovata, nonostante le diverse perquisizioni nella stanza dell’imputato che alloggiava come don Rocco all’interno della Casa del Clero, “se non al collo della perpetua“, come ribadito dalla difesa.
La Suprema Corte di Cassazione ha ribaltato la sentenza di secondo grado, per cui il processo è tutto da rifare e la prima udienza, con ogni probabilità si svolgerà in primavera. A difendere don Piccoli ci sarà anche a Venezia l’avvocato Vincenzo Calderoni, del foro dell’Aquila che ha difeso don Piccoli dal 2017 e aveva proposto il ricorso pienamente accolto in Cassazione riguardante alcuni aspetti del processo ed in particolare, chiedeva di applicare un principio di diritto in riferimento alla ‘prova tecnica’ in conformità con alcune pronunce della Cedu (Corte Europea dei diritti dell’uomo).“La ragione per cui il processo è da rifare sta nel fatto che è stato violato il diritto alla difesa dell’imputato, ed in particolare il diritto cosiddetto delle ‘armi pari’, il quale vuole che nella prova tecnica siano sempre ascoltati i consulenti della difesa. Quest’ultimo principio contrastava con un principio in auge presso la Suprema Corte fino allo scorso ano quando è stato invece recepito il principio citato“, spiega l’avvocato Vincenzo Calderoni, sentito dal Capoluogo.
Nel nuovo processo bisognerà accertare se don Rocco è stato davvero ucciso o se invece deceduto per cause naturali o se la rottura dell’osso ioide che ha portato don Piccoli sotto processo, potrebbe essere avvenuta durante le operazioni autoptiche. Non si può escludere inoltre che sia avvenuta in occasione dello spostamento del cadavere da parte dell’impresa di pompe funebri, oppure – contestualmente all’autopsia – durante le operazioni di estrazione del blocco laringo-faringeo: “Prima dell’autopsia – chiarisce il legale – non era stata fatta una tac per fotografare la situazione. Così la difesa (all’epoca rappresentata dagli avvocati Vincenzo Calderoni e Stefano Cesco del foro di Pordenone ndr) non aveva potuto far valere le conclusioni dei propri consulenti tecnici che divergevano da quelle dell’accusa su aspetti che la stessa Cassazione ha ritenuto di fondamentale importanza. Per la Suprema Corte ancor prima di procedere all’individuazione dell’autore del delitto, del movente, dell’origine delle macchie ematiche rinvenute sul letto, risulta essenziale ricostruire le cause della morte dell’anziano”.

Don Paolo Piccoli, si è sempre dichiarato innocente: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore. Lui ha scelto per me, questa è la mia croce, la porterò è continuerò il mio cammino di purificazione”, aveva detto il monsignore nell’intervista rilasciata al Capoluogo.it, all’indomani della pesante sentenza di primo grado.
Il caso di don Piccoli ha suscitato un notevole clamore mediatico, il processo a Trieste è stato seguito e mandato in onda dalla trasmissione “Un giorno in pretura” e se ne è occupata anche trasmissione condotta da Federica Sciarelli, “Chi l’ha Visto”.