Femminicidi, Roberta D’Avolio: Per debellare la scia di sangue occorre una rivoluzione culturale

Femminicidi in Italia: una macabra scia di sangue nel 2023. L’intervista del Capoluogo alla dottoressa Roberta D’Avolio, sostituto procuratore presso la Procura dell’Aquila, in prima linea per contrastare un bollettino di guerra, “Che va arginato con una rivoluzione culturale”.
“Solo quest’anno sono state uccise più di 100 donne: ci troviamo davanti a un calendario macabro, un bollettino di guerra con un elenco di caduti. Come istituzioni cerchiamo ogni giorno di combattere una guerra, senza ancora riuscire a debellarla. È sempre più palese che la violenza di genere vada smantellata alla radice, compiendo una vera e propria rivoluzione culturale”. Parole accorate, ma ferme e decise, quelle della dottoressa Roberta D’Avolio, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica dell’Aquila, in prima linea, insieme ai suoi colleghi per cercare di smantellare il fenomeno, ormai sempre più ‘perverso’ della violenza di genere.
L’intervista del Capoluogo alla dottoressa Roberta D’avolio arriva in concomitanza con uno momenti di riflessione, organizzato per il 25 novembre: la presentazione della campagna comunale “Non sei sola” dedicata alle vittime della violenza di genere, a cui ha partecipato il ministro Eugenia Roccella. Un momento di sensibilizzazione per diffondere il numero anti-violenza e stalking 1522 sui mezzi del trasporto pubblico, per far capire alle donne che uscire dal gioco e dal cappio della violenza si può.
L’intervista alla dottoressa D’Avolio
Quest’anno, la giornata internazionale dedicata alla violenza di genere cade in un momento molto particolare: sono giorni tristi, in cui si piange l’ennesima giovanissima vittima, Giulia Cecchettin, uccisa pochi giorni prima dell’agognata laurea, per mano dell’ex fidanzato che non aveva accettato la fine della loro relazione. Gli omicidi registrati tra il 1 gennaio e il 12 novembre 202 sono stati 285; di questi le vittime di genere femminile sono 102, pari al 35,8%. Una su tre, per semplificare. Se si guarda a quelli maturati in un contesto familiare o affettivo, abbiamo un totale di 125 morti, dei quali 82 donne. “Una scia di sangue che sembra non voler finire mai – aggiunge la dottoressa Roberta D’Avolio -. La violenza di genere ha una radice culturale che va smantellata. Adesso, la vera rivoluzione non è tanto nella risposta giudiziaria o nell’attività di prevenzione che va fortificata, ma dobbiamo renderci conto che va aumentata la diffusione del senso del rispetto tra i giovani, inserire materie che riguardino il rispetto e la parità di genere, intervenire in quei luoghi dove i giovani esprimono la loro personalità. Soltanto in questo modo, formando una viva coscienza civile, riusciremo a dare un segno di cambiamento e e formare gli adulti del domani”.
Prima che la parola femminicidio entrasse nel gergo comune, prima ancora che fosse inserito il Codice Rosso nel diritto penale, la dottoressa Roberta D’Avolio, nelle vesti di giovane pm, si occupò di un caso che colpì tutto l’Abruzzo: il brutale omicidio, avvenuto nell’aprile del 2010, di Adele Mazza, una donna teramana che viveva ai margini della società, uccisa, fatta a pezzi e gettata in un prato dove venne ritrovata da alcuni passanti. Fu un processo difficile per la dottoressa D’Avolio e per il giudice Cirillo. A uccidere Adele Mazza era stato il compagno dell’epoca, Romano Bisceglia, un uomo che l’aveva resa quasi in schiavitù, facendole vivere una vita grama, travagliata e di soprusi, costringendola a prostituirsi per poi riceverne i ricavi, in una Teramo ai margini fatta di sesso a pagamento e ricatti. L’uomo fu poi condannato all’ergastolo; morì nel 2015 dopo che gli erano stati concessi i domiciliari a causa di una gravissima patologia che lo aveva costretto a un ricovero in ospedale. “L’omicidio della povera Adele – ricorda la dottoressa D’Avolio – rientra proprio in quel contesto culturale di cui parliamo. All’epoca non esisteva il femminicidio, non c’era la legge del 2014 (precedente al Codice Rosso) che avrebbe in seguito inasprito la pena per reati del genere, non era stata promulgata la Convenzione di Istanbul (*). Durante l’escussione dei testi e in sede dibattimentale emerse tutta la radice culturale che aveva portato al terribile fatto di cronaca, una radice dove aveva trovato linfa la lunga scia di violenze fisiche e psicologiche perpetrate nei confronti di una donna completamente sottomessa al suo aguzzino. Una donna che aveva fatto degli errori, ma nel momento in cui aveva cercato di cambiare vita, era comunque costretta a sottostare ai voleri del compagno in un rapporto di forza che portò l’uomo a decidere di eliminarla dal momento che si era ribellata”.
“Noi continueremo la nostra battaglia: le istituzioni ci sono, la Procura dell’Aquila c’è, i magistrati sono presenti e attueranno fino alla fine tutti gli strumenti previsti dalla legge, ampliando dove possibile la rete necessaria per proteggere le donne”, conclude.
*La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica rappresenta una pietra miliare per il contrasto alla violenza di genere.
Entrata in vigore il 1° agosto 2014, è stata ratificata solo da dieci Stati; l’Unione europea ha aderito alla Convenzione di Istanbul il 1º ottobre 2023. Si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per un quadro normativo completo a tutela delle donne contro la violenza, di qualsiasi forma. É composta da un preambolo, 81 articoli divisi in 12 capitoli e un allegato. L’applicabilità della Convenzione è prevista sia in tempo di pace, sia nelle situazioni di conflitto armato, circostanza che da sempre rappresenta un momento di feroci violenze sulle donne.
Secondo Amnesty International è “il trattato internazionale di più vasta portata creato per affrontare la violenza contro le donne e la violenza domestica. Stabilisce gli standard minimi per i governi in Europa nella prevenzione, protezione e condanna della violenza contro le donne e della violenza domestica. Include obblighi per gli Stati di introdurre servizi di protezione e supporto per contrastare la violenza contro le donne, come per esempio un adeguato numero di rifugi, centri antiviolenza, linee telefoniche gratuite 24 ore su 24, consulenza psicologica e assistenza medica per vittime di violenza. Invita inoltre le autorità a garantire l’educazione all’uguaglianza di genere, alla sessualità e alle relazioni sane”.