“La mia vita è finita la notte del 6 aprile 2009”, Giustino Parisse ricorda i figli Maria Paola e Domenico

15 anni fa la vita di Giustino Parisse si è fermata: la notte del 6 aprile 2009 il sisma gli strappò i suoi gioielli, Maria Paola e Domenico. Un dolore senza fine, mai sopito. Il ricordo e la memoria come armi per andare avanti.
6 aprile 2009-6 aprile 2024: 15 anni e una ferita ancora aperta per Giustino Parisse, scrittore e giornalista aquilano rimasto ‘inglobato’ in quella notte di macerie e distruzione che ha spazzato via i sogni e le speranze dei suoi 2 gioielli, i figli Domenico e Maria Paola, 18 e 16 anni, morti nel crollo di via dei Calzolai a Onna, frazione cancellata dalla furia distruttrice del sisma.
Il dolore di quella notte è rimasto sempre lì, non è mai andato via, “Per l’uomo Giustino Parisse – spiega – la vita è finita la notte del 6 aprile 2009. Sono andato avanti aiutato dal lavoro, credendo in quella ricostruzione morale che va oltre il mettere insieme dei mattoni, ma parte dal mantenimento della memoria, delle tradizioni, della nostra storia”. 15 anni sono un bel pezzo di strada che Giustino ha percorso sempre a testa alta, sentendosi magari quasi in colpa per un sorriso strappato, per un attimo di serenità, raccontando nei suoi libri e sulle pagine del quotidiano Il Centro il bello e il brutto del terremoto: la ricostruzione, le indagini conseguenti, le ferite mai sopite.
Anche la ricostruzione ‘fisica’ di Onna in questi anni è andata avanti, 15 anni dopo è stato completato circa il 70% dei cantieri e c’è ancora tanto da fare. Quando i Vigili del Fuoco hanno recuperato la campana della storica chiesa l’hanno fatta suonare nella tendopoli, come speranza di rinascita. Quest’anno, in ricordo delle vittime del sisma, verrà posizionata tra Casa Onna e La Casa della Cultura l’opera d’arte vincitrice del Concorso internazionale di arte scultorea in memoria delle vittime Si chiama “Coperta”, e porta la firma del maestro Lorenzo Guzzini.

Il compito di un genitore è quello di custodire i propri figli: Giustino Parisse ha le mani e le spalle forti e grandi, eppure nemmeno lui è riuscito a mettersi “in mezzo” la notte del 6 aprile 2009 tra il terremoto e la cosa più bella che la vita può donarti, un figlio. Il suo essere padre, figlio, marito è stato spazzato via in pochi minuti, da macerie che hanno portato via chi lo aveva messo al mondo e chi aveva messo al mondo. Domenico e Maria Paola erano 2 ragazzi meravigliosi, così li ricordano tutti quelli che hanno avuto modo di conoscerli: studenti diligenti, curiosi, dinamici, vivevano con spensieratezza il periodo più bello nella vita di ognuno. Il senso di colpa permane nelle parole del loro papà che ha vissuto e vive ancora adesso la quotidianità aggrappato ai ricordi che ha messo nero su bianco. Non ha mai smesso di scrivere del terremoto, ma nemmeno ai suoi figli. Anno dopo anno, ogni anniversario; intreccia ricordi, racconta loro i giorni che non hanno visto, raccontando quello che non hanno visto e vissuto, aneddoti dell’infanzia, di quella vita prima del sisma, le grandi battaglie portate avanti dal papà dopo il 6 aprile 2009 perseguendo il fine del bene comune. Al cimitero, non mancano mai biglietti e attestati di affetto da parte degli amici e dei compagni che non li hanno dimenticati. Giustino il 6 aprile ha perso non solo i figli, anche il padre Domenico, mente la madre rimase gravemente ferita. Quella notte si strinse alla moglie Dina e, da allora, ha continuato a celebrare i suoi ragazzi, ogni giorno, tutti i giorni. Quando li hanno estratti dalle macerie della loro casa non ha avuto il coraggio di guardarli, “perchè la morte non ha un volto”.
Nonno Domenico e i nipoti sono 3 delle 40 vittime registrate solo a Onna, frazione di 350 abitanti al 6 aprile. Una comunità unita, operosa, dove ci si conosceva tutti, uno di quei posti dove si lasciava la chiave attaccata alla porta: via dei Calzolai, via Oppieti, via dei Martiri, via Ludovici, via della Ruetta, via delle Siepi, stradine antiche, la cui storia è stata spazzata via in pochi secondi. “È iniziato il 6 aprile, ma non è mai finito”.
La missione di Giustino, dal 6 aprile in poi è stata quella di mantenere viva la memoria, non solo dei suoi figli e del padre, ma anche di tutta la sua comunità, credendo fortemente nella ricostruzione morale, sociale e culturale di una comunità intera, come quella aquilana, che aveva perso certezze e punti di riferimento. “Non possiamo rimettere insieme i pezzi della nostra esistenza senza la storia che aiuta a ricordare chi eri e quello che saresti potuto essere o che potresti diventare. A volte ci penso: oggi avrebbero 31 e 33 anni, chissà magari sarei nonno…La vita a volte ti porta verso lidi o traguardi che non possiamo prevedere, per me resta una vita spezzata”.
Il 14 aprile 2009 pochi giorni dopo il terremoto e i funerali di Stato per le 309 vittime Giustino Parisse scrisse una delle pagine più toccanti di quei giorni, un ricordo indelebile di quella notte che ha portato via sogni, speranze, serenità
Quanto era bella Onna quella notte, prima dello scossone orrendo. La luna rischiarava i vicoli: via dei Calzolai, via Oppieti, via dei Martiri, via Ludovici, via della Ruetta, via delle Siepi. Dentro, mille anni di storia e milioni di storie: uomini e donne che quel piccolo paese in fondo alla Valle dell’Aterno avevano costruito e amato. In quella orrenda notte abbiamo perso tutto: le vite umane, le case, il nostro paese.
Non sentire più gli odori: da bambino a ogni passo c’era una stalla. Sotto gli animali, sopra gli uomini. Nei giorni di festa i profumi del pomodoro fresco per fare il sugo rallegrava il palato ancor prima di consumare il pasto. E poi le voci, la colonna sonora di un paese di gente semplice. Quella notte dopo lo scossone orrendo le voci non c’erano più. La luna rischiarava il silenzio. Il dolore tanto forte da spezzare le corde vocali. Quella notte era una bella notte. Nella mia casa c’erano due angeli, erano nel loro lettino. Riposavano. Attendevo giù il rumorio di un mattino normale. Quando si alzavano per contendersi il bagno. La mamma che li chiamava: sbrigatevi, è tardi, la scuola vi attende. L’ultima carezza, l’ultima rassicurazione.
L’orrendo scossone. La corsa verso quelle camerette, il grido spezzato: papà, papà. Domenico arrivo, arrivo. Resisti, resisti. Polvere, sassi, disperazione. Dall’altra parte della casa il grido della mamma: Maria Paola è qui. Lo sento. Un barlume: arrivo ad aiutarti. No, solo speranza. L’orrendo scossone non perdona. Nella notte, sul tetto che non più un tetto, l’abbraccio di un padre e una madre. Quella casa che diventa una tomba, la tomba dei sogni, la tomba dei tuoi figli per i quali hai lottato e poi quella notte scopri che li hai solo portati nel baratro. E’ la tua storia che finisce, è la tua casa che sparisce, il tuo paese che non c’è più. Poi le luci del giorno beffarde. C’è il sole, sullo sfondo brilla il Gran Sasso. Gli uccelli cantano la primavera. Tu sei lì, a guardare il vuoto. Arrivano gli amici, i soccorsi. E inizia il rosario della morte: Gabriella, Luana, Berardino, Susanna, Fabio e poi ancora, ancora e ancora: fino a 38. Era quella la mia gente, è quella la mia gente anche nella morte.
I miei bambini estratti dalle macerie. Nemmeno il coraggio di guardarli. La morte non deve avere un volto. La vita deve trionfare: il ricordo del sorriso, degli occhi pieni di gioia, non del ghigno mortale di una faccia disfatta. Mamma che si salva: il volto insanguinato non lo riconosco. Papà è ancora seppellito sotto una montagna di macerie. Si lavora per portarlo via. Poi vado via anche io, fuggo dall’orrore. Fuggo dalla mia storia. Fuggo dalla mia vita. Tutto finisce nella notte dell’orrendo scossone. Non sento la radio, non guardo la tv. Poi, qualche sera dopo, incrocio con gli occhi l’immagine della chiesa parrocchiale: lì si sono sposati mia madre e mio padre, l’ sono stato battezzato, lì ho pregato con la mia gente la statua della Madonna delle Grazie. Mi dicono che devono portarla via. Era nella sua nicchia dalla fine del 1400, quando la mano ispirata dell’artista Carlo dell’Aquila l’aveva modellata. Siam peccatori ma figli tuoi, Maria di Grazie prega per noi: il canto è risuonato milioni di volte, almeno venti generazioni di onnesi hanno toccato quella statua, l’hanno baciata e hanno sfiorato quel bambino Gesù che stringe forte forte fra le manine un uccellino. La Madonna se ne va, depositata dentro un container. Terremotata anche lei. Tornerà, sì tornerà, quando le macerie risorgeranno.
Via dei Martiri non c’è più: nel 1944 la mano cattiva dell’uomo l’aveva resa simbolo della sofferenza, dell’uomo che si accanisce sull’uomo. Diciassette onnesi, la mia gente, annientati dalla follia di una guerra senza senso. Quella strage mi ha perseguitato per trenta anni: ho cercato di capire, di spiegare, di dare una ragione a quella violenza tanto assurda. Ho sperato anche di dare uno spunto per cercare giustizia. Oggi via dei Martiri piange altri morti: stavolta l’assurdo è il tremendo scossone. Tanti anni fa scavando nella storia del mio paese mi sono imbattuto nelle carte dell’archivio parrocchiale. Mi colpì una data: 2 febbraio 1703. Il parroco di quel giorno scrisse: ora sesta, orrendo scossone, la chiesa parrocchiale per intercessione di San Piero Apostolo è rimasta in piedi, una sola persona è morta.
Nel 1753 fu costruito il campanile, intorno una scritta a ricordo del parroco che lo aveva fatto realizzare: Beneditus Pezzopan, Unda prepositus. Due giorni fa i vigili del fuoco hanno preso la campana grande recuperata fra le macerie del campanile. L’hanno fatta suonare nella tendopoli. Sarà rinascita? Alla mia gente dico andate avanti, io non so se ce la farò, non so nemmeno come sono riuscito e scrivere questi pochi pensieri. Grazie alla mia seconda famiglia: gli amici e colleghi del Centro. Grazie a tutti quelli che mi hanno aiutato e confortato in questi giorni. Quanto era bella Onna quella notte prima dello scossone