I cinturelli

I Cinturelli, il corredo degli sposi

Il corredo di nozze protagonista del nuovo articolo de i Cinturelli. La maggior parte dei sogni romantici delle ragazze “danzavano” sulle pieghe delle lenzuola da ricamare, sugli “spizzi” da intrecciare, sulle tovaglie da tessere e “fare bianche” e da riporre nella cassa

I Cinturelli – La rubrica settimanale del Capoluogo, con il contributo di Alessia Ganga. Ieri sposi prima parte: il corredo. Inutile tergiversare, la vita di una giovane donna duecento, cento o cinquanta anni fa, da noi, ruotava intorno ad un unico grande evento: IL MATRIMONIO

Fino a poche decine di anni fa nascere “femmina” nei nostri paesi significava avere un destino stabilito da leggi divine e patriarcali, fatto di tappe fisse e inderogabili: nascita, licenza elementare, lavoro, preparazione del corredo, lavoro, matrimonio, lavoro, maternità, lavoro, lavoro, estrema unzione e morte. Eppure, incredibile a dirsi, c’era spazio anche per sognare l’amore, per aspettare lettere (che se intercettate da padri o fratelli significavano solo mazzate!), per percepire su di sé sguardi (ma senza ricambiarli!), per ascoltare serenate notturne chiedendosi di chi fosse la voce (ma guai ad affacciarti, svergognata!)

I Cinturelli, la rinascita della Castellina di Caporciano

Inutile tergiversare: la vita di una giovane donna duecento, cento o cinquanta anni fa, da noi, ruotava intorno ad un unico grande evento: IL MATRIMONIO. Il matrimonio era “l’avanti Cristo” e il “dopo Cristo” e chi ne rimaneva esclusa, perché “disonorata” anche solo da un innocentissimo fidanzamento non andato a buon fine o perché “nz’ l’eva pijèta nisciun’” viveva come un peso nella famiglia d’origine, in alcuni casi perfino mandata a lavorare altrove, meglio se all’estero… La maggior parte dei sogni romantici delle ragazze (ma anche una praticissima valutazione delle proprie possibilità di fare un buon matrimonio) “danzavano” sulle pieghe delle lenzuola da ricamare, sugli “spizzi” da intrecciare, sulle tovaglie da tessere e “fare bianche” e da riporre nella cassa (“la cascia” ) in attesa del trasporto nella casa del futuro marito…
Finita la scuola, insomma, imparato a leggere e scrivere (e in alcuni casi neanche quello) a poco più di 10 anni incominciava l’apprendistato presso una sarta o una anziana signora che con severità e disciplina impartiva i precetti del ricamo (a.C.) e del rammendo (d.C.).
Lavori questi che si facevano però prevalentemente d’inverno, di sera, nella stalla (vedi articolo “La stalla” di Paolo Blasini) perché d’estate si lavorava nei campi e il ricamo si faceva giusto la domenica quando, nel giorno del Signore, ci si riposava all’ombra (ma guai a stare con le mani in mano!) I giovanotti la sera facevano la spola da
una stalla all’altra per vedere le ragazze intente al lavoro. Si guardava e ci si faceva vedere ma sempre senza dare nell’occhio!
Del resto il “cerchio” delle ragazze era inframezzato dalle mamme e intorno a quel cerchio un altro, quello dei papà. Un muro di cinta, una fortezza inespugnabile, che crollava solo se nella stalla si accendeva la musica e si ballava. E chissà quanti hanno scelto la loro sposa anche in base alla cura e alla dedizione con la quale la vedevano intenta al ricamo o alla tessitura… Il corredo era la dote della ragazza, il suo biglietto da visita nella famiglia del futuro sposo. Doveva essere abbondante, bello, completo, meglio ancora se accompagnato da pentole di rame che ne accrescevano il valore e distinguevano la “sposa ricca” da quella standard.

Dagli anni ’30 agli anni ’60 la futura sposa caporcianese doveva essere “corredata” di quanto segue:
1 materasso matrimoniale di lana
6 coperte di lana e cotone
1 coperta di seta
1 trapunta (‘mbuttita) di lana d’agnello
1 coperta di lana abruzzese
1 “imbottitina” scaldapiedi
3 tappeti scendiletto
30 lenzuola ricamate a mano
12 federe
4 cuscini di lana
2 coppie di asciugamani di spugna
Rotoli di tela tessuta per asciugamani
Rotoli di tela tessuta per salviette da cucina
1 tovaglia da tavola da 12
1 tovaglia da 6
4 camicie da notte estive e di flanella per l’inverno
1 “parure” da sposa con camicia da notte
di seta
4 sottovesti
6 mutandine
1 conca
1 mestolo per attingere l’acqua (manér’)
1 scaldaletto (scalla lett’)
La sposa doveva ovviamente provvedere anche ad un corredino minimo per il futuro sposo che si componeva di:
2 pigiami
4 camicie
2 mutande lunghe
2 mutande corte
6 paia di calzini di lana e cotone
12 fazzoletti per il naso

Valore complessivo: circa 500.000 lire (stima risalente a metà degli anni ’60). Ci sono stati padri che si sono indebitati per comprare lenzuola e altri che sono andati all’estero per garantire alle figlie una dote dignitosa che non le facesse sfigurare E questo anche perché, a un mese dal matrimonio, c’era una vera e propria cerimonia di esposizione del corredo a casa della sposa! Per circa 15 giorni chiunque poteva andare e ammirare la quantità, la qualità, la raffinatezza (o meno) della dote (“tagliando e cucendo” poi, e in separata sede, di quanto visto). Questa tradizione era croce e delizia delle spose che, o per malavoglia o per scarsi mezzi, non aveva un gran corredo da mostrare. Partivano quindi spedizioni segrete di mamme che “jèvn ‘mprést’t” dalle parenti sposate di fresco per rimpinguare l’esposizione delle figlie con coperte e tovaglie.

Voti di segretezza che non di rado venivano infranti, all’indomani di liti e diverbi, con il conseguente “ rmbacc’ ” di aver prestato anche il proprio corredo per non fargli fare brutta figura. Una settimana prima del matrimonio il corredo veniva portato trionfalmente dalle donne invitate a casa dello sposo, futura dimora della sposa, con dei canestri e addirittura già nei “tiretti” del comò della mobilia nuova comprata dalla coppia e già posizionata. Il dado era tratto. Non si tornava più indietro. La casta biancheria della casta sposa varcava, prima ancora di lei, la soglia della casa e della camera. Avrebbe adornato il letto, l’avrebbe indossata la notte di nozze. E il lenzuolo, da lei finemente ricamato e sulle cui pieghe aveva danzato i suoi sogni d’amore, avrebbe dovuto dimostrare, l’indomani, alla sua famiglia e a quella di lui, la sua onestà

Questo articolo è stato pubblicato sul periodico I Cinturelli, un progetto editoriale nato nel 2010 da un’idea di Dino Di Vincenzo e Paolo Blasini. I Cinturelli, disponibile online e cartaceo, racconta la storia, la cultura, le tradizioni e le leggende del territorio.

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