I cinturelli

I Cinturelli, il corteggiamento e il fidanzamento

“Dì a tua cugina che sarei interessato, che posso venire anche subito a casa sua a parlare con il padre…”: questa settimana con la rubrica I Cinturelli torniamo indietro nel tempo, a riscoprire la magia del corteggiamento e del fidanzamento di una volta.

I Cinturelli – La rubrica settimanale del Capoluogo, con il contributo di Alessia Ganga. Ieri sposi seconda parte: il corteggiamento e il fidanzamento.

“Apra r’occhie i spanna, c’ha n’à callera c’ s’ rcagna…” (Apri gli occhi e guarda bene perché poi non si può più cambiare). Nel secolo scorso, e prima della legge sul divorzio, il “per sempre” non era ancora stato sostituito dal “per ora” e l’amore era una questione di primaria importanza nella vita delle ragazze. Ne determinava (per sempre!) lo status, la condizione abitativa, la salute fisica, il futuro dei propri genitori e anche quello dei figli. Guai quindi a commettere errori, a compromettersi, a “scegliere male” di chi innamorarsi e con chi fidanzarsi.

Le ragazze, custodi dell’ascendenza e della discendenza, erano dunque delle sorvegliate speciali: non uscivano quasi mai sole e non avevano il permesso di fermarsi a parlare con i ragazzi, meno che mai a passeggiare in loro compagnia. Conclusa in fretta e furia la scuola le occasioni di incontro erano dunque limitate ai soli luoghi consacrati alla collettività: la fonte, il forno, la stalla, la campagna e la Chiesa. Ma come esprimere l’interesse o l’amore, reciproco o no che fosse, essendo interdetto l’uso della parola? Con gli sguardi…
Gli sguardi tra ragazze e ragazzi saettavano da un capo all’altro delle navate della Chiesa, aravano campi e lievitavano pani, riempiva¬no le conche dell’acqua, e anzi, le facevano tremolare. Il desiderio, la speranza, l’ardore di un sentimento, l’attesa, la gelosia, l’Amore, con la “A” maiuscola, tutto era affidato allo sguardo, all’ucchièta…“Tirej’ n’ucchièta” raccontava infatti Don Pietro, ufficiale di Posta a Caporciano nei primi anni ’30, di aver raccomandato ad un ragazzo un po’ sempliciotto che non sapeva come far capire ad una ragazza che ne era innamorato. “Tirej’ n’ucchièta, dop’ la Messa, na vota, du i tre e quela capiscia…”. E lui, tutto speranzoso, così fece. Andò dal macellaio e si fece consegnare una cartata di occhi d’agnello, visto che si era sotto Pasqua, e all’uscita dalla Chiesa li lanciò addosso all’amata, una, due, tre volte…fino a che lei, orripilata, scappò via…

Oltre allo sguardo, i più ardimentosi affidavano il corteggiamen¬to anche ad un “messaggio vocale” o ad un bigliettino ma mai alla diretta interessata! Di fondamentale importanza, in questi casi, era il ruolo dell’intermediaria, di solito un’amica fidata o una parente di lei.

I Cinturelli, il corredo degli sposi

Nei nostri paesi il ritornello canterino aveva infatti un’altra versione: “Fatti mandare dalla mamma…a prendere l’acqua!” Era lì, alla fonte, tappa obbligata delle ragazze da marito, equilibriste della conca di rame, che i giovanotti cercavano di placare la propria sete d’amore, si tendevano imboscate e si scambiavano “imbasciate”: “Dì a tua cugina che sarei interessato, che posso venire anche subito a casa sua a parlare con il padre…”

Se anche queste manovre di avvicinamento non sortivano risulta¬ti, lo sguardo non era ricambiato o al messaggio non v’era rispo¬sta, allora scattava la serenata “p’ dspett”, per dispetto: una sola canzone e basta, senza seguito e senza attesa sotto la finestra…
Come quello degli sguardi, anche le serenate, erano infatti un sistema di comunicazione compreso e condiviso:
– una serenata: “sei scontrosa”
– due serenate: “siamo amici”
– due serenate e mezzo: “ti amo…e tu?”
– tre serenate: “siamo fidanzati e ci sposiamo”
Se a risuonare nella notte era una sola serenata tirava aria di scontento, di dissidio, di ripicca e rivalsa…
Le due serenate destavano invece nei genitori sempre un certo sospetto: “chi sarria st’amic…?”

Le due serenate e mezzo, erano croce (per i genitori) e delizia (per le ragazze): chi poteva essere il misterioso suonatore di grammofono a manovella che si sta ricoprendo di neve facendo inceppare il disco? La ragazza di certo aveva dei sospetti o delle speranze, ma guai ad affacciarsi alla finestra o accendere la luce per accertarsi dell’identità del pretendente! Se i genitori, invece, lo avevano già “intercettato” e non era di loro gradimento non di rado glielo facevano capire rovesciandogli addosso una bacinella d’acqua, nel migliore dei casi…Le tre serenate, cioè tre canzoni di fila, cantate o suonate col grammofono, di solito le “portava” solo il fidanzato ufficiale, quello cioè che aveva ricevuto il permesso dal padre di frequentare la casa della ragazza. E anche qui il cerimoniale doveva essere rispettato: quando il ragazzo era sicuro di essere ricambiato nei propri sentimenti di solito si faceva accompagnare da un “padrino”, un amico o un parente, a parlare con i genitori della ragazza. Se questi lo accoglievano con favore allora lui riceveva il permesso di fare visita alla fidanzata la domenica pomeriggio, unico momento libero dal lavoro, o qualche sera a settimana…La domenica successiva al fidanzamento la famiglia di lui veniva a pranzo a casa di lei e la futura suocera regalava dei fiori alla ragazza in segno di rispetto. Dopo qualche giorno si replicava il pranzo a casa di lui, per far conoscere le famiglie, parlare di come procedere, con quali progetti e soprattutto con quali sostanze..

Se i ragazzi erano giovani i genitori decidevano che il fidanzamento doveva durare parecchio prima di convolare a nozze, se invece erano “attempati” (termine davvero in uso all’epoca) allora il fidanzamento era questione di pochi mesi e subito si parlava di matrimonio e della futura sistemazione della coppia. Il fidanzamento ufficiale, con tanto di festicciola tra parenti stretti e scambio di anelli rigorosamente d’oro tra lui e lei dava al fidanzato il diritto di “rompere” il cordone sanitario di famiglia e parenti che di solito circondava le ragazze: si potevano scrivere lettere durante il servizio militare, si poteva pranzare con la famiglia la domenica e durante le serate alla stalla sedersi accanto alla futura sposa, magari riuscendo perfino a darle una carezza furtiva sebbene innocentissima… Eh, sì, perché l’essere fidanzati non significava certo poter uscire a camminare da soli o scambiarsi baci ed effusioni! No, no, anzi! Era proprio in quel momento che la sorveglianza si inaspriva e i fidanzati non venivano praticamente mai (!) lasciati soli per evitare che succedesse “il fattaccio” e le ragazze si guastassero. A tal proposito venivano arruolate schiere di fratellini e sorelline, come elementi di disturbo e di distrazione di massa…o a presiedere agli incontri era sempre presente lei, la madre riproducendo un altro antico adagio “ji, mammta i tu…”

Ed era così, candite e ingenue, che le ragazze si ritrovavano davanti all’altare e poi in luna di miele, accanto al marito scelto per amore o scelto dalla famiglia, nella più totale ignoranza di quello che le aspettava, del sapore di un bacio o di una carezza più ardita, con un’unica granitica certezza: che sarebbe stato “per sempre”.

Questo articolo è stato pubblicato sul periodico I Cinturelli, un progetto editoriale nato nel 2010 da un’idea di Dino Di Vincenzo e Paolo Blasini. I Cinturelli, disponibile online e cartaceo, racconta la storia, la cultura, le tradizioni e le leggende del territorio.

 

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