Cultura

Tutti i Santi giorni, 25 dicembre: ricorre la Natività del Signore

La Natività del Signore per la rubrica "Tutti i Santi giorni" del 25 dicembre. Il presepe Antinori e l'opera in terracotta policroma di Saturnino Gatti esposta al MuNDA.

La Natività del Signore per la rubrica “Tutti i Santi giorni” del 25 dicembre. Il presepe Antinori e l’opera in terracotta policroma di Saturnino Gatti esposta al MuNDA.

Il 25 dicembre ricorre la Natività del Signore. La Chiesa celebra con la solennità della Natività del Signore la manifestazione del Verbo di Dio agli uomini. L’etimologia del termine Natale deriva dal latino [dies] Natalis, “[giorno] natalizio”, cioè appunto giorno della nascita di Gesù Cristo. I Vangeli, le uniche fonti storiche relative alla vita di Gesù, non riportano indicazioni cronologiche precise circa la sua nascita. La prima attestazione cristiana del Natale al 25 dicembre è rintracciabile nel documento Cronografo del 354 di Filocalo, calligrafo di papa Damaso, dove nella Depositio Martyrum filocaliana, databile al 336, a tal giorno, l’8° alle calende di gennaio, si legge “natus Christus in Betleem Iudeae”. A Roma questa festa corrispondeva alla celebrazione pagana del solstizio d’inverno, “Dies Natalis Solis Invicti”, cioè la nascita del Sole Invincibile, nel momento dell’anno in cui la durata del giorno iniziava ad aumentare dopo il solstizio d’inverno. Tale culto ebbe origine in Siria e in Egitto, dove già in epoche preromane la venuta del Sole era rappresentata nel mito di un fanciullo divino partorito da una vergine donna. La devozione proseguì in epoca romana, confluendo nel culto del dio Mitra, raffigurato anch’esso come un fanciullo, colto nell’atto di sacrificare un toro sacro. L’origine storica del Natale non è del tutto certa; tuttavia, probabilmente, la data del 25 dicembre come giorno di celebrazione della Natività del Signore è stata fissata per sostituire la festa pagana del Sole Invitto, ufficializzata dall’imperatore Aureliano nel 274; quindi si tratterebbe di una scelta del giorno unicamente per motivi teologici. In ogni caso, il significato autentico del Natale cristiano ha le sue fondamenta nel grande disegno salvifico di Dio: suo Figlio si è incarnato, si è fatto uomo, per salvare gli uomini.

Se guardiamo alla produzione artistica, con il termine “Natività” si intende una rappresentazione in cui è presente la Sacra Famiglia in una grotta o capanna. La scena talvolta è arricchita da altri personaggi, come santi, angeli e donatori, comparsi soprattutto a partire dal Quattrocento; spesso alcuni particolari architettonici racchiudono la raffigurazione in un ambiente domestico; quando compaiono anche i pastori e i Magi si parla più propriamente di “Adorazione”. La raffigurazione della Natività del Signore trae origine, oltre che dai Vangeli di Luca e Matteo, dalle descrizioni dei Vangeli apocrifi e della Leggenda Aurea di Jacopo da varagine. La più antica raffigurazione del soggetto iconografico risale al III secolo d.C. e si trova nelle catacombe di Priscilla: la Vergine è seduta con il Bambino in braccio mentre l’uomo che le è accanto indica la stella in riferimento a quanto dice il profeta Balaam: “Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (NM, 24 – 17). Nelle più antiche rappresentazioni databili al sec. IV, come i sarcofagi del Museo Lateranense di Roma, appare lo schema semplice di una capanna o di una grotta, dove il Bambino giace al centro, sulla paglia, fra il bue e l’asinello; questi due animali trovano precisi riferimenti nell’Antico Testamento, rappresentando il vitello il popolo ebreo, mentre il somarello i pagani. In alcuni di questi sarcofagi iniziano a comparire anche le figure di pastori o talvolta di profeti con un rotolo di pergamena. Dal V secolo compare la figura di Giuseppe seduto su un masso, che soppianta il pastore/profeta, di solito raffigurato sul lato opposto a Maria, che diviene il punto focale della scena solo a partire dal VI secolo d.C. Dopo il Concilio di Efeso del 431, con la proclamazione della divina maternità di Maria, si ebbe una ufficializzazione del soggetto che cominciò ad avere una ampia diffusione nei vari campi artistici. Generalmente la scena si svolge in una grotta, utilizzata per il ricovero degli animali, con Maria distesa come una puerpera, adagiata su un fianco, con la testa velata e avvolta con un manto; Giuseppe, un vecchio con una lunga barba e un’ampia toga raccolta su un braccio, assorto in un angolo e gli Angeli, in forma di vittorie alate, che portano l’annuncio ai pastori, mentre a volte in lontananza si intravedono i Magi. Il centro della composizione è costituito dal Bambino Gesù, avvolto in fasce e deposto in una culla, spesso simile a un sarcofago, a preannunciare simbolicamente la Sua morte e risurrezione. Nel tardo Medioevo la Natività si trasformò quasi nell’adorazione del Bambino da parte della Vergine Maria, inginocchiata con le mani giunte presso la culla, tipo iconografico che si mantenne quasi inalterato fino a dopo la Controriforma.  In questo periodo, infatti, per contrastare l’eresia che voleva dividere la natura dalla Grazia, si abbandona ogni descrittivismo, a favore di una trascendenza ottenuta per mezzo dell’uso della luce, con il corpo del Dio incarnato che acquista un soprannaturale splendore. Dal XVIII secolo si perde il calore devozionale per lasciare spazio al sentimentalismo, mentre nell’Ottocento, l’attenzione degli artisti si sposta sulla fedeltà ambientale e sulla veridicità dei costumi più che sull’accentuazione del valore religioso.

In copertina si riporta una immagine del Presepe Antinori. Affascinante è la sua storia: appartenuto al celebre scrittore Anton Ludovico Antinori, dopo aver a lungo viaggiato tra la Toscana e Bologna a seguito degli spostamenti della famiglia da cui prende il nome, il Presepe giunse all’Aquila nel 1769, richiesto da Gennaro Antinori al cugino per le festività. Quando il casato si estinse, venne ereditato per legami matrimoniali da Luigi Stella Maranca di Lanciano; nel 1963 le nipoti di Luigi, Marianna e Maria Assunta, decisero di lasciarlo ai frati minori del convento francescano lancianese di Sant’Angelo della Pace o Sant’Antonio, a cui appartiene tuttora. Dopo essere stato esposto sotto le festività natalizie, fu riposto in un baule, e quasi dimenticato fino al 2012, quando è stato riscoperto da due studiosi lancianesi, Giacomo e Gaetano De Crecchio, che ne hanno portato avanti lo studio e pubblicato un volume fotografico documentante il precario stato di conservazione al momento del ritrovamento: “I pastori che dormono. Il presepe Antinori in viaggio da L’Aquila a Lanciano”, Casa Editrice Rocco Carabba, Lanciano, 2012. Nonostante l’antichità, il Presepe è giunto sino ad oggi piuttosto integro: si compone di 108 pezzi sui 154 originali, divise in 84 personaggi e 24 animali. Si tratta di statue lignee, datate al tardo ‘600, modellate a tuttotondo e con gli arti snodabili, una sorta di manichini scolpiti e dipinti, di cui si conservano pochi esemplari in Italia. L’altezza delle statue dette “terzine”, cioè corrispondente a 1/3 della figura umana, varia tra 46 e 60 centimetri. Oltre al gruppo della Natività e dei Re magi raffigurano adulti e infanti del ceto borghese finemente abbigliati, raffigurati anche con qualche accenno ai difetti fisici dell’epoca. L’opera è stata vincolata dalla Soprintendenza ai Beni Storici Artistici d’Abruzzo e si è provveduto al restauro di diciotto pezzi, effettuato nel laboratorio Cantone-Contestabile di Napoli.

Altra opera che si vuole presentare è la Natività in terracotta policroma, realizzata sul finire del XV secolo – inizi del XVI, da Saturnino Gatti. Originariamente era collocato nella Collegiata di Santa Maria Assunta a Santa Maria del Ponte, frazione di Tione degli Abruzzi, come risulta dalle fonti documentarie e dalla fotografia conservata nell’archivio dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. Il gruppo scultoreo è composto dalla Madonna inginocchiata, avvolta da un pesante panneggio, solcato da pieghe profonde, da San Giuseppe, inginocchiato anche lui, e dal Bambino, un tempo sdraiato nella mangiatoia oggi scomparsa, posto tra di loro a terra. Le terrecotte sono caratterizzate da una imponente volumetria e da un solido plasticismo, ammorbidito dal modellato pittorico visibile soprattutto nel volto della Madonna. Il Presepe era inserito all’interno di una piccola nicchia affrescata in un secondo momento, forse nel 1621, data che si legge sulla cornice. È probabile che i tre pezzi dovessero far parte di una composizione più grande, sulla scorta della tradizione dei presepi votivi. Da un documento del 1939 a cura della Soprintendenza risulta che le opere d’arte dalla chiesa di Santa Maria del Ponte, colpita duramente dal terremoto del 1915 e depredata di alcuni beni, vengono trasportate a L’Aquila nel 1935, e sottoposte a piccoli interventi di restauro, seguito da un altro nel 1994. L’ultimo intervento conservativo è stato svolto ad opera dell’Istituto Superiore per le Conservazione e il Restauro a seguito del sisma aquilano del 2009. L’opera è attualmente conservata presso il MuNDA.

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