Sant’Antonio, in Abruzzo si rinnovano i riti: canti, fuochi sacri e cibo

16 gennaio 2024 | 07:58
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Sant’Antonio, in Abruzzo si rinnovano i riti: canti, fuochi sacri e cibo

Si accendono in tanti paesi dell’Abruzzo montano farchie e focarazzi in onore di Sant’Antonio: riti e tradizioni per onorare il protettore della vita agreste

“Sant’Antonio Sant’Antonio, lu nemice dellu dimonie…” L’Abruzzo si appresta a onorare il santo patrono e protettore per eccellenza degli animali e della vita rurale! Nell’Abruzzo interno aquilano si rinnova il rito dei fuochi e delle farchie, in una notte di festa in cui si mescolano tradizioni popolari, folklore, misticismo, accompagnando convivi e canti con il il vino robusto e gentile.

“Torcioni”, “farchie”, “focarazzi”, “ceppi” o “falò di S. Antonio”, sono presenti da sempre nei riti popolari per celebrare la ricorrenza: il fuoco l’elemento in comune, per la sua funzione purificatrice e fecondatrice, come, del resto, tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno all’imminente primavera. Il culto del santo egiziano è un punto fermo nella tradizione contadina dei nostri piccoli borghi. Tra i riti più partecipati e sentiti quello che riunisce, ogni anno, la comunità di Collelongo e i vicini paesi marsicani. Le prime attestazioni storiche relative al culto di Sant’Antonio Abate a Collelongo risalgono allo scorcio del 1600, periodo in cui verosimilmente venne eretto l’Altare dedicato al Santo nella chiesa di Santa Maria NuovaNella Valle Subequana i festeggiamenti iniziano martedì 16 gennaio; a Molina Aterno ci si ritrova in piazza per poi girare tra le vie del paese per l’appuntamento con il tradizionale canto di Sant’Antonio per poi chiudere in bellezza con un ricco buffet. Anche a Castelvecchio Subequeo si inizia il 16 gennaio con i compari di Sant’Antonio che gireranno per le vie del paese per chiudere i festeggiamenti sabato 20 con i canti tradizionali in piazza Nenni di Roppoppò, la benedizione degli animali vicino al fuoco e la Messa Solenne. Tutto pronto anche nella popolosa frazione di Paganica per “La Benedizione degli Animali”  in occasione della ricorrenza di Sant’Antonio Abate che, per motivi organizzativi, si svolgerà domenica 21 gennaio. Dalle ore 12 in località Largo Sant’Antonio, previsto il raduno degli animali presso le Aie Scarazze, sfilata per le vie del paese e premiazione per tutti gli animali. A seguire sarà possibile gustare un buon piatto di fagioli della tradizione locale presso la pizzeria L’Elogio delle Farine.

Sant'Antonio

In tutto l’Abruzzo montano, la festa in onore di Sant’Antonio ha preso i contorni di un rito dalla forte connotazione religiosa, ma che presenta dei tratti pagani, legati a un periodo dell’anno – complice il freddo e le giornate molto corte – dedicato storicamente al culto della famiglia e al riposo dal lavoro contadino. Fin dalla notte dei tempi, venerare il santo, rappresenta un atto di devozione con cui la popolazione affida la custodia e la protezione di quanto c’è di più prezioso nelle famiglie contadine: gli animali, anche perchè la loro perdita potrebbe comportare la rovina. Una delle canzoni più famose dedicate al Santo conosciuta in tutto l’Abruzzo, è Sant’Antonio a lu deserte; le numerose strofe ricordano, con spirito ludico, le tentazioni di sant’Antonio, le proverbiali lotte tra l’anacoreta e Satanasso. “Sant’Antonio allu diserte s’appicciava ‘na sicarette, Satanasse pe’ dispiette glie freghette l’allumette… Sant’Antonio nun se la prende cun lu prospere se l’accende…Sant’Antonio Sant’Antonio lu nemice dellu dimonie…”.

alfedena fuoco

QUATTRO SECOLI DI TRADIZIONE A COLLELONGO:  LA STORIA E IL PROGRAMMA DELLA FESTA 

Tra i riti più partecipati e sentiti quello che riunisce, ogni anno, la comunità di Collelongo e i vicini paesi marsicani. Le prime attestazioni storiche relative al culto di Sant’Antonio Abate a Collelongo risalgono allo scorcio del 1600, periodo in cui verosimilmente venne eretto l’Altare dedicato al Santo nella chiesa di Santa Maria Nuova. Una Festa che rappresenta le radici, la storia e la devozione di un popolo al Santo ed alla tradizione che da essa ne scaturisce.

La festa collelonghese si svolge storicamente nelle Cuttore. Il termine deriva dalla grossa pentola dove si mette a cuocere il granturco che, dopo sei/sette ore di bollitura, diventa “i ceceròcche” (dal latino cicercrocus, cece rosso). La cuttora identifica il focolare che, al rintocco delle campane dei vespri del giorno 16, con la recita delle litanie viene acceso con legna di ginepro. La cuttora, quindi, è più in generale il locale dove si svolge la festa per l’intera notte, si ospitano i pellegrini e le bande di suonatori che girano tutta la notte intonando i versi della classica canzone dedicata al santo. Un tempo la cuttora era prerogativa del patriarca di una famiglia che invitava a parteciparvi i parenti più prossimi, i quali contribuivano con “coppe” di granturco, vino, farina o salsicce. La festa dentro la “cuttora” proseguiva per tutta la notte ed era anche il momento in cui venivano pianificate la semina e le altre attività agresti della famiglia. Alla presenza del Santo, inoltre, erano vietate liti e per questo il momento era propizio per arrivare ad accordi. Nella “cuttora” erano ben accetti i viandanti o i pellegrini ai quali veniva offerto ciò che la cuttora aveva, ovvero la “panetta”, qualche ciambella, un bicchiere di vino e, soprattutto i “cicerocche” conditi grossolanamente con un po’ di lardo (almeno chi se lo poteva permettere). I “cicerocche” la mattina venivano poi offerti fuori la chiesa come cibo sacrale per gli animali.
Durante la notte Colleolongo brilla alla luce del “torcione”, caratteristica unica del piccolo comune montano. Una volta veniva ricavato da un unico esemplare di quercia che abili maestri d’ascia provvedevano a lavorare fino a dargli la caratteristica forma. Questo successivamente veniva “inzeppato” con “stangoni” ed altra legna ed infine issato nelle piazze principali del paese.
Particolarmente suggestivo era “I favòre”, falò che i pastori accendevano in località Sant’Antonio. Da questo punto è possibile vedere sia il paese che gli stazzi di Amplero e la tradizione vuole che al più vecchio ed al più giovane tra i pastori, che tornavano dagli stazzi a far festa, fosse dato l’onore di accendere il “favòre”. Nel giorno della sua festa liturgica, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici.

Le celebrazioni, anche quest’anno, seguiranno l’ormai consolidato programma. Dalle ore 16:00 del 16 gennaio saranno aperte le CUTTORE, cuore pulsante della Festa dove, fino alla mattina successiva, si potrà provare il calore dell’accoglienza e dell’ospitalità tra sorrisi, dolci, panini, vino, bevande calde e mangiare il piatto tipico di ogni Cuttora: I CICEROCCHI, granturco bollito in caldai di rame all’interno dei camini e successivamente condito.
Alle 19:00 si provvederà all’accensione dei Torcioni, in Piazza della Chiesa e Piazza Ara dei Santi, che illumineranno e scalderanno l’intera nottata. Alle ore 21:00, da Piazza della Chiesa si snoderà la processione, aperta dalle tradizionali Torcette portate dai bambini, che accompagnerà il Vescovo, il Parroco e il Sindaco per la benedizione di tutte le cuttore. La notte proseguirà con il giro delle bande per le varie cuttore animando con la tradizionale canzone in onore di Sant’Antonio Abate.
All’alba del 17 gennaio, alle ore 06:00, dopo la distribuzione dei cicerocchi in Piazza della Chiesa, sarà la volta della sfilata e premiazione delle CONCHE RESCAGNATE, tradizionali conche abruzzesi in rame abbellite con luci e rappresentazioni varie. Segue alle 07:00 la Santa Messa in onore del Santo. Nel pomeriggio invece i festeggiamenti si chiuderanno alle ore 15:00 con la benedizione degli animali ed i giochi popolari. Ospitalità, passione, storia e tradizione. Una Festa da vivere in presenza, fisicamente e con il cuore, per percepire tutta la grandezza di storie, donne e uomini, che nel corso dei secoli hanno tramandato questi riti che sono linfa che alimenta, silenziosa, l’attaccamento e la vita di paesi come Collelongo.

sant'antonio collelongo
SANT'ANTONIO COLLELONGO

sant'Antonio collelongo

Un altro posto dove la tradizione e il fuoco per sant’Antonio tornerà ad ardere, è Alfedena, nel cuore del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

In ogni casa, le nonnine di una volta avevano almeno un’immaginetta del santo, sormontata da un piccolo ramoscello di ulivo che veniva benedetto dal parroco del paese. Per più di mezzo secolo c’è stato don Camillo Lombardi, oggi scomparso, devoto al santo e alla tradizione della festa. Oggi, a tenere viva la tradizione, ci sono tutti o quasi i giovani del paese che già da giorni stanno accatastando “le lena” per preparare i tanti fuochi che verranno accesi in vari punti del piccolo borgo. Fra i tanti che animeranno questa giornata, merita sicuramente una menzione Crispino Crispi, titolare di uno storico alimentari e da qualche anno in pensione. Crispi è molto legato ad un fuoco in particolare: quello della via Canapina, la strada dove abitava con i genitori Giovanni e Ida, molto conosciuti in paese e che oggi non ci sono più.“Fuochista da sempre”, così si definisce, ha cominciato questa attività nel 1966: quando la via era abitata da tanti personaggi che hanno fatto la storia del paese. Ognuno porta quello che ha in casa: due patate da cuocere alla brace, il pane fatto in casa, un po’ di vino gentile e robusto e, tra diversi stornelli improvvisati, si ripercorrono le storie e gli episodi legati a tanti personaggi che hanno caratterizzato il paese. Quindi, per chi ne ha ancora memoria, si racconta anche della tragedia della Seconda Guerra Mondiale, che colpì pesantemente queste zone trovatesi lungo il perimetro della linea Gustav e sotto lo scacco dei bombardamenti. Sulle tavole improvvisate spunta la panonta, le “lullitte e faciule”, le tanto amate “ciceranate”, cioè granturco bollito nelle cuttore e servito nei cartocci ai tanti che hanno prima partecipato alla processione.

alfedena fuoco

Capitignano e il rito del maiale

La festività di Sant’Antonio, meglio conosciuto nel mondo rurale abruzzese come Sant’Andònie de jennàre o de lu porche, è ricca di riferimenti sociali e religiosi, nonché di significati antropologici. La narrazione tramandatasi nel tempo a Capitignano non si discosta molto da quella più comune che racconta dei fuochi (le farchie) in ogni quartiere, dei balli, delle musiche, delle pietanze tipiche luogo per luogo in offerta, della benedizione degli animali e del sale, così trasmessa alle generazioni del nostro paese.
Un maialino, già nei mesi precedenti, veniva allevato dall’intero villaggio. Quando, lasciato libero, entrava nelle case, era segno di buon auspicio per la protezione degli animali. La sera era ospitato in una delle tante stalle del paese.
Il giorno della Vigilia di Sant’Antonio veniva poi macellato. Le zampe, “gli zampitti”, venivano messi all’asta e chi si aggiudicava un Palio avrebbe avuto poi il compito di prepara il maiale per il 17 gennaio. Maiale poi offerto alla comunità insieme al farro, alla “quagliata”, alle rape rosse, ai tagliolini e fagioli. Nella ricorrenza gli animali erano coperti con nastri colorati e ghirlande e poi venivano benedetti fuori dalla Chiesa. Quelli domestici, invece, entravano in Chiesa e lì venivano benedetti.
Questa amata tradizione fu riproposta dal “Comitato ’97 Pro San Flaviano” (Patrono di Capitignano) nell’anno 1997, appunto, di concerto con l’amministrazione comunale. Da 24 anni, quindi, su coordinamento del Presidente del Comitato, la tradizione è stata ininterrottamente rievocata, sempre in collaborazione con le amministrazioni civiche succedutesi nel tempo e con alcuni volenterosi cittadini. “Con la scomparsa di alcuni prodotti rurali, come la cagliata o le rape rosse – spiega al Capoluogo il Presidente – da qualche tempo le vivande in offerta da noi a Sant’Antonio sono composte dal farro, (solo di recente da pasta con ragù di carni, maiale, vitello, pecora, spezzatino di vitello, salsicce alla brace e contorni occasionali, come verza e patate), il tutto servito gratuitamente ai partecipanti, al cospetto di un grande fuoco. Unitamente ad un bicchiere di buon vino e insieme a colui che in questa data la fa da padrone, sua maestà il maialino, in bella vista al centro della piazza centrale del paese, pronto per seguire colui che se lo aggiudicherà attraverso il palio, con il cui ricavato si provvederà a far fronte alle spese per la festa”.

Festa Sant’Antonio, fuochi benedetti tra sacro e pagano