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Acampada Pro Palestina, 15′ giorno, studenti chiedono ancora incontro formale con Rettore Univaq

Non si ferma l'Acampada Pro Palestina davanti la sede di UnivAq. Gli studenti chiedono che, "L'Ateneo interrompa i rapporti con la Leonardo, una tra le maggiori aziende di produzione e ricerca in campo bellico, che produce le stesse armi usate dall’IDF nel genocidio palestinese".

Non si ferma l’Acampada della rete studentesca e cittadina aquilana in sostegno del popolo palestinese. Tende e striscioni davanti la sede di UnivAq a via San Basilio. Gli studenti continuano a chiedere un incontro con il rettore “Formale e pubblico”, con l’auspicio, “Che la nostra università interrompa immediatamente i rapporti lavorativi con tutte quelle aziende e attività legate a Israele; ciò che sta accadendo in Palestina richiede il boicottaggio corale e totale del sistema israeliano”.

L’Acampada Pro Palestina a L’Aquila è l’ultima – in ordine di tempo –  di un processo a catena messo in moto dalla repressione della prima, avvenuta nel Morningside Heights Campus della Columbia University, con la presidentessa Shafik che ha chiamato il Nypd ad arrestare studenti e studentesse pro Palestina a centinaia. Questa forma di protesta è stata lanciata nel nostro Paese dal gruppo italiano Giovani Palestinesi e ha coinvolto città come Milano, Bologna, Torino, Genova, Pisa, Padova, Siena, tra altre.

Da 15 giorni gli studenti hanno montato le loro tende davanti la sede di UnivAq di viale Nizza e portano avanti la manifestazione con la speranza di riuscire a incontrare formalmente il rettore dell’ateneo, Edoardo Alesse. “Troviamo significativa l’esistenza di uno spazio del genere nel pieno di un centro storico privo di servizi, disabitato, votato al consumo e al caro affitti: sostanzialmente devitalizzato in quella che dovrebbe essere la sua principale funzione: di centro e punto di riferimento nella quotidianità dei cittadini e delle cittadine che, si auspicherebbe, lo abitano”, spiegano ai microfoni del Capoluogo Antonia Melaragni e Cecilia Battibocca.

Gli studenti, in sostanza, chiedono a UnivAq, Di interrompere i rapporti con la Leonardo, una tra le maggiori aziende di produzione e ricerca in campo bellico, che produce le stesse armi usate dall’IDF nel genocidio palestinese. Crediamo sia fondamentale tornare a discutere del rapporto che intercorre ad oggi tra militarismo e formazione. L’acampada che stiamo portando avanti, infatti, ha l’obiettivo di riportare all’interno dell’Università un dibattito serio e profondo sull’orizzonte di valori che fa da base ad un luogo di cultura come questo. Pensiamo sia fondamentale alla luce del periodo storico che stiamo attraversando, prendere posizione politicamente, economicamente e culturalmente contro la guerra e il genocidio in atto ai danni del popolo palestinese e restituire ai luoghi della formazione quel ruolo sociale di emancipazione e liberazione”. 

Le interviste

Per questo, lo scopo degli studenti aquilani, È di ottenere un confronto pubblico per discutere le nostre istanze per la Palestina, nonostante il rettore si fosse già dimostrato disinteressato a questa possibilità, concedendoci solo un incontro nel quale è stato irremovibile e poco esaustivo. Noi vogliamo che il rettore e il resto del corpo accademico prendano in considerazione la lettera pubblica che abbiamo inviato, sottoscritta da 250 persone tra studenti studentesse e docenti. Troviamo incredibile e molto demoralizzante che nonostante questa partecipazione il rettore non riconosca i problemi che abbiamo sollevato e non ritenga necessario metterli in discussione”.

Entrando nel merito della protesta, “quello che riteniamo il minimo indispensabile, considerata l’enormità e l’atrocità di quello che sta succedendo in Medio oriente, sarebbe una presa di posizione netta riguardo il genocidio del popolo palestinese comprendendo un espressione di condanna verso le politiche di Israele che lo attuano. Per noi non è bastevole la posizione della CRUI ribadita anche dal rettore;  infatti in questa il genocidio del popolo palestinese non viene mai definito come tale dunque di fatto non viene riconosciuto.

“A 8 mesi dall’intensificazione del genocidio palestinese – continuano Cecilia e Antonia – è inaccettabile che l’attacco del 7 ottobre venga equiparato ancora alla distruzione genocida che Israele attua in Palestina, all’occupazione illegittima dei territori palestinesi, al massacro di almeno 37.164 civili (di cui il 70% composto da donne e da minori) e agli oltre 50 anni di apartheid, utilizzando espressioni come ‘Il massacro di civili che da quella data è stato perpetrato nella Striscia di Gaza e la contemporanea distruzione di tutte le infrastrutture, non ultime le università, hanno ormai superato ogni limite accettabile’ che sottintendono la presenza di un limite entro il quale Israele è libero di agire indisturbato e sterminare la popolazione palestinese sotto gli occhi di tutto l’occidente”. 

Acampada pro Palestina davanti UnivAq

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