Sisma 6 aprile 2009

Terremoto 6 aprile 2009, il ricordo di Massimo Cinque: “La memoria come appiglio per andare avanti”

Massimo Cinque ricorda la moglie Daniela, i figli Davide e Matteo che quella notte del 6 aprile rimasero sotto le macerie di via Campo di Fossa. "Si va avanti, cercando di trovare delle ragioni di vita: loro, che non ci sono più, ci danno la forza, ci guardano e vegliano su di noi, altrimenti non si potrebbe sopravvivere".

Massimo Cinque da 15 anni vive coltivando con amore e affetto il ricordo dei figli Davide e Matteo che insieme alla mamma Daniela Visione quella notte del 6 aprile 2009 non sono riusciti a scappare. 15 anni sono una vita e si va avanti: il dottor Cinque ha continuato con passione la sua professione (primario di Pediatria presso l’ospedale di Sulmona), per lo sport e per i suoi ragazzi del San Gregorio calcio di cui è presidente. “Abbiamo una bella squadra dove pratichiamo non solo sport, ma una sana e viva socialità, in quell’ottica di ricostruzione morale di cui abbiamo avuto tutti bisogno in questa fetta di vita”, spiega nello speciale di Grandangolo in occasione dell’anniversario del sisma del 6 aprile.

Massimo Cinque quella notte si è salvato perché era in servizio, dopo una domenica passata in famiglia, l’ultima “normale” nella casa di via Campo di Fossa. In quel palazzo hanno perso la vita 27 persone.  È andato avanti a testa alta e con semplicità ha continuato a coltivare la memoria dei suoi affetti più cari, strappati alla vita in modo così brutale.

Oggi Massimo Cinque è presidente della Fondazione “Sei aprile per la vita”, costituita dai parenti delle vittime del terremoto. Alla moglie Daniela è stata intitolata una via a Canistro, il campo da calcio dove si allenano e giocano i ragazzi del San Gregorio porta il nome dei suoi bambini e, dal 2012 e il campo “Davide e Matteo Cinque”. Una tragedia talmente grande che ancora oggi, nonostante il tempo trascorso, viene ancora da chiedere: Potevamo fare qualcosa? “Ci ha colti tutti impreparati: c’erano state avvisaglie importanti, la terra ci stava dando dei segnali e forse non siamo stati bravi a coglierli. Riflettendoci adesso, forse bisognava attrezzarsi diversamente, anche perchè quando ci sono state le prime scosse la gente non sapeva dove andare”.

La professione e la squadra di calcio per il dottor Cinque sono stati una terapia, lo hanno aiutato in questi anni bui, quando la solitudine e il dolore non hanno lasciato spazio alla speranza. Nonostante la vita trascorsa e le tante attività che porta avanti, convive comunque con un dolore che lo accomuna ai tanti parenti delle vittime: una ferita mai richiusa lasciata dal terremoto che ha cambiato per sempre, e profondamente, tutti coloro che portano dentro di sè questo segno indelebile.

“Oggi vedo i miei ragazzi nello sguardo dei bambini che accolgo in studio. E nella premurosa tenerezza delle madri, l’affetto e il sostegno dell’amore della mia vita, Daniela. Sono stato un uomo molto fortunato, perchè ho avuto e dato tanto amore, un sentimento che oggi mi consente di andare avanti con fierezza anche per loro”. La vita dicevamo è andata avanti 15 anni sono trascorsi con un grande dolore che non ti abbandona mai, ti accompagna sempre. Bisogna andare avanti, ma non è semplice, il ricordo è importantissimo e i miei figli insieme a Daniela sono e saranno sempre con me”.

L’intervista non è stata fatta in un posto a caso, ma nel campo della sua squadra intitolato ai figli Davide e Matteo, in quel luogo dove il 7 aprile di 15 anni fa furono montate le tende per accogliere gli sfollati. “In questo lasso di tempo è cambiato tutto, adesso abbiamo questa struttura meravigliosa, dove i miei ragazzi venivano sempre con nonno Teobaldo. Basta pensarci un attimo e tornano vivi alla memoria quegli scampoli di vita serena, allegra, come doveva essere per due ragazzini affamati di vita, curiosi”. 

Il ricordo è ciò che resta per chi come  il dottor Massimo Cinque quella notte ha perso tutto: il ricordo, strumento importante per non dimenticare e fare tesoro“La nostra società ha portato avanti un lavoro virtuoso, il San Gregorio è una grande famiglia composta da persone che mi sono vicino da sempre. Sono ripartito anche da qui, nel ricordo dei miei cari e dei tanti che non ce l’hanno fatta. Le nostre vittime sono i 309 martiri del terremoto, pochi secondi hanno spazzato via una vita intera, costruita giorno per giorno. Il 6 aprile ha fatto da spartiacque tra la vita di prima e quella dopo. Si va avanti, cercando di trovare delle ragioni di vita: loro, che non ci sono più, ci danno la forza, ci guardano e vegliano su di noi, altrimenti non si potrebbe sopravvivere”. 

 

 

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