Sanremo e la forza della musica, il potere di una canzone

Con Sanremo sono tornate le serate lunghissime davanti al televisore e sono tornate le canzoni. Ognuno ha il suo pezzo, è il potere della musica: ma perché ci ritroviamo dentro una canzone?
Brividi, lacrime improvvise, voglia di ballare, ricordi. Quanto è grande il potere della musica? Nella settimana di Sanremo ognuno si veste da “tifoso” e sceglie la sua canzone.
È la forza della musica, capace di unire e dividere, ma soprattutto di entrare dentro di noi e tirare fuori emozioni.
“Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi, emozioni”. Non sempre si può comprendere tutto, soprattutto quando si parla di musica ed emozioni.
Ora che è tornato Sanremo, sono tornate, al contempo, le serate lunghissime davanti al televisore, tra gag, messaggi lanciati dal palco ed esibizioni da commentare insieme. Soprattutto, però, sono tornate le canzoni e, in attesa di conoscere quale conquisterà il pubblico – aggiudicandosi la 74esima edizione del Festival – ognuno ha già scelto il suo pezzo. Ad essere sinceri, in realtà, non proprio tutti: poiché sono in molti a comporre il fronte dei categorici, cioè coloro che “Sanremo non lo guardo e non ho intenzione di iniziare a guardarlo!”. Eppure, mai come in questa settimana, in tv, al lavoro, a scuola, nei bar, dal parrucchiere, in radio, sui social, insomma ovunque si parla anche e soprattutto di musica.
Il Capoluogo, allora, ha deciso di capire come riesce una canzone a far rivivere sensazioni, ricordi o addirittura momenti e persone che non ci sono più. Una sorta di teletrasporto emozionale che viaggia nel tempo e nello spazio e che non possiamo gestire: perché nella musica – esattamente come in amore – al cuor non si comanda. (E neanche alle orecchie).
“Il suono e la melodia sono esperienze primordiali nella vita degli esseri umani – illustra la psicologa e psicoterapeuta Chiara Gioia, ascoltata dalla redazione – Basti pensare alla madre che fa ascoltare la musica al feto, durante la gravidanza: momento che accentua il legame tra madre e bambino. Una circostanza, questa, che ci porta alla mente anche i rumori bianchi, quali ad esempio il suono della pioggia o delle onde del mare. Suoni considerati rilassanti, perché rimandano chi li ascolta proprio ad uno stato primordiale, cioè a quando l’individuo non era ancora nato. Il discorso, tuttavia, può spostarsi dal dato biologico a quello antropologico. Possiamo fare riferimento alle generazioni o alle società, alle specifiche popolazioni. Anche gli uomini antichi, ad esempio, si orientavano riconoscendo i suoni della natura intorno a loro. Questo perché la musica è un elemento fondamentale che indica un processo, un’evoluzione e, soprattutto, una narrazione.La musica ha la capacità di attivare aree del nostro cervello e farle sentire riconosciute, gratificate“.
Non è un caso, allora, se la musica viene ‘utilizzata’ anche come terapia. Sottolinea Chiara Gioia: “Fondamentale anche per un sano sviluppo affettivo e cognitivo dei bambini, la musica – come dimostrato da diversi studi sul tema – viene anche scelta quale strumento per affrontare problemi quali l’iperattività, l’isolamento o la depressione, facendo ricorso alla cosiddetta musicoterapia che va ad affiancarsi al percorso di psicoanalisi.
C’è uno stretto legame, quindi, tra musica e psicologia: attraverso la musica una persona riesce ad ampliare in modo naturale e funzionale la sua capacità di esprimere e gestire emozioni. Una persona che ascolta la musica non si limita a sentire, ma ascolta anche tutto ciò che quella melodia gli suscita: quei messaggi che prendono forma a partire dalla loro mente“.
LA CAPACITÀ DI “ARRIVARE”
“È importante creare una relazione tra musica, mitologia, psicologia ed antropologia, poiché tutte queste dimensioni vedono l’uomo al centro. La musica, del resto, fin dai tempi antichi è stata oggetto di riflessioni filosofiche: considerata da sempre un’arte privilegiata, era sotto la protezione delle Muse, le quali attraverso questo dono musicale allietavano le giornate degli Dei e davano nutrimento alle anime. Un potere proprio anche dell’arte della poesia. Per questo è corretto dire che la musica è anche poesia. Pensate alle vostre canzoni preferite, sicuramente esse sono anche poesia. Inoltre, queste canzoni sono narrazioni che arrivano alle persone. Quando al suono e alle parole si unisce la capacità narrativa di chi canta quel brano, allora quella canzone diventa musica a 360 gradi. Quella storia cantata diventa la nostra storia, poiché va a conciliarsi con parti psichiche che hanno bisogno di essere nutrite in quel determinato modo“, aggiunge la psicologa e psicoterapeuta.
LA NARRAZIONE
“Può bastare poco, anche solo una melodia ad attivare dentro di noi immagini, sensazioni, emozioni, ricordi. Alla melodia, tuttavia, si affianca la parte cantata, le parole ed è qui che entra in gioco la capacità dell’interprete di saper narrare.
C’è una certezza di base: la musica è sempre stata una costante, una compagna presente in ogni momento, soprattutto in quelli più importanti. Dalla mitologia, che attribuiva al Dio Pan l’invenzione del flauto, a tutti quei contesti in cui la musica è parte integrante dei momenti che scandiscono le fasi centrali della nostra vita. Pensiamo alle cerimonie, dalle feste fino ai funerali. La musica è un elemento presente ed importante: lo scegliamo noi.
Ed è importate perché ha il potere di unire, di creare condivisione, di agevolare lo scambio di emozioni. La musica per festeggiare, per ballare. La musica che riempie teatri e cinema. Perché ha il potere di far esternare la legittimità di un vissuto emotivo. Per questo possiamo intenderla, ancora, come uno strumento che ci permette di tirare fuori ciò che abbiamo dentro, in quanto può accadere che non si riesca ad esprimerlo a parole. La musica fa parlare le immagini psichiche: traduce a livello immagistico ciò che si produce nella pluralità delle immagini psichiche. La musica dipinge e fotografa, fissa un momento e ne crea un ricordo simbolico.“.
Un ricordo da cantare, un’emozione che fa rumore: devi solo sentirla.