Perdonanza celestiniana

Perdonanza, l’omelia del cardinale Petrocchi: “Gesù vera e unica porta di vita”

"Per attuare e diffondere i valori della Perdonanza, L’Aquila è chiamata a volare 'ad alta quota', con le ali di Celestino". L'omelia del cardinale Giuseppe Petrocchi durante la Messa solenne prima dell'apertura della Porta Santa.

Oggi è il giorno più profondo della Perdonanza Celestiniana: è il pomeriggio del corteo della bolla, della Messa solenne che precede l’apertura della Porta Santa presso la Basilica di Santa Maria di Collemaggio, quest’anno presieduta dal cardinale Giuseppe Petrocchi, Vescovo emerito dell’Aquila, nell’anno in cui ha completato il suo ministero presso il capoluogo d’Abruzzo.

L’omelia integrale del cardinale Giuseppe Petrocchi 

Per attuare e diffondere i valori della Perdonanza, l’Aquila è chiamata a volare “ ad alta quota”, con le ali di Celestino. È lui, infatti, l’eco viva e fedele delle parole appassionate e commoventi pronunciate dall’Apostolo Paolo: «In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20).
Celestino, uomo coraggioso e profetico, è maestro e guida sulle vie della Parola e della Comunione, ecclesiale e sociale. Per “celestinizzare” il nostro stile di vivere la Perdonanza occorre anzitutto assumere un autentico atteggiamento “penitenziale”. Bisogna, perciò, entrare attraverso la “Porta Santa” in compagnia della virtù dell’Umiltà, che rende capaci di “dirsi” e “sentirsi dire” la verità nell’amore.
Questa lealtà, dai lineamenti biblici, mette allo scoperto le nostre negatività: illumina le zone d’ombra e le rende visibili.

Ciò ci consente di “ispezionare”, con sapienza evangelica, i “tunnel” dell’anima in cui sono occultati pensieri, sentimenti e comportamenti macchiati dal peccato, per poi avviare un processo di “purificazione” della memoria.
Solo tale disposizione cristiana ci mette al riparo dalle parole roventi del profeta Isaia, che inveisce contro le ipocrisie finalizzate a mascherare e giustificare il male che ci portiamo dentro: «Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce, dichiara al mio popolo i suoi delitti (…). Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?» (Is 58, 1. 3-4. 6).


Riconoscere le proprie mancanze comporta assumersi, con onestà etica ed intellettuale, la responsabilità, pronunciando con sincerità, nella mente e nel cuore, il “mea culpa, mea maxima culpa”: infatti le “sgrammaticature” relazionali che compaiono sulle pagine della nostra storia sono redatte con la nostra calligrafia e portano la nostra firma. Denunciare liberamente le proprie colpe è faticoso, ma fa bene: costituisce un atto di “igiene” spirituale” e anche una terapia psicologica. Il “non-perdono”, infatti, genera una “patologia” dell’anima: è simile a un “guscio” morale che avvolge e intrappola l’“io” e gli impedisce di ascoltare e di comunicare. Gradualmente soffoca la capacità di ricevere e dare amore. Di conseguenza l’“ego” – cioè l’“io” prigioniero del proprio narcisismo – emerge e campeggia negli spazi della personalità. Questo assetto caratteriale deviante distorce la percezione e altera il corretto svolgimento dell’azione. Compromette così la costruzione del “noi” interpersonale. Il perdono, oltre che una medicina efficace, costituisce anche un “ricostituente” dell’anima: la sana e la rimette in buona salute.
“Ripulire” gli archivi dell’anima non vuol dire cancellare i ricordi. Si tratta, invece, di rimuovere le emozioni negative che sono agganciate a queste “immagini”, sostituendole con sentimenti positivi derivanti dall’atteggiamento di misericordia e di amore. Dobbiamo sgomberare i magazzini della memoria da tutto il materiale inquinato con cui lo abbiamo intasato: le inimicizie, i rancori, le divisioni, le impudicizie, gli attaccamenti disordinati. E’ importante questa “pulizia pasquale” della memoria per evitare che il passato condizioni il presente ed ipotechi negativamente il futuro.
Tale percorso penitenziale è scandito da quattro dinamismi strettamente connessi (infatti non può comparire autenticamente uno di essi senza che siano implicati gli altri): ricevere il perdono da Dio; perdonarsi come siamo stati perdonati dal Padre celeste; dare il perdono e chiedere perdono a coloro che abbiamo ferito con i nostri sbagli.
Ma il dinamismo della conversione si spinge “più avanti”, poiché esige che – al posto del rancore e della rappresaglia – entri in azione la “benevolenza” insegnata dal Signore: prova “esistenziale” del cambiamento in corso. Perciò, per vivere in pienezza la Perdonanza, si deve varcare “in uscita” la Porta Santa, preceduti dalla Carità, che è l’amore del Signore acceso nel nostro cuore dallo Spirito Santo (cfr. Rm 5,5). Questa dedizione evangelica rende “altruisti” nei fatti ed è animata dalla scelta preferenziale per i gli ultimi e gli “scartati”, vittime delle povertà antiche e di nuovo “conio”.

Lasciamoci ammaestrare dalle parole del profeta Isaia, il quale asserisce che la vera conversione «consiste nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti» (Is 58, 7). Su quanti operano con questa generosità, conforme alla volontà di Dio, scendono abbondanti le benedizioni dell’Altissimo: «Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”» (Is 58, 8-9).
Dunque, va sottolineato che l’atto iniziale e sorgivo, che avvia il flusso del perdono, consiste nello spalancare la porta del proprio cuore all’Amore salvifico di Dio, che in Gesù – crocifisso e risorto – ci riscatta dal male e ci restituisce la capacità di essere figli di Dio (cfr. 1Gv 3,1-2).
In questo quadro teologico ed esistenziale va posta la celebrazione della Perdonanza, che non deve scadere a semplice ritualità tradizionale, ma è destinata a svilupparsi continuamente come esperienza personale e comunitaria di discepolato cristiano.

È un impegno da vivere “con” la Chiesa e “come” Chiesa: in questa prospettiva Papa Francesco sottolinea che «la prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia» (MV, n. 12).
Il perdono, accolto dalle mani paterne di Dio, deve essere vissuto nel rapporto con se stessi e va esteso al nostro prossimo. Così, anche sulla roccia del dissidio, fiorisce e fruttifica l’amicizia fraterna. Si scoprono, con stupore lieto, dimensioni inedite di pienezza interiore e relazionale, poiché – come è stato detto – “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
Occorre distinguere tra “evento” celebrativo della Perdonanza, che ha il suo centro nei giorni 28 e 29 agosto di ogni anno, e lo “spirito” della Perdonanza, che non ha limiti di calendario ed è permanente.
Pertanto non si deve esaurire l’esperienza della Perdonanza alla sola pratica dell’indulgenza: se resta un evento episodico, sigillato temporalmente e poi messo nella “cantina” delle cose passate, diventa un “talento” sciupato o tuttalpiù messo sotto terra (cfr. Mt 25,14-30). Ma se praticata con cadenza quotidiana ed estesa all’intero arco dell’anno, la Perdonanza si rivela un incontro straordinario con la grazia, quindi fonte di incisivo rinnovamento: personale e collettivo.
I valori spirituali e umani della Perdonanza, forti e coinvolgenti, sono destinati a generare e diffondere la Cultura del Perdono, fattore determinante per la promozione della Civiltà della fraternità e dell’amore.
Risuonano fondamentali le espressioni usate da Giovanni Paolo II: «Solo nella misura in cui si affermano un’etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in una “politica del perdono”, espressa in atteggiamenti sociali ed istituti giuridici, nei quali la stessa giustizia assuma un volto più umano» . Proprio per questa valenza culturale, la Perdonanza ha ottenuto il Riconoscimento dall’Unesco come Patrimonio immateriale dell’umanità. La storia assegna a l’Aquila il compito di essere una laboriosa e produttiva Fucina di Cultura del perdono, protesa a spingersi sino agli ultimi confini del cuore umano.
Queste ragioni motivano anche la preziosa ed efficace Valenza sociale della Perdonanza. Infatti, ciò che risponde al Vangelo garantisce anche il bene integrale dell’uomo. In tale orizzonte il perdono rappresenta una strategia intelligente ed efficace per costruire non solo la “Città di Dio” ma anche la “Città dell’uomo” e costituisce un potente antidoto al contagioso ed epidemico “virus del conflitto”, che insidia gravemente la vita comunitaria e civile. La carità è l’unica risorsa, immunitaria e sanante, che può neutralizzare i “batteri” della inimicizia e della divisione. Ecco perché il Magistero della Chiesa ribadisce che «la capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura più giusta e solidale» .
La trasformante ed inclusiva versione sociale della Perdonanza trova il suo “baricentro” ideale e dinamico sui temi della riconciliazione e sulla perseverante tensione verso la concordia. In questo quadro, anche le Istituzioni pubbliche e gli Organismi intermedi dovrebbero mobilitarsi per approntare “Laboratori dell’incontro”, dove si apprende l’arte del perdono e dove si educa al dialogo tenace e costruttivo.

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La Perdonanza è madre feconda e la sua figlia prediletta è la Pace: con se stessi e con gli altri. Discorso che ci interessa molto come credenti e abitanti di questa epoca storica: ma viene avvertito con vibrante intensità in questi giorni attraversati da drammatici ed impetuosi venti di guerra.
Lascio di nuovo la voce al Magistero della Chiesa, che si esprime con accorate ammonizioni: «Quanti dolori soffre l’umanità per non sapersi riconciliare, quali ritardi subisce per non saper perdonare! La pace è la condizione dello sviluppo, ma una vera pace è resa possibile soltanto dal perdono» .
Di qui le conclusioni perentorie: «I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono» .
Perdono, Giustizia e Pace, dunque, sono un trinomio inscindibile per edificare un mondo secondo Dio e, proprio per questo, degno dell’uomo.

La Visita Pastorale di Papa Francesco il 28 agosto 2022 ha impresso una spinta planetaria alla Perdonanza, conferendole una dimensione-mondo: un evento, perciò, aperto non solo a tanti, ma a tutti. Con questo gesto il Papa è entrato profondamente nel cuore della Città così come l’Aquila è entrata nel cuore del Papa.
Risultano per noi lapidarie le parole con cui Papa Francesco riassume la vocazione e il compito della nostra Chiesa e della nostra Città: «L’Aquila sia davvero capitale di perdono, capitale di pace e di riconciliazione! » .
In forza di questa avvincente dichiarazione sulla sua identità e missione, la nostra Comunità, ecclesiale e sociale, è posta come importante “Polo” evangelico e mediatico, al tempo stesso irradiante e attraente.
La recente Bolla di indizione del Giubileo 2025, “Spes non confundit”, all’art. 5 ha spalancato scenari storici, canonici e apostolici di straordinaria rilevanza: dottrinale e culturale. In essa Papa Francesco scrive a caratteri scultorei: «Mi piace pensare che un percorso di grazia, animato dalla spiritualità popolare, abbia preceduto l’indizione, nel 1300, del primo Giubileo. Non possiamo infatti dimenticare le varie forme attraverso cui la grazia del perdono si è riversata con abbondanza sul santo Popolo fedele di Dio. Ricordiamo, ad esempio, la grande “perdonanza” che San Celestino V volle concedere a quanti si recavano nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L’Aquila, nei giorni 28 e 29 agosto 1294, sei anni prima che Papa Bonifacio VIII istituisse l’Anno Santo».
Questa sentenza sancisce la precedenza non solo temporale ma “genetica” della Perdonanza in rapporto al Giubileo: tra questi due eventi viene riconosciuta e sigillata definitivamente una connessione “ontologica”, sul versante ecclesiale e civico.
La Perdonanza viene dichiarata “grande” per la santa tradizione che ha attivato ma pure per la sua “statura valoriale”, che è a misura non solo locale ma universale.
Mi si consenta di evidenziare che, per i suoi tratti “fisionomici”, la Perdonanza appare strettamente imparentata con la Sinodalità, che costituisce l’alta onda di grazia suscitata dallo Spirito ha suscitato nella Chiesa e nel mondo di oggi.
Nel Vangelo di Giovanni, che ci è stato annunciato, Gesù si proclama la vera e unica Porta della Vita «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; (…) io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,9.10). Chi passa attraverso Lui trova il riscatto dalle proprie negatività e attinge pienezza integrale, sul piano divino e creaturale.
La Perdonanza è, per definizione, un evento “collettivo”, perciò va vissuto “al plurale”: bisogna imparare a pensare “in unità” e a guardare “lontano”. A L’Aquila, il “Cantiere etico” del Perdono deve rimanere sempre attivo e creativo.
Sappiamo che Maria, di cui Papa Celestino V era devotissimo, è Madre della Misericordia, Modello di Comunione e Regina della Pace.
A Lei, la Madonna di Collemaggio, vi affido tutti, personalmente e insieme: con la sua intercessione vi benedica, vi custodisca e vi accompagni sempre. Amen!

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