I cinturelli

I Cinturelli, il matrimonio e il pranzo di nozze

La preparazione del brodo, la magia del canestro pieno di cose buone e semplici...Questa settimana con la rubrica I Cinturelli ci immergiamo nei ricordi del pranzo di nozze di una volta!

I Cinturelli – La rubrica settimanale del Capoluogo, con il contributo di Alessia Ganga. Ieri sposi – terza parte. Il matrimonio e il pranzo di nozze. Una volta che le some, cioè la biancheria da corredo della futura sposa, avevano varcato la soglia della casa maritale, ben piegata nei cassetti della mobilia nuova, ci si cominciava a preparare per il grande giorno: il matrimonio ma soprattutto…il pranzo di nozze!

Eh sì, perché in confronto allo sforzo organizzativo ed economico del pranzo in casa quella della cerimonia era una pura formalità, anche piuttosto sbrigativa. Il matrimonio doveva essere celebrato in un giorno feriale perché la domenica aveva una liturgia fissa che non poteva essere cambiata. Il giorno prima veniva aggiustata la chiesa ma l’addobbo era estremamente sobrio, nulla a che vedere con gli allestimenti di oggi, insomma. Giusto qualche vaso di fiori, di solito gerani o gladioli rigorosamente bianchi, disposto qui e là dalle ragazze della famiglia con l’aiuto del sagrestano che si occupava di allestire anche il banchetto degli sposi, ricoperto da una coperta di pizzo, anch’essa bianca. E poi tutte di corsa a casa dove fremevano i preparativi per il primo dei due pranzi, quello a casa della sposa, che si sarebbe svolto subito dopo la cerimonia. E là si trottava sotto gli ordini del cuoco o della cuoca, di solito compaesani che all’occorrenza ricoprivano quel ruolo, e che con la maestrìa di direttori d’orchestra suonavano la partitura della preparazione delle vivande, tutte fatte in casa, seguendo regole precise e ritmi imprescindibili.

Tre giorni prima del matrimonio la casa della sposa era mèta di “pellegrinaggio” da parte dei parenti invitati al pranzo per portare il famoso “canestr’ ”, il canestro con i doni, la cui composizione era, anch’essa, rigidamente codificata: 20 uova, 2 kg di zucchero, 2 fiaschi di vino, 1 bottiglia di liquore, 1 pagnotta di pane e 2 kg di pasta, spaghetti o più spesso rigatoni perché facevano volume. Su tutto troneggiava e faceva capolino, dalla tovaglia bianca che lo ricopriva, un agnello con in bocca un’arancia o un mandarino se si era d’inverno oppure un mazzetto di fiori se il matrimonio si celebrava in primavera o in estate.

La cuoca era già lì, pronta a ricevere le donazioni, e insieme alle donne adulte della famiglia cominciava il taglio delle carni per l’arrosto (l’agnello) e per il brodo (esclusivamente di vitello e pollo). Il giorno dopo, alla vigilia del matrimonio, si preparavano invece la pasta e le torte mentre le ragazze più giovani sgomberavano e pulivano le stanze e disponevano i tavoli a ferro di cavallo, con al centro, nella stanza principale, i posti per gli sposi. E qui cominciava un’altra peregrinazione in tutto il vicinato, quella per le tovaglie bianche, le sedie, i piatti, le posate, i vassoi, le fruttiere, in modo da poter apparecchiare per un numero di invitati quasi mai inferiore al centinaio!
La ragazza più sveglia annotava tutto su un quaderno e guai a sbagliarsi, guai a confondere quelli di Marietta con quelli di Peppinella! Per evitare errori ai piedi delle sedie venivano legati dei fili colorati, ai piatti veniva fatto un “segnetto” sul fondo e veniva annotata la descrizione del fregio delle posate prese in prestito… C’era un viavai di persone, tutte indaffarate, tutte con un compito preciso. E anche questi aiutanti, alla sera, dovevano mangiare! Per loro il menu disposto dalla cuoca era quasi sempre lo stesso: testina d’agnello mollicata al forno e la minestra con le tritature, cioè i ritagli della pasta ammassata per l’indomani.

La mattina del matrimonio lo sposo e la sposa si svegliavano prestissimo perché insieme dovevano andare a confessarsi.
Una volta depositati nel confessionile i pochi e innocenti peccati tornavano alle rispettive case per prepararsi. Era lo sposo che andava poi a prendere a casa la sposa, accompagnato dalla mamma, la suocera, che portava in dono alla futura nuora un collier d’oro da indossare subito. Partiva così il corteo: la sposa davanti, al braccio del padre, lo sposo dietro accompagnato dalla madre. All’altare il padre prendeva la mano della figlia e la consegnava allo sposo e la cerimonia poteva cominciare. E la mamma della sposa? E le sorelle? Le cugine? Ovviamente erano a casa a cucinare e non potevano neanche partecipare alla cerimonia (sigh!)

pranzo di nozze

Fino ai primi anni del ‘900 la sposa vestiva in maniera molto semplice, con un completo grigio, blu o addirittura nero, con in testa un velo di seta perché i vestiti costavano e bisognava riutilizzarli o adattarli per altri usi. Sarà solo a partire dagli anni ’60 che anche le spose nostrane faranno frusciare le gonne dell’abito bianco nella navata della chiesa, sfoggiando perfino pizzi e merletti e l’immancabile velo a coprire il capo.
Solo raramente, e sempre in anni successivi, si scattavano delle foto. Di solito gli sposi erano costretti, alcuni giorni dopo il matrimonio, a rimettersi gli abiti nuziali per andare da un fotografo e avere almeno un’istantanea di quel giuramento. Dopo il rito il corteo ripartiva dunque alla volta della casa della sposa dove stava per iniziare il pranzo!

Gli sposi prendevano posto al centro del tavolo a ferro di cavallo. Accanto alla sposa sedevano i suoi testimoni e i genitori dello sposo, accanto allo sposo i suoi testimoni e il papà della sposa. E la mamma della sposa? E le sorelle? Le cugine? Ovviamente erano impegnate a cucinare e servire a tavola e di certo non potevano neanche prendere parte al pranzo (sigh!)

E ora, altro che Masterchef, altro che Cracco e Barbieri…

Si cominciava con un antipasto misto di salumi, formaggi e fegatino piccante. A seguire il brodo con la “pasta bignè” fatta a mano e fritta. Va da sé che arrivasse poi il bollito con la giardiniera. E senza soluzione di continuità il primo, lasagna o spaghetti o fettuccine e poi la prima delle portate di carne, di solito il polpettone affettato o le fettine panate o la genovese accompagnata dalla cicoria, la bieta o i fagiolini a seconda della stagione. In qualche pranzo speciale, più incline alla raffinatezza, a questo punto si “spezzava” ma di certo non con un sorbetto, no…bensì con del fegato d’agnello impanato e fritto, dolce, accompagnato da un cannolo ripieno alla crema! Dopo questo “intermezzo” arrivava il tanto agognato arrosto d’agnello con l’insalata e poi a cascata la frutta, le “pizze dolci” decorate con i confetti che fungevano da torta nuziale e per chiudere liquori di maraschino, amaretto, doppio cummel e l’anisetta Meletti oltre a biscotti di ogni genere. Il tutto innaffiato dai vini nostrani, d’annata o invecchiati, che contribuivano non poco all’allegria del dopo pranzo, quando cioè si faceva spazio al centro per poter ballare. Gli sposi intanto passavano da un invitato all’altro per distribuire con i cucchiai confetti e nocci. Solo dopo una settimana sarebbero andati personalmente di casa in casa, dai parenti, per consegnare la classica bomboniera.

I Cinturelli, il corredo degli sposi

Mentre la festa era in pieno svolgimento, al tramonto, la coppia di neo sposi intraprendeva il solo ed unico viaggio di nozze in programma: quello che divideva la casa della sposa da quella dello sposo. Il “primo letto” era stato già preparato dalla suocera, dalle figlie e dalle zie otto giorni prima con la biancheria migliore e decorato con le cumbettozze. La prima notte di nozze, terrore e delizia delle giovani spose, stava per avvicinarsi ma, ecco, neanche il tempo di scambiarsi le prime, primissime, carezze che già gli sposi erano costretti ad affacciarsi alla finestra, chiamati a gran voce dagli amici e parenti che, resi allegri dal vino, gli portavano la serenata. Ma tanto l’indomani sarebbe stato un altro giorno di festa. La coppia tornava in chiesa per una seconda cerimonia, la sposa avrebbe indossato il vestito d’ ru second jorn’ e ci sarebbe stato un secondo pranzo, a casa dello sposo. E stavolta anche la mamma della sposa, le sorelle e le cugine, avrebbero potuto finalmente partecipare ma non le loro omologhe della famiglia dello sposo, costrette, come loro il giorno prima, a cucinare, servire a tavola e poi ripulire e rimettere tutto a posto.

La sposa, unica donna della giornata a poter vivere un piccolo sogno, ad essere al centro dell’attenzione, dispensata dal lavoro, il terzo giorno sarebbe stata una moglie e al più presto anche madre. Sarebbe tornata nei campi, avrebbe attinto l’acqua e lavato, stirato e cucinato. Accudito gli anziani e il marito, cresciuto i figli e pianto i morti. Avrebbe detto le preghiere e seguito i comandamenti.
E anche questo, per sempre.

Questo articolo è stato pubblicato sul periodico I Cinturelli, un progetto editoriale nato nel 2010 da un’idea di Dino Di Vincenzo e Paolo Blasini. I Cinturelli, disponibile online e cartaceo, racconta la storia, la cultura, le tradizioni e le leggende del territorio.

 

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