I Cinturelli, Publio Ovidio Nasone: il poeta dell’amore

I grandi abruzzesi: il poeta dell’amore, Publio Ovidio Nasone, partito da Sulmona per celebrare la poesia in tutto il mondo. Ne parliamo nell’appuntamento con la rubrica I Cinturelli.
I Cinturelli – La rubrica del Capoluogo, il contributo di Alessia Ganga. “Felice chi si consuma nelle battaglie di Venere”. Questo è lo slogan della mostra “Ovidio. Amori, miti e altre storie” che sarà alle Scuderie del Quirinale di Roma fino al 20 gennaio e che lo celebra come uno dei massimi poeti latini, fonte di eterna ispirazione per scrittori, scultori e pittori. Ma quanti sanno che lui, il più grande poeta dell’Amore, era in realtà abruzzese?
Publio Ovidio Nasone era nato a Sulmona il 20 marzo del 43 a.C. da una nobile famiglia appartenente al rango degli equites, cioè dei cavalieri. Suo padre voleva che diventasse un oratore. Per questo mandò il giovane Ovidio e suo fratello Lucio, a soli 12 anni, a studiare nella Caput Mundi. Per lui si preparava una carriera da magistrato, magari anche quella politica con l’ingresso nel Senato di Roma, ma Ovidio interrompe gli studi e parte per un viaggio di formazione ad Atene, in Egitto e in Sicilia. Di ritorno a Roma esplode e rivela il suo amore per la poesia e comincia a frequentare i circoli letterali sorti intorno alle figure della nobile Messalla Corvino e dell’illustre Mecenate dove poteva incontrare e discorrere con grandi come Properzio, Orazio, Virgilio e Tibullo.
E nella poesia Ovidio racconta di amore e innamoramenti, primo tra tutti quello per Corinna, cantata nell’opera elegiaca giovanile Amores (gli amori), del 14 a.C. Una domina di cui egli era completamente succube, che lo strazia di tradimenti (neanche troppo segretamente) finché nell’ultimo libro troviamo la supplica di Ovidio non tanto a smettere di tradirlo ma perlomeno a non raccontargli più le sue avventure! Amor e Eros, amore e sesso, si mescolano nella sua poesia. Tutto è gioco e strategia di conquista. Tutto è lecito nelle battaglie di Venere. Questo si legge nella sua celebre Ars amatoria (l’arte amatoria) in cui Ovidio, ormai poeta di una certa fama, si presenta come praeceptor amoris, precettore dell’amore, che dispensa consigli piuttosto pratici agli uomini romani su come conquistare “la preda”: “Aspra non sia la lingua e siano i denti di ogni ruggine mondi, in un calzare troppo largo non nuoti il piede (…), non siano troppo sporgenti e siano le unghie senza sozzura, e nessun pelo entro il cavo ti stia nelle narici; né tristo fiato emani dalla bocca maleodorante”.
E alle donne su come conquistare un marito o, in alternativa, rubare quello delle altre: “Con rarissimi gesti il suo parlare accompagni colei che molto grasse abbia le dita e ruvide abbia le unghie; colei che ha grave l’alito non mai parli quando è digiuna, e alquanto lungi dal volto dell’amante sempre si tenga; e se sono troppo oscuri o troppo lunghi o irregolari i tuoi denti, massimo torto a te farai ridendo”.
Ma è nelle Metamorfosi, poema epico-mitologico scritto tra il 2 a.C. e l’8 d.C. che il fuoco della passione cantato da Ovidio non risparmia più nessuno: si desiderano mortali ed eroi, dèi, fauni e ninfe dando vita ad un intricato sistema di relazioni affettive, inganni, tradimenti, ossessioni e possessioni e infine alla…metamorfosi dei personaggi in animali o elementi naturali in virtù o, più spesso, a causa dell’amore: Dafne fugge da Apollo e si trasforma in una pianta di alloro; Giove cerca di conquistare Leda trasformandosi in un cigno e così via per ben 15 libri che raccolgono circa 250 miti. Lo schema più semplice di queste relazioni può essere così descritto: A ama B il quale a sua volta ama C cosicché A si vendica del mancato interesse di B colpendo C o l’oggetto stesso del suo desiderio cioè B. Semplice no?
Il poema viene ultimato nell’8 d.C. ed era pensato da Ovidio come una celebrazione della pax augustea per cui dal caos primordiale (la creazione del mondo) si arrivava all’età dell’oro sotto, appunto, l’imperatore Augusto.
Ma questo non impedì che proprio Augusto ordinasse nello stesso anno l’esilio per Ovidio a Tomi, nell’odierna Romania, dove morì nel 17 d.C. Troppo spudorato il poeta dell’Ars amatoria per i canoni morali dell’impero visto che spingeva le donne dell’epoca a commettere adulterio? Oppure Ovidio si era trovato implicato, involontariamente, in qualche scandalo di corte? Perché, ad esempio, nello stesso anno, Augusto esiliò anche sua nipote Giulia e il politico romano Decimo Giulio Silano?
Carmen et error, (un poema e un errore), così spiega Ovidio nel poema Tristia il suo esilio a Tomi, seguito dalla terza e amatissima moglie Fabia. Ma non dice di più (“devo tacere le mie colpe…”) lasciando ai posteri il compito di risolvere il mistero sulla sua relegatio ma non quello sulle sue origini che, proprio in quest’ultima opera, rivendica con orgoglio nell’acronimo SMPE, Sulmo mihi patria est (Sulmona è la mia patria).
SMPE è oggi il simbolo dell’odierna città di Sulmona che ogni anno, il 20 marzo, celebra il dies natalis (compleanno) di Ovidio con la deposizione di una corona d’alloro sul capo del poeta mentre gli studenti del Liceo Classico Ovidio leggono i suoi versi celebrandolo, come lui desiderava, per l’eternità:
“Ho ormai compiuto un’opera, che non potranno cancellare né l’ira di Giove, né il fuoco, né il ferro, né il tempo divoratore … e il mio nome resterà: indelebile.”