Cultura

Tutti i Santi giorni, 28 marzo: Giovedì Santo

La rubrica "Tutti i Santi giorni" del 28 marzo: la solennità del Giovedì Santo e i riferimenti artistici sul territorio aquilano.

La rubrica “Tutti i Santi giorni” del 28 marzo: la solennità del Giovedì Santo e i riferimenti artistici sul territorio aquilano.

Il 28 marzo di quest’anno ricorre la solennità del Giovedì Santo. È una festività mobile poiché dipende dalla data in cui ricorre la Pasqua: è il giovedì precedente la Resurrezione, il giorno dell’Ultima Cena di Gesù con gli Apostoli, quando Cristo istituì l’Eucaristia e il Ministero del Sacerdozio, e diede l’esempio dell’attività del servizio attraverso il gesto della Lavanda dei Piedi. È anche il giorno del tradimento di Giuda.

Giovedì Santo, la Messa mattutina del Crisma

Il Giovedì Santo è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche: al mattino nella Cattedrale, il vescovo con solenne cerimonia presiede la solenne Messa del Crisma, con la Consacrazione degli Oli e la Rinnovazione delle promesse presbiterali. Gli Oli Santi sono gli oli impiegati durante tutto l’anno liturgico a venire per celebrare i Sacramenti: il Crisma, in particolare, viene usato nel Battesimo, nella Cresima e nell’Ordinazione dei presbiteri e dei vescovi; l’Olio dei Catecumeni, utilizzato nel Battesimo e, infine, l’Olio degli Infermi, adoperato appunto per l’Unzione degli infermi. Durante la cerimonia i sacerdoti e i diaconi si raccolgono attorno al vescovo, a conferma della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo, per poi apprestarsi, nelle singole parrocchie, a celebrare le ultime fasi della vita di Gesù.

La Messa vespertina “In Coena Domini”

Nel tardo pomeriggio in tutte le chiese c’è la celebrazione della Messa in Coena Domini, cioè la “Cena del Signore”: è l’Ultima Cena che Gesù consumò con gli apostoli prima dell’arresto e della condanna a morte. In tutti i Vangeli si legge che Gesù, avvicinandosi la festa “degli Azzimi”, la Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la cena rituale, in casa di un loro seguace: la Pasqua è la festa ebraica più solenne, in cui si rievoca la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana (Esodo 12) e la sua celebrazione si protrae dal 14 al 21 del mese di Nisan (marzo-aprile). Durante la cena a base di agnello, si consuma solo pane senza lievito (in greco “azymos” da cui deriva il termine “Azzimi”) e Gesù raccolse attorno a sé per l’ultima volta i dodici discepoli, preparandoli agli eventi futuri. I Vangeli di Matteo, Marco e Luca dicono che “Gesù mentre mangiava con loro, prese il pane e pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo distribuì agli apostoli dicendo: “Prendete questo è il mio corpo”, poi prese il calice con il vino, rese grazie, lo diede loro dicendo: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti” e aggiunse “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19), istituendo così il sacramento dell’Eucarestia e del sacerdozio.

La lavanda dei piedi, simbolo di ospitalità

Il Vangelo di Giovanni (Gv 13, 1-15) racconta l’episodio della lavanda dei piedi: Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio – il lention -, se ne cinse la vita; versò dell’acqua nel catino e si mise a lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi il panno. In un’epoca in cui le strade erano polverose e piene di fango, nonché di escrementi di animali, la lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità, un dovere dello schiavo verso il padrone, un gesto umile rivolto da un sottoposto a un superiore. Con il Suo gesto Gesù, più che con le parole, impartisce una lezione ai Suoi discepoli: come Lui dovranno donarsi totalmente a tutti i fratelli, anche considerati di status inferiore.

L’annuncio del tradimento da parte di Giuda

Dopo la lavanda Gesù tornò a sedere fra i dodici e parlò del tradimento da parte di uno di loro: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”. Gli apostoli reagirono con sgomento chiedendogli chi fosse; Giovanni il discepolo prediletto, poggiandosi con il capo sul Suo petto, domandò: “Signore, chi è?”. E Gesù rispose: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” e, compiuto il gesto, lo porse a Giuda Iscariota che si alzò e uscì nella notte.

La reposizione dell’Eucarestia e l’inizio della Passione

I riti liturgici del Giovedì Santo si concludono dopo la messa con la reposizione dell’Ostia consacrata in una cappella laterale della chiesa, addobbata a festa per ricordare l’istituzione del Sacramento. Qui, i fedeli si recheranno in adorazione per la rimanente sera e per tutto il giorno seguente, finché non inizieranno i riti del pomeriggio del Venerdì Santo. Il resto della chiesa viene oscurato, le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti.
Nell’arte il racconto dell’Ultima Cena è stato in tutti i secoli soggetto privilegiato: generalmente Gesù è posto al centro della mensa e gli Apostoli seduti ai due lati; Giovanni è riconoscibile perché appoggiato col capo al petto del Signore, mentre Giuda è posto al di là del tavolo, di fronte a Gesù, e intinge il pane nello stesso piatto.

Nell’immagine di copertina si riporta l’Ultima Cena, affresco presente nell’Oratorio di San Pellegrino a Bominaco. Qui compare il ciclo della Passione, con le prime due scene in controfacciata: il racconto per immagini si apre attraverso i due episodi sovrapposti dell’Entrata a Gerusalemme, che segue uno schema bizantino tradizionale, e la Lavanda dei piedi. Nella parete adiacente, a sinistra, è la Coena Domini che occupa tutta la lunghezza della prima campata e prosegue sopra l’imposta della volta. Cristo è posto all’estremità sinistra e Giuda, privo di aureola, molto più piccolo rispetto alle altre figure è in primo piano davanti al tavolo.

L’Ultima Cena del convento francescano di Sant’Angelo ad Ocre è opera di Saturnino Gatti, dipinta sulla parete di fondo del refettorio. La lunetta ha una trave in legno dipinta che divide la scena in due parti: quella superiore presenta le immagini di cinque angeli che recano gli strumenti della Passione e annunciano l’imminente sacrificio, mentre il registro sottostante raffigura la tavola imbandita. Sulla trave corre l’iscrizione latina “silentium oris et pedum”, un’ammonizione dell’artista ai frati che invita a non fare rumore né con la bocca né con i piedi per rispettare il momento solenne. Quasi a descrivere quanto accade e a presentare la scena agli astanti, sulla sinistra del tavolo sono affrescati i ritratti di San Bernardino da Siena e San Francesco.

Da ultimo si riporta l’immagine del Cenacolo della chiesa di Santa Maria ad Cryptas, a Fossa, opera di Gentile da Rocca, realizzata nella seconda metà del Duecento. Qui nell’abside sono rappresentate, come consuetudine presso la cultura bizantina, le scene della Passione del Cristo; sulla parete di sinistra è l’Ultima Cena con Cristo posto all’estremità della tavola rettangolare. Interessante notare come la rappresentazione artistica dell’episodio evangelico ancora una volta abbia il compito di essere una Blibia pauperum: la religione colta diventa accessibile al popolo attraverso immagini semplici, dal sapore contadino, tanto che sulla mensa appaiono il pane dei pastori, il coltello degli ortolani, il porro e altre suppellettili di uso comune, che avvicinano il fedele ai Sacri Misteri.

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