Speciale perdonanza

Celestino V, i miracoli

Ultimo appuntamento dello Speciale Perdonanza del Capoluogo d'Abruzzo: i miracoli di Celestino V.

Ultimo appuntamento dello Speciale Perdonanza del Capoluogo d’Abruzzo: i miracoli di Celestino V.

Tutta la vita di Celestino V è scandita da segni miracolosi: sin da quando venne alla luce, avvolto con il sacco amniotico, parve indossare una bianca e sottile veste religiosa, quasi a presagirne il luminoso destino e fino alla sua morte, il 19 maggio 1296, allorché, nella cella in cui riposava presso la rocca di Fumone, fu vista aleggiare una croce d’oro sospesa nell’aria. Questo tipo di prodigi vengono chiamati “miracoli spirituali”: pur essendo accompagnati da manifestazioni sensibili – come luci, profumi o suoni – non mutano il corso degli eventi, avendo solo la funzione di edificare e suscitare meraviglia e sono la prova tangibile della virtù del Santo. Ma, scorrendo le biografie di Celestino V, la lista dei miracoli allegata alla Vita C e i processi di canonizzazione, una notevole quantità di grazie operate per il prossimo è riconosciuta a Pietro da Morrone.
Se ne contano ben 89 in vita e post mortem, presentate in modo breve ed essenziale, con la specifica del nome del miracolato, del luogo di residenza, talvolta della professione, del tipo di malattia, della modalità di guarigione e del posto in cui si compie, oltre ai testimoni, garanti della veridicità dell’episodio. L’inchiesta ufficiale si aprì a Napoli il 13 maggio 1306 e gli atti del processo si compongono di quattro articoli: il primo tratta della vita, fede e costumi di Pietro, il secondo della devozione del popolo nei confronti del Santo e dell’attività da lui svolta come fondatore di monasteri ed eremi, il terzo concerne proprio i miracoli e il quarto la fama pubblica.
A livello popolare, sebbene le fonti parlino di una notorietà estesa in tutto il Regno, sembrerebbe che la devozione per l’Eremita, prima dell’ascesa al soglio pontificio, fosse su base strettamente regionale: le liste dei miracoli rimandano tutte a borghi e villaggi raccolti attorno al massiccio della Maiella, estendendosi a nord fino al Gran Sasso e a sud alla Valle del Sangro; pochi sono i miracolati provenienti da terre diverse dall’Abruzzo. Dopo il 1294, con l’elezione a pontefice e la successiva rinuncia della tiara, la fuga da Napoli, il tentativo di imbarco per la Grecia e la cattura a Vieste, i prodigi operati dal Santo assumono una scala differente e, dopo la sua morte, sembrano concentrarsi nei luoghi in cui terminò la sua vita terrena. Furono ben 119 i testimoni chiamati al processo, ottantaquattro uomini e trentacinque donne, di età compresa tra i diciannove e gli ottanta anni, appartenenti a tutte le categorie sociali e rappresentano un vivido spaccato della vita sociale abruzzese del XIII secolo: sono medici e notai, artigiani, appartenenti al clero locale e tanta gente comune, di cui non si specifica la professione. Sui 69 miracoli operati in vita si contano 59 guarigioni e 10 miracoli religiosi, di conversione o di avvertimento; dagli atti del processo di canonizzazione, Pietro appare come un guaritore nel senso classico del termine, un taumaturgo in grado di curare non solo la malattia, dichiarata dai medici inguaribile, ma anche i segni della stessa e le cicatrici. Volendo fare un breve excursus sulla tipologia di miracoli operata da Pietro, tra i mali curati predomina la paralisi – si cita come esempio Thomasius magister de Luco, paralizzato, che si fa portare dall’eremita e diventa «liber et totaliter sanatus» (Processus XXXVIIII) -, poi le malattie contagiose e organiche e le guarigioni di ciechi, muti e sordi, come per il figlio sordomuto di Franciscus Cavalerius de Castro Sangri, che condotto presso il monastero sulla Maiella, «bene audit et competenter loquitur» (Processus XV). Spesso le pratiche di guarigione operate dal Santo sembrerebbero ricollegarsi alle tradizioni folkloriche abruzzesi, in particolare all’uso dell’incubazione: è il caso di un paralitico (Processus CXXXVII) che, dopo aver viaggiato per due mesi alla volta del monastero di Santo Spirito, venne issato dai monaci su un asino e condotto a Sant’Onofrio; qui dormì nella cella dove Pietro aveva vissuto: all’alba gli apparve in sogno l’Eremita, con la barba e le vesti candide, che gli toccò le membra malate, restituendogli la salute. Un’altra tipologia di rito di guarigione è collegata al contatto con reliquie appartenenti al Santo o al suo dono di oggetti devozionali, come piccoli Crocifissi in osso, legati alla diffusione della devozione al Pater Noster e accompagnati dall’impegno sollecitato nel malato al cambiamento della propria vita, in un’ottica tutta celestiniana del Perdono, che perdura fino ai nostri giorni¹.

[1] Cfr. Atti dei convegni celestiniani. VII Celestino V tra storia e mito, L’Aquila, 30 – 31 agosto 1992; Atti dei convegni celestiniani. VIII Celestino V tra monachesimo e santità. Le Fonti, L’Aquila, 9 ottobre 1993, a cura di Walter Capezzali. 

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