L'approfondimento

I nuovi giovani tra violenze, omicidi, risse: sono figli di una società tossica

Sempre più giovani coinvolti in violenze sessuali, omicidi, risse. L'intervista al presidente dell'Ordine degli Psicologi d'Abruzzo, Enrico Perilli: "Viviamo in una società tossica, ma facciamo finta di non saperlo".

Violenze sessuali, omicidi feroci, risse con accoltellamenti. La cronaca quotidiana è sempre più nera e tra i protagonisti principali ci sono i giovani, spesso giovanissimi. “Viviamo in una società tossica, ma facciamo finta di non saperlo. L’individualismo cresce, l’empatia scompare: intanto l’Italia continua a non investire nei servizi di salute mentale”. L’intervista al presidente dell’Ordine degli Psicologi d’Abruzzo, Enrico Perilli.

L’omicidio del 17enne Christopher Thomas Luciani, la violenza sessuale di una 15enne aquilana ad Alba Adriatica, le risse e gli accoltellamenti sempre più numerosi tra minorenni. C’è un ‘problema giovani’? Cosa sta succedendo? Lo abbiamo chiesto ad Enrico Perilli, presidente dell’Ordine degli Psicologi d’Abruzzo.

C’è smarrimento, soprattutto tra i più giovani: ma non si tratta di un qualcosa di improvviso, bensì del risultato di un processo. Del resto, i giovani sono il prodotto della nostra società. Per questo bisogna fare un passo indietro e risalire a monte del problema, capire da dove nascono questa violenza e questo generale disagio”. 

Spesso si tende a puntare il dito contro le principali agenzie educative, cioè la famiglia e la scuola. Tuttavia, non è riduttivo scaricare ogni responsabilità sui genitori e sugli insegnanti?
“Il discorso è complesso, poiché anche famiglia e scuola vivono nella società attuale e, di conseguenza, risentono dei suoi limiti. Attribuire, quindi, a scuola e famiglia le maggiori responsabilità della situazione che stiamo vivendo sarebbe una scorciatoia. Si pensi, in generale, alla genitorialità: i Paesi occidentali hanno tra i più bassi tassi di natalità al mondo. Essere genitore richiede tempo ed attenzioni. Una volta crescere un figlio era diverso, poiché i genitori vivevano in mezzo a famiglie molto grandi, in paesi che sono quanto di più lontano possibile dalle metropoli o anche solo dalle grandi città. Per questo i bambini giocavano in strada, o in cortile, passavano molto tempo in famiglia. Oggi, soprattutto nei contesti di vita cittadina, spesso i bambini vengono trasportati da una parte all’altra, trascinati dai ritmi frenetici del lavoro dei loro genitori”.

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Poi ci sono le aspettative, aggiunge Perilli.
“A questi figli spesso si richiedono standard di prestazioni elevati tra scuola, attività sportive, linguistiche e così via. Pensiamo allo sport: ormai è diventato una disciplina in cui primeggiare. Viviamo in un ambiente individualista che porta i giovani a non avere un briciolo di empatia nei confronti degli altri. Una lacuna che infatti si riscontra frequentemente negli episodi di violenza che si registrano”. 

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Quanto influiscono i social?
“Per rispondere dobbiamo prima guardare i dati in aumento di episodi di bullismo, depressione, isolamento sociale. Così come dei disturbi dell’alimentazione. Molti di questi problemi hanno a che fare con l’immagine che ci rappresenta e con quella che invece vorremmo ci identificasse. Ed è qui che si inseriscono i social, piattaforme che creano un’immagine virtuale di noi stessi. Sui social possiamo apparire come in realtà non siamo, grazie ai filtri e non solo. Il discorso, tuttavia, è ampio: bisogna considerare che i social possono essere veicoli educativi perversi, soprattutto sul fronte della sessualità“. 

Perché?
Il fatto che manchi un’educazione alla sessualità è un grande problema. Oggi, infatti, la sessualità viene appresa attraverso i social, tramite frammenti di video pornografici di due o cinque minuti in cui, sostanzialmente, il rapporto sessuale è una prestazione atletica. Non solo, perché in questa prestazione c’è il maschio che ha a disposizione il suo oggetto, la donna. Del resto, è questa l’impostazione della pornografia di oggi. E ciò fa sì che i ragazzi di 15 e 16 anni, coloro che approcciano ai primi rapporti sessuali, pensino esattamente a ciò che hanno visto su internet. Tutto questo, però, può farli bloccare. Capita, quindi, che arrivino in terapia ragazzi giovanissimi reduci da prime esperienze sessuali negative: lì il nostro lavoro consiste nello spiegare che la sessualità è un qualcosa di ben diverso e ben più profondo rispetto a ciò che hanno visto sul web, dove circolano rapporti distorti che restano, puntualmente, senza alcuna spiegazione“.

In merito a questo, aggiunge Perilli. “Prima c’erano quantomeno i cosiddetti luoghi di ritrovo. Ad esempio all’Aquila c’erano i Portici, il luogo della città per eccellenza, in cui si incontravano tutti: dai 12enni, ai ragazzi di 18 anni, poi i 30enni, i 50enni e gli anziani. Ora, al massimo, si trovano dei gruppetti. Anche lo spazio è frammentato e questa frammentazione dello spazio corrisponde ad una frammentazione psicologica”.

Capitolo droghe. Qual è la situazione?
“È come se i nostri ragazzi vivessero una sorta di edonia depressiva. Oggi tutti hanno tutto e non sanno più cosa desiderare. Vivono trascinandosi. Vengono a mancare quelle ragioni profonde, quegli ideali che un tempo li infiammavano. Ideologie politiche, vocazioni religiose…dove sono finite?
È difficile trovare alte forme di impegno. Si vive solo per sé stessi e ci si chiude nell’individualismo. Ma
accanto a queste grandi questioni, c’è una piaga che nessuno vuole sottolineare: l’aumento del consumo di sostanze stupefacenti. Sempre più spesso casi di cronaca come incidenti stradali, violenze o risse vengono compiuti da persone che sono sotto l’effetto di droghe. Ciò fa sì che i ragazzi non siano lucidi, che abbiano un’attenzione alterata e che siano particolarmente disinibiti nei comportamenti. Anche da qui nasce l’aggressività. È un dato evidente, del restio, che larghe fasce della popolazione – non soltanto i giovani – affrontano buona parte della loro giornata con uno stato psicofisico alterato. Pescara, ad esempio, è una delle città in cui si registra il maggior consumo di cocaina. Che la nostra sia una società tossica è un dramma non affrontato come si dovrebbe“.

Un quadro particolarmente negativo. Sembra difficile, allora, aspettarsi un’inversione di tendenza nel prossimo futuro.
“Molto difficile, anzi credo che la situazione sia destinata ad aggravarsi, poiché in Italia non ci sono servizi. In fatto di salute mentale lo Stato mette a disposizione risorse assolutamente insufficienti. Siamo uno dei Paesi europei che investe meno in Sanità e, in particolare, nei servizi della salute mentale. Per questo mancano psicologi, dipartimenti: se guardiamo ai servizi sociali possiamo osservare il deserto totale. 
Infine, impossibile non evidenziare quanto continuiamo a vivere in una società profondamente maschilista. Gli uomini hanno comportamenti di dominio nei confronti della donna, spesso reminiscenze di quanto visto e vissuto tra le pareti familiari. Mettendo insieme tutto questo viene fuori un quadro di sofferenze e disagi; non stupisce che una società simile porti a questi episodi”. 

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