Cultura

Zerocalcare all’Aquila, la mia Kobane: storie di emancipazione femminile e convivenza tra i popoli

Michele Rech, in arte Zerocalcare, all'Accademia di Belle Arti dell'Aquila. Incontro con gli studenti e presentazione di Kobane Calling: "Una storia di emancipazione e convivenza tra popoli".

Michele Rech, in arte Zerocalcare, all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Incontro con gli studenti e presentazione di Kobane Calling: “Una storia di emancipazione e convivenza tra popoli”.

“A me in realtà non interessava raccontare la guerra in sé, ma l’esperienza che stanno portando avanti le popolazioni curde e le altre che abitano il nord della Siria, cercando di costruire una nuova società con al centro la liberazione della donna e la convivenza tra i vari popoli; occasionalmente era impossibile non raccontare anche la guerra, visto che quell’esperienza era minacciata prima dall’Isis e poi dalla Turchia”. Così Zerocalcare nell’intervista al Capoluogo d’Abruzzo a margine dell’incontro con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, nell’ambito del secondo appuntamento del programma “vivisezionedelfumetto”, a cura del professor Michael Rocchetti. “In quel momento – racconta – arrivare in Siria era particolarmente complicato, con lo Stato Islamico che controllava ancora molte porzioni di territorio; mi ha molto colpito vedere la tranquillità con cui quelle popolazioni comunque vivevano, nonostante per noi fosse terrorizzante. Dai viaggi dal 2014 al 2016 è cambiato tanto, nel senso che tutta quella che era la minaccia dello Stato Islamico, inteso come entità di controllo di vari territori, non esiste più, ma non per questo la situazione è migliorata: molte zone sono state invase dalla Turchia che ha posizionato sul territorio altri jihadisti, che non fanno più riferimento all’Isis, ma che di fatto costringono le popolazioni a vivere lo stesso tipo di soprusi, quindi in realtà c’è una battaglia che è ancora in corso”.
Con la consueta ironia spiega “come si diventa Zerocalcare”: “Non lo so, io faccio tutto a caso, cerco di fare tutto nella maniera più intellettualmente onesta possibile, sia verso me stesso che verso le persone che ho davanti, dopodiché sono stato molto fortunato, imbroccando una via che in quel momento aveva un certo ritorno; non so se è ancora così e per quanto lo sarà, posso solo dire che m’ha detto bene“.
E sul rapporto con il pubblico, “è un rapporto fatto anche di gratitudine, perché alla fine se faccio questo mestiere è per chi i fumetti li compra”. E niente insofferenze da star: “È vero che alcune sessioni di firmacopie sono molto lunghe, anche di 7/8 ore, dopodiché chiunque faccia un lavoro d’ufficio passa lo stesso tempo a una scrivania e non viene visto con la stessa ‘compassione’; forse si pensa al mestiere dell’artista come qualcosa di più bohémien, ma in realtà ho lavorato tanti anni in aeroporto e quindi mi sembra tutto sommato una questione accettabile”.
Tra le atre, una riflessione anche sull’intelligenza artificiale, senza rinunciare all’ironia: “Sicuramente andrà regolamentata, più che altro per questioni di lavoro e di reddito delle persone; io non sono particolarmente preoccupato, perché sono una pippa a disegnare, lo ero già da prima e c’erano già un sacco di disegnatori più bravi di me che avrebbero potuto rubarmi il lavoro; io sono tra le persone fortunate, perché chi mi viene a cercare non è per il bel disegno, ma per il nome e per quello che racconto e questo non viene intaccato dalla questione dell’intelligenza artificiale. Però è vero che molti colleghi, virtuosi del disegno, magari possono trovarsi in difficoltà”.

L’intervista integrale

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