Politica

Superbonus, la sconfitta dello Stato

Arriva l'ennesima modifica al superbonus, retroattiva, nel meccanismo di utilizzo dei crediti. Giorgetti continua a demolire una norma che al governo aveva varato

Il superbonus è una sconfitta dello Stato, ma non solo e non tanto nell’accezione cara al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ovvero che si è rivelata una misura devastante per i conti pubblici. Lo è anche nel modo in cui la seconda fase della vita dell’incentivo, ovvero la sua dismissione, è stata gestita. Uno stillicidio di correttivi, limitazioni, passi indietro e ripensamenti che hanno ripetutamente minato un principio cardine come la certezza delle leggi e delle regole.

Le ultime modifiche disposte dal Governo (che dovranno naturalmente ottenere l’approvazione definitiva in Parlamento, quindi chissà) riguardano l’obbligo, per chi si avvale del superbonus, di detrarre le spese in un arco di tempo di dieci anni e non più quattro. Vale per le spese sostenute già nel 2024, quindi c’è retroattività. Poi figura il divieto, dal 2025, per banche, assicurazioni e intermediari finanziari di compensare i crediti con i contributi previdenziali e con quelli Inail.
Si tratta di una nuova puntata di una sequela di cambiamenti che, calcolano i costruttori dell’Ance, ha superato quota 30. Ogni episodio accompagnato dalla consueta ridda di voci, posizionamenti, dichiarazioni, passaggi in Commissione e in Aula che, prima dell’entrata in vigore, ha ogni volta confuso e gettato nello sconforto cittadini, operatori, addetti ai lavori. Il principale passaggio prima di quello odierno è stato il sostanziale e progressivo arresto del meccanismo di circolazione dei crediti.
Il peccato originale sta sì nella norma. Desta in particolare perplessità che sia stata predisposta senza limitazioni e vincoli per quanto concerne la platea di beneficiari, con il risultato paradossale di favorire i meno bisognosi, perché meglio introdotti nelle reti di relazioni con i professionisti il cui lavoro è indispensabile per accedere alla misura. Poi non si è dato dare un qualche tipo di priorità alle abitazioni meno performanti dal punto di vista energetico. Più dell’obiettivo dichiarato, ovvero adeguare il patrimonio edilizio, si è colto quindi quello di distribuire fondi sostanzialmente a pioggia attraverso il settore dell’edilizia. La circostanza che l’iniziale limite temporale, quello della fine del 2021, sia stato superato attraverso proroghe, ha fatto, più che lievitare, esplodere i costi. Siamo a 122 miliardi di euro, partendo dalla stima iniziale di 35. Le metafore di Giorgetti un qualche senso quindi sembrerebbero averlo.
Meno sensato che a pagare il conto siano le imprese (quindi i lavoratori) e i cittadini, che dall’impressionante serie di modifiche in corsa delle regole, perciò degli impegni, ci hanno rimesso tempo per adeguarsi e soprattutto denaro, investimenti. La loro colpa è stata solo quella di seguire procedure e utilizzare opportunità offerte dallo Stato. Nella storia del superbonus quindi come detto a perdere sono le istituzioni, la loro affidabilità, in un’epoca e in un Paese in cui, per usare un eufemismo, questa è già piuttosto appannata.
E Giorgetti, il custode dei conti pubblici? Quando il superbonus veniva varato nella forma che conosciamo, e poi prorogato, era ministro dello Sviluppo economico. Le critiche e le demolizioni dovrebbe rivolgerle quindi anche a se stesso. Ma, a quanto pare, a pagare il conto devono essere altri.

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