Camere con vista

Non è sempre Sardegna, la lezione dell’Abruzzo

Dalle elezioni in Abruzzo arriva una lezione, le alleanze devono essere politiche, prima che elettorali: altrimenti non sono credibili.

Elezioni regionali, la lezione dell’Abruzzo. L’analisi dell’editorialista Giuseppe Sanzotta dopo il voto del 10 marzo nell’appuntamento “Camere con vista”.

Il voto in Sardegna aveva spinto troppi commentatori interessati a trarre delle affrettate conclusioni. Tutti dimenticando prudenza alla luce del fatto che le elezioni amministrative possono presentare aspetti unici e non ripetibili altrove. Nelle elezioni politiche contano i leader nazionali, in quelle locali i candidati. Ma una differenza tra il voto in Sardegna e quello in Abruzzo c’è. In Sardegna il centrodestra ha forse sbagliato candidato, a Cagliari dove era sindaco, Truzzu ha subito una vera batosta favorita dal voto disgiunto. Cioè molti elettori del suo schieramento hanno votato per il partito e non per lui. Così, con estrema onestà, Truzzu ha detto che, anche se per una manciata di voti, la sconfitta è stata opera sua. Tanto è bastato a sinistra per affermare: il vento è cambiato. Errore. Le elezioni in Abruzzo hanno smentito tutto.  

Il centrodestra ha vinto e Marsilio, oggetto di attacchi personali, ha trionfato. Un voto, pur con tutte le cautele del caso, più significativo a livello generale di quello sardo. C’è, è vero, una questione locale. I candidati del centrodestra in Abruzzo hanno contribuito alla vittoria in modo importante. La squadra presentata dallo schieramento della sinistra non si è rivelata altrettanto competitiva. Ma fin qui siamo a situazioni locali.
La lezione dell’Abruzzo però va oltre e può avere una rilevanza nazionale. La sinistra si è presentata con una coalizione che ha messo insieme, oltre al Pd e ai 5Stelle, la sinistra di Bonelli e Fratoianni, Azione di Calenda e pezzi di Italia Viva. Questo sarebbe il campo largo? Così c’è da stupirsi se, secondo gli analisti, un 10 per cento degli elettori 5Stelle ha cambiato schieramento e persino molti di più tra gli elettori di Azione e Italia Viva hanno scelto di votare a destra. Non basta mettere insieme occasionalmente delle sigle per costruire una coalizione.

Se a livello nazionale Calenda e Renzi continuano a ripetere di essere alternativi a Conte – e l’ex premier non può certo dimenticare che se il suo secondo governo, quello con il Pd, è caduto è grazie a Italia Viva – come si può pensare che la scelta di mettersi tutti insieme in Abruzzo possa essere credibile? E infatti non lo è stato. Tra Meloni, Salvini e Tajani ci sono certamente differenze, a volte anche polemiche, ma riescono a stare insieme a Roma e nelle elezioni locali. Conte e Calenda appaiono inconciliabili a Roma. Renzi vorrebbe mangiarsi il Pd, coltiva il rancore degli ex. E naturalmente il sentimento è ampiamente ricambiato. Che credibilità possono avere se si presentano in Abruzzo insieme, mentre escludono qualsiasi rapporto a Roma? La risposta è scontata. Così non stupisce il risultato di domenica.
Non si costruisce una occasionale alleanza elettorale pensando di avere successo. A sinistra c’è un solo partito in grado di dare le carte: il Pd. In Abruzzo guadagna voti, non bastano per vincere. Ma se la Schlein non si farà irretire da Conte possono bastare a dare le carte. La debolezza dei 5Stelle è la forza del Pd, che può pensare come una solida alleanza può essere sufficiente per costruire un’alternativa, partendo però dal presupposto che sia proprio il Pd al centro dell’alleanza. Resta il fatto che Conte, orfano di Palazzo Chigi, non accetterebbe un ruolo subordinato. A destra gli equilibri sono chiari, chiariti dagli elettori: la leadership di Fratelli d’Italia non può essere messa in discussione, anche perché stabilita con chiarezza dagli elettori.

Dalle elezioni in Abruzzo arriva una lezione, le alleanze prima che elettorali debbono essere politiche, altrimenti non sono credibili. A destra questa alleanza c’è, a sinistra no.

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