Centinaia di casi

Scomparsi in Abruzzo, l’esercito degli ottocento invisibili

Alla ricerca di Benso e Weituschat, ma non solo: sugli scomparsi in Abruzzo i dati e le considerazioni dell’associazione Penelope

Scomparsi in Abruzzo, sono 789 le persone mai più ritrovate dal 1974 a oggi.

C’è preoccupazione e angoscia in questi giorni sul territorio per il mancato ritrovamento, nonostante gli sforzi, di Marco Benso e di Lewin Weituschat. Benso è scomparso il 29 luglio scorso nel territorio comunale di Rocca di Cambio, dove si trovava in vacanza. Weituschat, giovane tedesco, secondo amici e conoscenti avrebbe avuto l’intenzione di effettuare escursioni nell’area del Gran Sasso ma dal 9 agosto scorso non ha più dato notizie.

L’auspicio è naturalmente quello di avere presto buone notizie dei due. Ma intanto vanno a ingrossare un gruppo dalle dimensioni impressionanti. Dal 1974 (quando si è cominciato a tenere un conto accurato) a oggi sono 789 gli scomparsi in Abruzzo, circa novantamila in tutta Italia.

Rimanendo ai dati del secondo semestre del 2023, su 165 denunce di italiani scomparsi in Abruzzo, si contano 120 ritrovati, 45 ancora da trovare a cui si aggiungono due ritrovati senza vita. Per quanto riguarda gli stranieri, ci sono 437 denunce, 160 trovati e 277 da trovare. Il conto degli stranieri risente evidentemente della quota di sparizioni “volontarie” di coloro che usano il nostro Paese come transito per andare altrove, migranti tra cui minori non accompagnati,

Le statistiche ci dicono che circa il 50 per cento delle persone scomparse vengono ritrovate vive”, dice Alessia Natali, presidente della sezione abruzzese dell’associazione Penelope, che ha lo scopo di dare sin dalle primissime fasi supporto ai familiari di coloro di cui si perdono le tracce. L’associazione è nata nel 2002 da un’idea di Guido Claps, fratello di Elisa Claps, protagonista di un caso di scomparsa balzato all’attenzione nazionale anche per le modalità di ritrovamento dei resti della donna, a 17 anni dalla sparizione nel sottotetto di una chiesa. Il supporto da dare ai familiari degli scomparsi riguarda diversi ambiti. C’è il sostegno psicologico fino ad arrivare a quello legale. Basti pensare che nel caso in cui la persona scomparsa non viene ritrovata si aprono per i familiari scenari complessi: per ottenere la morte presunta e quindi alcuni atti e passaggi conseguenti, come l’eredità, sono necessari dieci anni e alcune pratiche da avviare in tribunale, con esito tutt’altro che scontato, specialmente nel caso in cui chi è sparito è giovane. 

Per aumentare quindi le probabilità di ritrovamento, Natali evidenzia subito la necessità di sfatare alcuni luoghi comuni, che di fatto costituiscono un ostacolo: “Non esiste una legge che prevede l’attesa di 24 ore per denunciare la sparizione, il commissario straordinario del governo, che esiste da circa dieci anni e per la cui istituzione ci siamo molto battuti, dice anzi che la denuncia deve essere fatta nell’immediato, perché le prime ore sono quelle più importanti. Se il protocollo parte subito si ha un’altissima possibilità di ritrovamento, in caso contrario le chance scendono in modo esponenziale. Specifico che tutti possono fare denuncia, non soltanto i familiari, e che questa può essere raccolta su utto il territorio nazionale”.

Ma è possibile tracciare una sorta di identikit dello scomparso, almeno di quello che scompare con più facilità? Natali spiega che i casi riguardano persone di entrambi i sessi e di tutte le età, tuttavia “gli over 60 sono quelli che scompaiono maggiormente, gli uomini di più rispetto alle donne, assieme ai minori sotto i 14 anni. Per gli over 60 le motivazioni riguardano problematiche neurodegenerative, escono di casa e non sono capaci di tornare. L’allontanamento volontario – ma ci stiamo battendo perché questa definizione sparisca dalle denunce, si può accertare come tale solo a caso risolto – è una casistica davvero poco frequente”.

La presidente abruzzese di Penelope indica altri accorgimenti e buone pratiche che possono aiutare ad arginare il fenomeno: “Occorre un’azione di sensibilizzazione per convincere le famiglie a divulgare subito le fotografie, e va aiutata la diffusione di sistemi gps di cui dotare le persone che soffrono di patologie neurodegenerative. Prima della fase pandemica eravamo sul punto di sperimentare assieme alle Asl un progetto pilota su questo aspetto, che purtroppo è abortito: i fondi sono stati investiti per il contrasto al Covid”.

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