Speciale perdonanza

Celestino V, dall’eremo al soglio pontificio

La storia di Pietro da Morrone, dall’eremo al soglio pontificio. Il primo approfondimento su Celestino V, il Papa della Perdonanza.

La storia di Pietro da Morrone, dall’eremo al soglio pontificio. Il primo approfondimento su Celestino V, il Papa della Perdonanza.

La cerimonia di apertura della 730ª Perdonanza Celestiniana ha registrato la prestigiosa partecipazione di Luca Violini, che ha fatto propri i testi di Paolo Logli, entrando nella figura di Celestino V, nella sua storia, nella sua vita, con un’introspezione psicologica rispettosa ed emozionante. In quegli straordinari momenti che hanno fuso in una sola meraviglia spettacolo e spiritualità, la figura di Pietro da Morrone si è come materializzata dalle parole di Violini. Ma chi era Pietro Angelerio e quale storia lo ha condotto al soglio pontificio?

San Celestino V, al secolo Pietro Angelerio o Angeleri, conosciuto anche come Pietro del Morrone, nacque in Molise, forse a Sant’Angelo Limosano, in provincia di Isernia, intorno al 1209, undicesimo di dodici figli di una povera famiglia di contadini. Alla morte del padre Angelerio, fu avviato dalla madre Maria agli studi ecclesiastici, ma poiché era fortemente attratto dalle austerità della vita monastica, a soli vent’anni entrò nel monastero benedettino di Santa Maria di Faifoli.  Sebbene fu ordinato presbitero a Roma, continuò la sua vita ascetica ritirato in una grotta nei pressi di Scontrone, verso Sulmona. La sua fama di santità, tuttavia, ben presto attirò curiosi e devoti, tanto che nel 1245 decise di trasferirsi in luoghi più impervi lungo le pareti della Maiella. Qui, seguito da alcuni discepoli, fondò l’eremo di Santo Spirito, presso Roccamorice, e nel 1259 la chiesa di Santa Maria del Morrone, alla quale legò indissolubilmente il proprio nome. Nel 1263 papa Urbano IV decretò l’inserimento degli Eremiti di Santo Spirito, detti poi Celestini, all’Ordine benedettino la cui regola era da questi interpretata con molta severità; la decisione fu confermata il 22 marzo del 1275 con bolla di papa Gregorio X, con cui veniva garantita l’autonomia economica della congregazione, supportata dalle donazioni dei fedeli. Con la morte di Papa Niccolò IV il 4 aprile 1292, primo pontefice francescano, si aprì un difficile conclave per la scelta del successore: le varie sessioni svoltesi tra Roma e Perugia non riuscirono a convergere sulla scelta di alcun candidato, anche a causa delle pressioni delle casate romane e delle monarchie europee. In questa situazione si inserì Pietro da Morrone che, in una lettera inviata al cardinale decano Latino Malabranca, predisse per la Chiesa “gravi castighi” se non si fosse provveduto a scegliere subito il nuovo pontefice. Il cardinale fu colpito dalla lettera e, si voglia per la fama di santità dell’uomo, si voglia per la sua anzianità e inesperienza politica che lo rendevano potenzialmente influenzabile, propose ai cardinali proprio Celestino come candidato. La sua richiesta fu accolta e Pietro venne eletto papa all’unanimità il 5 luglio 1294. La decisione gli fu comunicata il 18 luglio: l’eremita dapprima rifiutò l’incarico, poi accettò, decidendo di essere incoronato all’Aquila, nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, e non a Roma, contravvenendo alla consolidata prassi.

Il 29 agosto del 1294, Pietro, anzi ormai Celestino V, fece il suo ingresso in città su un asino condotto dal re di Napoli Carlo II d’Angiò e da suo figlio Carlo Martello. Durante la cerimonia di ordinazione concesse un’indulgenza plenaria a tutti i partecipanti; il 29 settembre, con la bolla Inter Sanctorum sollemnia, estendeva agli anni successivi nella ricorrenza della sua incoronazione, il privilegio del perdono di colpe e pene – la Perdonanza – a tutti coloro che, confessati e pentiti dei propri peccati, si fossero recati nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio dai vespri del 28 agosto al tramonto del 29. Questa indulgenza riprendeva il Perdono di Assisi, ottenuto da San Francesco per la Porziuncola il 2 agosto e concesso nel 1216 da papa Onorio III. Nessuna delle fonti cita con esattezza il cammino percorso da Celestino alla volta dell’Aquila; tuttavia, si può lecitamente supporre che il corteo reale che lo scortava sia passato lungo il tratturo, lambendo dapprima le mura di Sulmona per poi attraversare il pianoro tra Pratola e Raiano, fino a giungere a Castelvecchio Subequo, Molina Aterno, Santa Maria del Ponte presso Tione degli Abruzzi, Fontecchio, Civitaretenga, Villa Sant’Angelo e San Demetrio ne’ Vestini, per poi toccare prima delle porte dell’Aquila, Paganica, Bazzano e Pianola, secondo l’itinerario ancora oggi percorso dal Fuoco del Perdono[1].

[1] Non si può tentare una ricostruzione agiografica della figura di Celestino V prescindendo dalle fonti: tra le prime è da citare senz’altro l’Autobiografia di Celestino V, pervenuta in tre codici, ancora oggi oggetto di controversie tra gli studiosi circa la sua redazione; il Tractatus de vita et operibus atque obitus (A, B, C) – la Vita C è la prima e principale, scritta da Bartolomeo da Trasacco e Tommaso da Sulmona, mentre le altre sono rifacimenti successivi -; il Catalogo dei miracoli, ancora precedente, commissionato dal card. Tommaso del titolo di S. Cecilia. I testi posteriori, come la biografia scritta da Pierre d’Ailly (1408), quella scritta da Matteo Vegio (1445), l’Opus metricum di Jacopo Stefaneschi (1319) citano tutti l’Autobiografia, come pure le opere di Celestino Telera (1640), gli Acta Sanctorum (1685), solo per citare i più antichi. Secondo alcuni studiosi, ma la questione è ancora aperta, Celestino avrebbe scritto di proprio pugno un testo in latino sulla sua vita giovanile, l’Autobiografia, appunto, al tempo del romitaggio e prima della fondazione del suo Ordine. È probabile che il card. Stefaneschi ebbe il testo originale direttamente dai confratelli di Pietro quando si recò a Sant’Onofrio con i legati per omaggiare il neoeletto pontefice.

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