Ottaviano Del Turco, abbattuto dai Giacobini dopo una vita per il popolo

29 agosto 2024 | 08:27
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Ottaviano Del Turco, abbattuto dai Giacobini dopo una vita per il popolo

Ottaviano Del Turco, una vita combattendo per il popolo, abbattuto dai Giacobini del 2000. L’editoriale di Giuseppe Sanzotta.

Ottaviano Del Turco, una vita combattendo per il popolo, abbattuto dai Giacobini del 2000. L’editoriale di Giuseppe Sanzotta.

La musica è sempre la stessa, i pentimenti tardivi anche. Poco sinceri perché inevitabilmente si ripetono: gli errori passati non hanno insegnato nulla. Così senza clamori, senza ripensamenti sulla grande stampa la morte di Ottaviano Del Turco non ha portato che a qualche riflessione, alcune di queste di notevole impatto emotivo: una su tutte quella del direttore Sansonetti sull’Unità. E quella riflessone contiene un’accusa pesante verso quella parte di società che inseguendo il delirio populista ha sacrificato la vita degli uomini in nome di un giustizialismo che ha fatto dell’accusa, fondata o memo, la condanna. La storia di Del Turco è particolare perché l’uomo è stato perseguitato dagli uomini e dal destino, già malato e benché fossero cadute le accuse più infamanti c’era chi volle continuarlo a perseguirlo per negargli perfino il vitalizio. Quello che gli consentiva di vivere e curarsi. Doveva essere la vittima sacrificale di un modo di concepire la politica come impegno, passione, lotta. Bisognava fare carta straccia di quella concezione della politica per lasciare spazio all’esercito dei vaffa, dell’uno vale uno, alla concezione dell’appartenenza come un cancro da estirpare. Bisognava dar spazio agli umori del momento, ai sondaggi via web; all’idea che le istituzioni della politica fossero dei simboli del male da frantumare o aprire come una scatola di sardine. I risultati li abbiamo visti e li vediamo. Quel virus dell’antipolitica ha infettato la società italiana.

Quella mattina del 2008 quando Ottaviano Del Turco venne arrestato con una accusa infamante: aver preso una mazzetta da un imprenditore della sanità, lui che contro quel modo di gestire la cosa pubblica aveva intrapreso iniziative coraggiose, si trovò solo sommerso da una valanga di fango. Solo, perché per un’idea malsana della giustizia, alimentata anche dall’informazione: l’accusa diventa sentenza. La difesa solo un tentativo di nascondere la colpa. Si è colpevoli subito: senza processo. Quante volte è successo da Tangentopoli in poi? Tante, troppe. La procedura è sempre la stessa: parte un’inchiesta, scattano le manette anche quando non ci sarebbe motivo, poi inevitabilmente si assiste alla conferenza stampa, si disegnano scenari.  Tv e giornali riportano l’accusa senza difesa, cioè la condanna a priori.
Quella mattina Del Turco era solo. Il Pd garantista era assente, anzi forse sarebbe stato inutile cercarlo. In fondo da Tangentopoli le inchieste giudiziarie sono state sempre accolte come un aiuto politico insperato. Tangentopoli liquidò la Dc, il Psi. Successivamente la magistratura contrastò il nuovo nemico Berlusconi. E Del Turco che pure al Pd si era avvicinato non trovò nessuno al suo fianco, fare eccezione per lui avrebbe messo in crisi una procedura consolidata. Il suo nome fu dato in pasto. Per lui c’era il carcere, quello di Sulmona. Dice Sansonetti che se fossero stati ancora vivi Lama e Trentin, due comunisti con cui collaborò alla Cgil, avrebbero fatto sentire loro voce. Sarebbero stati con lui perché lo conoscevano bene, conoscevano la sua storia, il suo impegno, il suo valore.

Ottaviano del turco

Del Turco lascia l’Abruzzo, giovanissimo, per andare a Roma. Per impegnarsi nel sindacato. É socialista, e nella Cgil arriva a ricoprire il ruolo di segretario generale aggiunto, è il numero due dietro a Lama. Un altro grande cresciuto all’ombra di Di Vittorio, che la sinistra ha dimenticato presto. Seguono anni vivaci. Arriva Tangentopoli che spazza via Craxi, spetta a Del Turco prendere le redini di quel partito. Ma l’Italia politica è stravolta, i partiti tradizionali spazzati via. Del Turco entra in Parlamento con l’Ulivo di Prodi, nel 2000, con Amato presidente, diviene ministro delle Finanze. Poi è eletto al Parlamento Europeo che lascia quando nel 2005, sostenuto dallo schieramento di centrosinistra, batte il candidato del centrodestra e presidente uscente, Pace. Del Turco, abruzzese di Collelongo torna, politicamente a casa. Si dedica con passione all’obiettivo di  modernizzare la sua regione.
Ebbene quella mattina, quelle manette misero fine alla sua vita politica, e possiamo dire anche alla sua stessa vita. Una giustizia che lo ha messo alla gogna, un’informazione che ha alimentato oltre il sospetto la quasi certezza della sua colpevolezza e una politica lesta a prendere le distanze. Non si ricorda nessuno che provò a mettere in dubbio la consistenza delle accuse. A poco vale, se dopo anni di isolamento e di condanne, la stessa giustizia ha rivisto le accuse. Ormai la distruzione è avvenuta nonostante le tardive assoluzioni. L’uomo Del Turco si ammala, scompare. Ora che è morto, una parte della politica esprime cordoglio, lo ricorda. C’è anche chi si spinge a mettere sotto accusa quel clima (che non è poi tanto cambiato), quella concezione della giustizia. Forse più che al politico Del Turco, ma all’uomo quella solidarietà sarebbe stata più utile prima. Sarebbe stato utile contrastare almeno con il dubbio le presunte certezze dei manettari in servizio permanente effettivo. Ma quei dubbi non hanno avuto voce e risalto. La speranza è che quel martirio mediatico e giudiziario possa servire almeno per evitarne di ulteriori. Sarebbe un bel regalo postumo a un uomo così duramente colpito dagli uomini e dal caso.

(in copertina foto ANSA)