L’emigrazione storica dell’Abruzzo, lettere e foto d’altri trempi

21 aprile 2024 | 10:38
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L’emigrazione storica dell’Abruzzo, lettere e foto d’altri trempi

L’emigrazione storica dell’Abruzzo con le testimonianze dei protagonisti. Lettere e foto d’ altri tempi. La rubrica abruzzesi nel mondo.

Emigrazione storica dell’Abruzzo con le testimonianze dei protagonisti.

L’Abruzzo&Molise, tra la fine dell’800 ed i primi decenni del “Secolo Breve”, poi funestato dai due conflitti mondiali, fu purtroppo tra le regioni che pagò un tributo altissimo all’emigrazione dei suoi giovani: Interi borghi e contrade, specie delle sue aree interne, tra valli e conche isolate, partirono per terre vicine e lontane, spesso vendendo i pochi averi, per acquistare un biglietto di terza classe per il treno e/o per imbarcarsi su di un bastimento, dal porto di Napoli. Attraverso il lavoro dei ricercatori ed etnografi molto, ma purtroppo non tutto è stato recuperato e tramandato, per preservare una “memoria collettiva“, specie per le nuove generazioni, che non hanno vissuto quei drammi del distacco e dell’addio al “Piccolo Mondo Antico“, fin qui vissuto dai loro avi. Per questo gli stessi musei dell’emigrazione, devono cosi farlo riviverlo meglio, anche nella nostra regione, onorando ancor più coloro che vanno ricordati, a partire dai suoi poeti più lirici come Pascal D’Angelo. L’emigrante di Introdacqua (AQ), scriveva in America, nella sua nuova “terra promessa”, ripresa dal grande Giuseppe Prezzolini: “Una sera che il cielo era pieno di stelle, aveva detto ai compagni. Le stelle marciano nella notte profonda. Contro chi vanno esse in guerra? – Eh? Con chi? Chiedevano essi – coll’imperatore dell’eternità – E chi è? La MORTE – aveva risposto D’Angelo”, che poi profeticamente lo agguantò dopo solo due anni, nel 1936, ma la sua “America”, lo aveva già dimenticato. Per questo non è facile rileggere quelle lettere ingiallite dal tempo, spesso tracciate con una scrittura incerta ed in dialetto, accompagnate da foto in bianco e nero, con il vestito della festa, per rassicurare e confortare i propri cari, restati al paese, in attesa di notizie e delle proprie rimesse, da custodire gelosamente, per costruire un futuro migliore per le loro famiglie: il vero architrave della cultura contadina di tuttoil Mezzogiorno d’Italia: “Mi farai sapere le novità… e qua si lavora sempre… ma in questa terra spero di non invecchiarci” (Brasile, 1920). Vincenzo Rivera nella sua ricca ricerca: “Profili essenziali dell’emigrazione abruzzese dall’Unità ad oggi”, scrive nella sua introduzione, che “tra il 1876 ed il 1984 il totale degli espatri è stato di 26,5 milioni di abitanti, di cui poco più di un milione riguarda il solo Abruzzo “. “Le radici affondano nel periodo borbonico quando, in seguito al fallimento della politica di quotizzazione delle terre ex-feudali, esplosero, dappertutto, prima il fenomeno del brigantaggio e poi, successivamente, quello dell’emigrazione di massa… Il Cuoco mostrò perfettamente nel suo “Platone in Italia”, il paradosso dell’essere proprietario di un fazzoletto di terra, ma di non avere i mezzi necessari per coltivarla e mantenerlo”. Ed oggi, a più di un secolo e mezzo, da quella grande diaspora abruzzese nel mondo, in tutti i continenti, come descrivere e raccontare il presente? Con quali termini descrivere lo stesso espatrio, ovvero “il passaggio oltre il confine, è il tragitto dalla madrepatria al Paese estero“. Ed ancor più complesso definire, in maniera compiuta ed in evoluzione il termine “Confine“, in un mondo globalizzato, ma ora messo in crisi con la globalizzazioneimperante, dalle crescenti tensioni geopolitiche internazionali. Del resto la semiologa Francesca Romagnoli ha definito il termine “ExPat”, nel gergo anglosassone, come residente in un paese straniero perché esiliato o bandito dal proprio paese. Naturalmente questa definizione resta diversa nel definire il professionista trasferitosi all’estero per coltivare la propria carriera lavorativa, decidendo semmai dopo di tornare nel Paese di origine.

“I cittadini del mondo rispettano una nazione in grado di vedere al di là dei suoi propri confini”
Fitzgerald Kennedy.

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