Le nuove stanze della poesia

Le nuove stanze della poesia, Imperatrice Bruno

Le Volontà nobili di Imperatrice Bruni nell'appuntamento settimanale con la rubrica Le nuove stanze della poesia a cura di Valter Marcone.

Sul sito dell’editrice Nulla Die, Marco Sonzogni scrive di Imperatrice Bruno: “La penna di Imperatrice Bruno è una bocca, la bocca della poesia, che pulsa in lei come un vulcano in perenne promessa di eruzione. Non sorprenderà che i versi trattenuti a stento tra le pagine siano incandescenti, perché lo sono mente e corpo che li hanno generati: le parole scottano di vita già troppo vissuta, di pensieri e di azioni già troppo arsi dalla presuntuosa fallibilità umana. Eppure, si può ritardare la resa – si può quantomeno provare a farlo. Nella poesia, infatti, storia e speranza, con le parole di Seamus Heaney, possono rimare. A chi incontrerà questo libro l’autrice lascia direttive precise, «amabili e terribili», affinché il suo dono, violentemente sincero e sofferto, si compia pienamente: «panacea» indispensabile per garantire all’anima un futuro senza inganni.

Imperatrice Bruno è nata ad Ariano Irpino (AV) nel 2001. Dopo il suo debutto con Costellazioni di emozioni (2018, Aletti editore), pubblica nel 2021 la raccolta poetica Caratteri Interi (Nulla Die). Le sue liriche sono state premiate, tradotte in diverse lingue e riportate su testate giornalistiche internazionali. . Nel 2019 ha vinto il 14° concorso Internazionale di poesia inedita “Dedicato a… Poesie da ricordare”. Nel 2020 alcuni suoi testi compaiono su La Repubblica nella sezione “Bottega della poesia” e varie antologie poetiche.
Su Atelierpoesia.it possiamo leggere inediti come questi :

I miei seni sono in piedi nella notte,
nella piazza
desolata che ci stringe;
torri che fanno guardia
tendendo il collo, il mento,
al presagio del tuo arrivo.
Cercano la mano lenta,
l’arma, l’acqua di luna
che ti scherma gli occhi.
Alla fine della strada
che te a me conduce
brilla – in petto, soldato –
un lungo faro chiaro.
*
Ho tentato la salvezza:
attenta e lontana da te
come quando ci si scosta
di riflesso
dai raggi a punta di un ombrello.
Io ho tentato il morire
di freddo,
contro le mie voglie, contro
la calura dei miei anni,
la malura che nei miei occhi già
si contraddice.
Terra amara di mele acerbe
lo sguardo vispo mio
che ti rovina,
terra di sale e secche
per non mettere radici.
Però il tuo beato, però il tuo
dolce innocuo di pioggia
che rinfresca e non bagna
non ho saputo fuggire.
Io ho tentato la salvezza dal tuo sguardo,
dal mare nero e violento che nel vento
ti corona, ho chiuso celle, sfregiato il viso
ma se ora nel freddo trovo il tempo
di un corpo con amore
fermo il giorno e acceco l’Angelo
che mi possa salvare.

Studentessa di Economia all’Università Bocconi di Milano, appena ventunenne, Bruno ha già all’attivo tre monografie. Diversi suoi componimenti sono stati pubblicati in antologie sia italiane che straniere, ha ricevuto una menzione sul Journal of Italian Translation di New York, e lo stesso “Volontà Nobili” ha già vinto il prestigioso Premio di Poesia “San Vito al Tagliamento”.
Alcune poesie da Volontà nobili, seconda raccolta di Imperatrice Bruno (Ariano Irpino, 2001), vincitrice della sezione “Giovani poeti” del premio San vito al Tagliamento 2022/23 .

La bocca mia è una penna,
la saliva inchiostro
sul tuo zigomo liscio
dosso di pagina bianca:

in un bacio
si riversa
la genesi dei viventi.

In una intervista data a Rosaria Carifano pubblicata su orticalab.it il 6 aprile 2023 della raccolta Volontà Nobili la stessa Imperatrice Bruno dice : «Le Volontà Nobili sono le forze endogene dell’anima che vuole evolversi. Tratto temi come la terra, la carne, il sesso, ma sempre con un Dna spirituale, rendendo tutto ciò che è umano anche divino, etereo. La mia proposizione nei confronti dei lettori è quella di indagare la propria umanità per elevarla ad uno stato superiore. In un secolo come il nostro, materialista e capitalista, è uno stimolo a trovare la propria “motivazione d’anima”, un tentativo di dialogo tra il visibile e l’invisibile. È un libro che snocciola l’amore dal suo sentimento più carnale a quello più spirituale, come stato fisico e ontologico dell’essere. Lo considero una sorte di breviario, perché io vivo la poesia come fosse una preghiera. Credo sia necessario leggerla ad alta voce, perché è un’arte metafisica. Va performata. Come la musica, non può essere lasciata sulla carta. Dobbiamo utilizzare gli strumenti del nostro corpo – il diaframma, le corde vocali, la lingua, il palato – e così farle acquisire un senso quasi liturgico, una dimensione rituale».

“Mi sto innamorando.”
dicesti.

Desiderai della mia vita
fare il punto
sposo della frase.

In quel momento ho l’età dell’erba
e la mia coscia tremante indica
il primo movimento della mano.

Caro Dio,
nel cuore del mio fiore c’è un uomo
senza il marchio della morte.

Continua così: “«Se la poesia che si produce ha l’intento di essere arte, allora non può essere un diario privato, perché in quel caso la scrittura acquisirebbe la funzionalità di sfogo. Certo, la poesia viene dalla sfera intima, ma l’arte nasce per essere fruita ed è al servizio del popolo. Al poeta – come ad ogni artista – è chiesto di rappresentare la cultura e la società del proprio tempo. Anzi, forse di anticipare. Quindi non può vivere isolato e usare la scrittura come mero sfogo del proprio sangue e dei sentimenti. La carta non è né uno psicologo né uno specchio: per produrre arte c’è uno scalino da superare, e lo si fa se si arriva al pubblico. In un’epoca come la nostra, se ho l’onore di pubblicare, ho anche l’onere di apportare un quid, un contributo alla scena letteraria italiana, e non meramente di soddisfare una velleità. Ogni volta che si presenta un libro bisogna chiedersi “Perché qualcuno dovrebbe leggerlo?”, e se da un lato è vero che la poesia ha un pubblico di nicchia, dall’altro sono gli stessi poeti che devono interrogarsi. Condivido l’approccio di Franco Arminio, che con la sua paesologia vuole sdoganare il poeta nella torre d’avorio e raggiungere chiunque, anche chi non si interessa di poesia o filosofia. Quando una poesia viene letta e non capita, è un fallimento per chi la scrive, perché la comunicazione deve arrivare – se non a tutti, perché è molto difficile – almeno a tanti».

La mia casa è tra le tue costole,
lì mi troverai seduta a fare il giorno,
a saltare con il tuo cuore.

In tutto il mondo
in tutto il mondo
sceglierei la tua umana forma come scrigno
del mio canto, con te voglio essere terra
e abbandonare la terra;
la mia casa è tra le tue costole,
lì mi troverai a saltare e
a stancarmi col tuo cuore.

Settembre che con la fuga
mi sventri il midollo,
forza, portalo da me.
Portamelo radiante, bello come un Re d’Egitto,
portamelo lento, che si faccia intravedere,
un po’ aspettare,
giovani occhi d’inchiostro.
Portamelo al caldo e mentre dorme,
che non mi arrivi affamato o nervoso,
settembre,
io ti spio con gli occhi del mio corpo,
ti spio di giorno mentre parli
e ti metti l’orologio.
E se non me lo porti fai una brutta fine.
L’anno prossimo mi stendo ad agosto
e dalla terra non ti rialzo più.

A proposito dei suoi riferimenti Bruno confessa sempre nell’intervista sopra citata: “Quelli emotivi, Eugenio Montale, Pablo Neruda e Dylan Thomas. Ma quando è arrivato il mio approccio differente alla poesia, lo sono diventati Mario Luzi, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis. La generazione del secondo ‘900 che – nel caso di chi è ancora vivente – porta avanti il testimone luminoso poetico”. 

La notte è bassa.
La mano pende da una ringhiera nera.
In strada il bagnato, l’odore dei cani,
quattro luci rosse rotolate sull’asfalto.
I palazzi alti sono cifre,
suture nel costato di un bambino.
Sotto una tettoia
un quadratino disturbante,
giallo opaco, miele per le mosche,
pupille, attente come se si stesse
sfilando le mutande.
Che coraggio serve a fare veglia,
nell’ora della guerra, della paura,
nell’ora più sovrana – dissacrare –
la rivoluzione della luce.
Essere lepre tra le belve.
Richiamare il branco.

Nei miei sogni sono una finestra gialla,
amata da tutti come il miele.

Davide Rondoni, che del libro ha curato la prefazione, scrive: “L’Amato non comprende la lingua della poetessa. Lo scopriamo alla fine, in un verso dove appare finalmente qualcosa della fisionomia reale di questo “tu” su cui, ossessiva e musicale, feroce e piena di incanti, si riversa la dolcezza amara del canto d’amore perduto. Perché sboccia ancora una rosa se un amore finisce? si chiede la poetessa dai molti capelli, come dice, e dalle molte metafore.
La sua poesia batte dove il dente duole, e potrebbe apparire come l’ennesimo canzoniere di amore e abbandono, tema che caratterizza la nostra epoca come uno strano mantra. Tema perenne, certo, di amanti abbandonati sono piene le navi della poesia, da Saffo a Didone ai giorni nostri. Eppure, in questa predilezione per il tema dell’abbandono leggo qualcosa di più profondo che riguarda l’epoca che viviamo. Pasolini già negli anni ’70 rilevava che un bambino che veniva al mondo era meno “benedetto” di un tempo. Vale a dire che la nascita appare – e oggi ancor più – non l’inizio di un’avventura, bensì una specie di abbandono, di inizio di deriva. Un grande abbandono, a cui gli abbandoni particolari ridanno fuoco rinnovato di pena, ustione nuova. Ma non si tratta solo di questo.
Alla poetessa che mi mandava i testi ho ripetuto più volte “dammi il mondo, non solo i tuoi sentimenti o la loro meravigliosa convulsa cronaca”. Dammi la rosa che fiorisce ugualmente nel giardino. Sono diversi i momenti in cui il mondo entra nel diario dolce e inferocito: le fontane del paese, un confessionale, una catenina… E quella rosa. Nella continua passione di compiere il ritratto di un amore (e un autoritratto di sé stessa amata e amante) la poetessa, anche volendo, non può dare solo la forma di quel tu al mondo intero. Appare, fiorisce ugualmente, si accampa il mondo nel mezzo della guerra amorosa, e nella apparente sconfitta per dirle: “ora guarda, molto è passione, ma non tutto”.
E la forza impetuosa, imperiosa – nomen omen, anzi woman –, l’energia tellurica della ragazza innamorata, piena di sorprese e di ferite, ora, forse, tolto il velo di fuoco e oro e fantasmi, può animare uno sguardo aperto, più libero e forte. Era necessario questo crogiuolo ardente? Sì, era necessario. Lo ha voluto condividere.
La sfrontatezza dei poeti non ha fine, e di certo non è vanagloria, semmai pena, magone, sete. Per fortuna.
E per fortuna la rosa, anche lei così sfrontata, ancora fiorisce e mormora: guardami”.

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