Ricette e tradizioni

Amaretti morbidi, la ricetta Dolci Aveja: sapori e ricordi di una volta

Un tempo, quando arrivavano cerimonie o feste, sulla tavola non potevano mai mancare gli amaretti Dolci Aveja. Una ricetta antica, dai segreti di nonna Anaide

Dalla tradizione e dall’antica ricetta di nonna Anaide, nascono gli amaretti Dolci Aveja. Profumo e sapore inconfondibili, un tempo immancabili accompagnavano un buon caffè.

PUBBLIREDAZIONALE – Mandorle dolci e, in parte amare, zucchero, albume d’uovo montato a neve e “olio”, ma solo di gomito. Al resto pensano il cuore e la passione. Pochi ingredienti… speciale il risultato: gli amaretti Dolci Aveja nascono dall’antica ricetta di nonna Anaide e, con solo qualche piccolo adattamento nel tempo, oggi restano depositari di antichi sapori che non passeranno mai di moda.
Per questo, ora che si avvicina il Natale, è impossibile non pensare al passato: ai ricordi delle buone tradizioni, a quando, cioè, gli amaretti accompagnavano puntualmente il caffè, a conclusione dei pranzi e delle occasioni speciali. Già, perché dopo il pranzo “importante” di una volta l’amaretto era la giusta conclusione, per deliziare i palati di tutti.

La pasticceria alle mandorle nasce a L’Aquila proprio con Dolci Aveja, che dell’amaretto morbido ha fatto un suo ‘marchio di fabbrica’.
“Dagli amaretti di nonna Anaide, siamo passati, negli anni, a creare un assortimento di circa 15 diverse qualità di pasticceria alle mandorle e nocciole, senza farina né grassi, e a farla diventare ormai la tipicità della nostra città, il regalo più rappresentativo e più significativo per chiunque ha ospiti o amici da fuori e vuole fare un regalo tipico, accompagnato alla Ferratella al liquore di Genziana e al nostro Torrone”, evidenzia Maria Teresa Spagnoli di Dolci Aveja.

L’amaretto è il simbolo assoluto della pasticceria alle mandorle ed ogni regione ha la propria versione. “Il nostro amaretto – aggiunge Maria Teresa – è realizzato ancora con la ricetta tradizionale della nostra zona. Del resto, l’Abruzzo era ricco di mandorle. La regione era tra i più importanti produttori europei di mandorle e la nostra vallata, con le zone di Barisciano e Capestrano su tutte, diventavano un quadro capolavoro nelle tinte del rosa, nel periodo della fioritura dei mandorli”. Poi, lo spopolamento dei borghi ha portato anche all’abbandono di queste coltivazioni. Oggi, infatti, le mandorle arrivano dalla Puglia o dalla Sicilia. “Le pugliesi sono più simili alle nostre mandorle: rotonde, grasse e, per questo, più adatte alla pasticceria. Al contrario, la mandorla siciliana è più lunga, più elegante ed asciutta. È ideale per i confetti”.

Parlare di amaretti significa parlare di tradizione. “Il mio pensiero vola a quando le nostre mamme li facevano in casa per gli eventi importanti:  banchetti di matrimonio, feste patronali o semplicemente se si avevano ospiti a pranzo di rispetto e, per questo, si incominciava a cucinare addirittura una settimana prima. Ho ricordi nitidi di quando mia madre iniziava i preparativi culinari per queste feste e per queste occasioni speciali.
In casa c’era improvvisamente agitazione. Papà doveva raccogliere le verdure più belle e fresche dell’orto, scegliere il pollo più grande. Non solo, doveva tagliare il prosciutto e verificare che fosse perfetto per l’occasione. Poi c’erano i nostri compiti, quelli che spettavano a ciascuna figlia. Chi sbucciava i piselli, chi spennava il pollo, chi aiutava nella preparazione del brodo… fino a quando arrivava il fatidico giorno e noi ragazzi dovevamo radunare le sedie per gli ospiti. C’era uno scambio reciproco: quando una famiglia ospitava gente, tutti i vicini prestavano le loro sedie.
Questi pranzi, tanto faticosamente preparati e senza le comodità dei frigoriferi,
 si concludevano con il dolce: nella maggior parte dei casi, la torta in pan di spagna, farcita con crema pasticciera, bagnata di alchermes e altro e guarnita con glassa di zucchero. Solo alla fine di tutto, arrivava il vero protagonista, l’immancabile amaretto ad accompagnare il caffè. Un dolce che, appunto, non poteva mancare”.

 

“Chi non sapeva preparare gli amaretti chiedeva aiuto alla signora del paese considerata ‘esperta’. In molti casi era nonna Anaide, madre di mio marito”.

Dal passato si torna al presente, perché la ricetta degli amaretti morbidi ha attraversato epoche e generazioni ed oggi continua a conquistare.
“Molte sono le variabili che incidono sulla buona riuscita degli amaretti. – precisa Maria Teresa alla nostra redazione – In primis la qualità della mandorla, che deve essere pugliese, rotonda e ricca di oli essenziali, molto simile proprio a quella abruzzese di un tempo. Influisce anche la tritatura della mandorla, che deve essere un po’ grossolana, non polvere. Inoltre, gli albumi vanno montati a neve. Fondamentali restano cuore, passione e un po’ d’esperienza. L’impasto deve risultare morbido ed umido al punto giusto.
Questa è la nostra ricetta, quella di nonna Anaide perfezionata nel tempo:
470 grammi di mandorle dolci,
500 grammi di zucchero semolato,
circa 220 grammi di albume d’uovo montato a neve (la quantità dipende dalla consistenza dell’impasto, ad esempio alcuni lo lasciano riposare un’oretta prima della cottura, per evitare che possano ‘sbragarsi’ nel forno),
40 grammi di mandorle amare.
Terminato l’impasto e data la forma, gli amaretti vengono rotolati nello zucchero semolato. Cottura a 200 gradi per 16/18 minuti”.

Maria Teresa vi invita a provare e a contattarla per qualche consiglio ‘in diretta’!

 

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