Processo a don Paolo Piccoli, la difesa porta in aula un pallone ambu

Prima discussione a Venezia per il processo a carico di don Paolo Piccoli: in aula la difesa ha dimostrato come le lesioni nella bocca di don Rocco siano compatibili con le manovre di rianimazione. Prossima udienza il 26 marzo.
Si è tenuta presso la Corte d’Appello d’Assise di Venezia la prima discussione del processo a carico di don Paolo Piccoli, il sacerdote veneto incardinato nell’Aquilano, accusato dell’omicidio di monsignor Giuseppe Rocco. In aula la difesa, rappresentata dall’avvocato Vincenzo Calderoni del foro dell’Aquila, ha portato un pallone ambu, utilizzato per tentare di rianimare don Rocco il 25 aprile 2014. In udienza il og Paola Tonini, sostituto procuratore generale della Corte d’Appello di Venezia ha chiesto la riconferma della condanna annullata dalla Suprema Corte di Cassazione a marzo 2023.
Perchè un pallone ambu? Don Paolo Piccoli era stato accusato e condannato in primo e secondo grado presso la Corte d’Appello d’Assise di Trieste a 21 anni e 6 mesi (pena poi annullata a seguito del ricorso presentato dall’avvocato Vincenzo Calderoni) per l’omicidio – tramite soffocamento – di don Giuseppe Rocco, un anziano sacerdote all’epoca 92enne ritrovato senza vita all’interno della Casa del Clero di Trieste dove entrambi i presuli risiedevano. Don Piccoli, dichiarandosi sempre innocente, aveva detto nell’intervista rilasciata al Capoluogo dopo la prima condanna: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore. Lui ha scelto per me, questa è la mia croce, la porterò è continuerò il mio cammino di purificazione”. La difesa oggi ha voluto dimostrare tramite la consulenza e la discussione dei periti Franco Tagliaro e Giovanna Del Balzo che le lesioni trovate all’interno del cavo orale di don Rocco, all’altezza del labbro inferiore e che secondo l’accusa erano state provocate dall’azione di soffocamento di don Piccoli, sono compatibili con l’utilizzo del pallone ambu, strumento a supporto dell’attività respiratoria, utilizzato dai soccorsi intervenuti la mattina del 25 aprile 2014, chiamati da Eleonora Laura Dibitonto, la perpetua di don Rocco che lo aveva rinvenuto esanime nella sua stanza, vicino il letto.

Dopo la relazione dei periti della difesa si è creato in aula un momento di scompiglio; i periti dell’accusa hanno ritenuto impossibile che le lesioni rinvenute nella bocca di don Rocco fossero attribuibili alle manovre e agli strumenti utilizzati per tentare di rianimarlo. Soddisfatto della sua discussione l’avvocato Calderoni: “La requisitoria del pg Paola Tonini – spiega Calderoni al Capoluogo – è stata pacata, accurata e tecnica. Continuiamo a sostenere l’innocenza di don Paolo Piccoli, il decesso di don Rocco è avvenuto per cause naturali (tesi avvalorata dai medici anche nell’immediatezza della morte, l’accusa di omicidio si profilò solo diverse settimane dopo ndr). Non si può escludere inoltre che la rottura dell’osso ioide sia avvenuta in occasione dello spostamento del cadavere da parte dell’impresa di pompe funebri, oppure – contestualmente all’autopsia – durante le operazioni di estrazione del blocco laringo-faringeo“.

“Prima dell’autopsia – continua Calderoni – non era stata fatta una tac per fotografare la situazione. Così la difesa – che a Trieste era rappresentata sempre dall’avvocato Calderoni insieme al collega Stefano Cesco del foro di Pordenone ndr – non aveva potuto far valere le conclusioni dei propri consulenti tecnici che divergevano da quelle dell’accusa su aspetti che la stessa Cassazione ha ritenuto di fondamentale importanza. Per la Suprema Corte ancor prima di procedere all’individuazione dell’autore del delitto, del movente, dell’origine delle macchie ematiche rinvenute sul letto, risulta ineludibile (come si legge anche nella sentenza) ricostruire le cause della morte dell’anziano“.
Don Paolo Piccoli, le prove che hanno portato alla condanna di Trieste
A don Piccoli venne contestato di aver ucciso don Rocco per impossessarsi di alcuni monili che il sacerdote aveva nella stanza e soprattutto della collanina che l’anziano prelato indossava sempre; una tesi più volte smentita dalla difesa durante tutte le fasi di dibattimento a Trieste. La collanina – come accertato di nessun valore commerciale – di fatto non è mai stata trovata, nonostante le diverse perquisizioni nella stanza dell’imputato, “se non al collo della perpetua”, come ribadito più volte dalla difesa anche durante l’udienza di oggi a Venezia e come testimoniato anche da una operatrice della casa del Clero durante il processo di Trieste.
Oltre all’avvocato Calderoni, la difesa dell’imputato è rappresentato anche da Alessandro Filippi, del foro di Venezia. La prossima udienza si terrà martedì 26 marzo; molto probabilmente in questa data si andrà a sentenza. Il processo è stato ripreso ancora una volta dalle telecamere di “Un giorno in pretura” che avevano già mandato in onda il dibattimento di Trieste. Il collegio giudicante è composto da: Elisa Mariani, Margherita Brunello, Silvia Sagui, Leonardo Vacca, Stefania Borsato, Angela Boaretto, Licia Prosdocimi, Maria Giuseppina Galati, Paola Tonini.