L'approfondimento

L’omicidio Pescara è il fallimento della società, cresciamo giovani senza limiti

C'è tanto alla base dell'omicidio di Pescara: il non riconoscimento delle funzioni genitoriali, un disagio non intercettato, le dipendenze. "I giovani non riconoscono più alcuna autorità"

Un ragazzo di quasi 17 anni è stato ucciso da altri ragazzi. Siamo a Pescara, in un pomeriggio in cui l’estate è appena iniziata. 25 coltellate inferte alla vittima per un piccolo debito di droga, poi un bagno in mare, anche per gettare via il coltello sporco di sangue.
La psicologa: “Questi atti dimostrano il fallimento della società. I giovani di oggi sono nati nella società del benessere, in cui tutto è indefinito e dove sembrano non esserci limiti né conseguenze”.

Mentre proseguono le indagini sulla morte di Christopher Thomas Luciani, 17 anni da compiere, ucciso nei pressi del Parco Baden Powell a Pescara, in molti continuano a chiedersi il perché di un atto tanto atroce. Il debito di appena 250 euro non risponde neanche ad una sola delle moltissime domande e dei perché sull’omicidio di Pescara, per questo scatta l’allarme su un’emergenza giovani che, sempre in più casi, sembra essere ormai diffusa.
“Tanta libertà, poche regole” è solo una parte del problema e rischierebbe di essere un discorso limitato e poco rispondente ad una realtà complessa e scatenata da più cause, che andrebbe affrontata il prima possibile. Una realtà che chiama in causa famiglie, scuola, giovani e tutti coloro che a volte tendono a scrollare le spalle, chiudendo gli occhi di fronte ad atteggiamenti che dovrebbero essere letti come primissimi campanelli d’allarme.

Oltre l’omicidio di Pescara, cosa sta succedendo. 

IL NON RICONOSCIMENTO DELLE FUNZIONI GENITORIALI
Come illustra la psicologa Chiara Gioia, “L’omicidio di Pescara ci obbliga ad interrogarci dal punto di vista psicanalitico sulla funzione dell’archetipo genitoriale, in modo particolare sulla funzione paterna. Questi fatti di cronaca, a mio avviso, rappresentano il fallimento della società. Un fallimento totalizzante, soprattutto nella società del benessere, iper sviluppata ed iper connessa. Episodi che inevitabilmente ci portano ad interfacciarci con atteggiamenti umani molto arcaici, basati su una violenza istintiva che spaventa e che deve farci riflettere per capire cosa stia veramente succedendo. C’è stato un continuo impoverimento dei ruoli di riferimento“.

“Da un punto di vista psicanalitico – continua la psicologa e psicoterapeuta aquilana – la funzione del padre rappresenta il sapersi rapportare con l’autorità, con il sistema delle regole, dunque con le leggi. Una funzione che, in questi fatti di cronaca, sembra totalmente in disfacimento. Il ruolo del padre è, infatti, rappresentato nel contesto familiare da colui che aiuta il bambino a ‘separarsi’ dalla madre, contribuendo a far crescere nel piccolo una sua autostima, una sua sicurezza ed una sua autonomia. Il padre, inoltre, rappresenta l’esempio della legge che egli stesso impone. Madre e padre, in generale, rappresentano due funzioni che si completano e che devono essere equilibrate. Queste funzioni, se sviluppate in maniera sana, devono saper essere riconosciute all’esterno. Quindi, non si parla di giovani che non hanno genitori da un punto di vista fisico, ma che non li riconoscono come tali a livello intrapsichico. Anche perché molti recenti casi di cronaca non nascono più in contesti di degrado o di isolamento sociale, ma avvengono tra persone appartenenti a classi sociali legate al benessere. Ciò è un’ulteriore dimostrazione di come il problema sia il mancato riconoscimento dell’autorità sia maschile che femminile. Dunque, il mancato riconoscimento delle funzioni genitoriali: da qui, l’estensione a non riconoscere la funzione della scuola, delle regole e così via”. 

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L’IMPORTANZA DI INTERCETTARE IL DISAGIO
“Guardando nello specifico all’omicidio di Pescara, non dobbiamo pensare che questa premessa sia da interpretare come un attacco ai genitori; bisogna invece concentrarsi su come individuare la radice del problema, per agire prima della deriva. Il disagio che emerge in queste situazioni ha un suo corso, per questo va analizzato nella giusta prospettiva. Da questo punto di vista una premessa è d’obbligo: il disagio non può essere la puntuale giustificazione data di fronte ad atti violenti, ciò vorrebbe dire che chiunque si trovi in situazioni di sofferenza sia giustificato a compiere atti violenti. In realtà, quando si giunge a compiere azioni tanto efferate, connotate da un nichilismo delle emozioni, si è di fronte ad un disagio profondo e radicato. Disagio che appare sempre più diffuso tra i giovani di oggi e che non può e non deve essere una giustificazione, semmai deve essere un allarme. Infatti, questo disagio va intercettato il prima possibile. Mai abbassare l’attenzione: non si possono etichettare comportamenti o atteggiamenti anomali pensando, ad esempio, al periodo adolescenziale. Tutti abbiamo vissuto il turbinio delle emozioni e dello stravolgimento ormonale, psichico e fisico tipico dell’adolescenza, ma fino a 20 anni fa c’erano quantomeno il riconoscimento e il rispetto dell’autorità familiare, sociale, scolastica. Oggi non più”, continua Chiara Gioia.

ADOLESCENTI ‘ADULTI’ E DIPENDENZE
“Oggi lo stile di vita degli adolescenti è troppo adultizzato: essi hanno un’illimitata gestione del tempo e sono sottoposti a infiniti stimoli dal mondo social. Fatti come l’omicidio di Pescara non sono da attribuire né al tempo, né ad internet, naturalmente, ma alla mancanza di un perimetro, di una delimitazione che può essere costituita solo dalle regole.
Pensiamo, poi, alle dipendenze che spesso sono alla base dei fatti di cronaca raccontati. Oggi c’è facile accesso a qualsiasi tipo di droga e c’è un generale permissivismo. L’uso di cannabis da parte degli adolescenti viene interpretato ormai come un’abitudine quasi comune. Ciò, tuttavia, porta a dimenticare che la cannabis è, a tutti gli effetti, una droga: al pari delle sigarette o della cocaina. Ovvio che poi ci sia una differenza graduale nell’uso delle diverse sostanze e nella dipendenza che esse provocano, ma far passare l’uso di cannabis come un normale momento della fase adolescenziale è sbagliato. Dovrebbe essere la prima avvisaglia che c’è qualcosa che non va. Perché non si inizia a fare uso di queste sostanze da un giorno all’altro: dietro c’è sempre un processo che può essere legato a molteplici motivazioni. Da una scarsa autostima al bisogno di riconoscimento nel gruppo, dal desiderio di omologazione alla voglia di trasgredire. Qualsiasi sia la motivazione, questi comportamenti non devono essere sottovalutati e decodificati come tipici della fase adolescenziale”.

COMUNICAZIONE
Impossibile, poi, non considerare l’importanza della comunicazione, cioè la capacità di porsi in relazione con l’altro attraverso il linguaggio.
È noto che molti gravi crimini contro la persona avvengano ad opera di soggetti con evidenti carenze nei loro processi di simbolizzazione e mentalizzazione. Intervenire e trattare diventa allora la necessità di lavorare sulla capacità insita in ogni individuo di saper narrare, legare insieme, mettere in racconto, per negoziare la ricostruzione di accadimenti, ma anche arrivare a trattare la resa del soggetto a sé stesso, così che si possano porre modi di comunicare fra parti scisse della sua personalità. Il termine trattare dovrebbe riacquistare il suo significato etimologico sia per quanto riguarda la cura, che per quanto riguarda il trattare con un oggetto. La violenza è anche un sintomo: è il risultato di slegamenti psichici molto pericolosi per il processo di soggettivazione, costituisce una sintesi iperconcentrata di eventi psichici, una cristallizzazione del funzionamento psichico. Una caratteristica dell’adolescente violento – conclude Chiara Gioia – è di non omettere quanto è fuori proposito, futile o insensato, inconveniente e spiacevole, bensì di agirlo, esibirlo, comunicarlo. I processi di pensiero sono turbati e si riversano sull’ambiente esterno, sociale, istituzionale, giudiziario”.

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