Paderno Dugnano, non bastano scuola, sport e amici: la sofferenza sta nell’ombra

Un Paese sotto choc per la strage di Paderno Dugnano. “Perché nessuno si era accorto che qualcosa non andava? Non si comunica più. Non c’è neanche il tempo di chiedere ‘Come stai?'”
Sono passati solo 10 giorni dalla strage di Paderno Dugnano: nella villetta della famiglia Chiaroni, 68 coltellate sono costate la vita a papà Fabio, mamma Daniela e al figlio Lorenzo, 12 anni. A sferrarle il primogenito, Riccardo. “Non serve fare i moralisti, né fare processi che spetteranno alla Magistratura. Sarebbe utile, invece, cercare di capire come mai nessuno si sia accorto del malessere che covava questo ragazzo. Crescere in una famiglia agiata non vuol dire stare bene: ok la scuola, lo sport, gli amici. Ma quante volte chiediamo: Come stai?”.
L’analisi della psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia su uno dei fatti di cronaca più drammatici degli ultimi tempi, la strage familiare di Paderno Dugnano. Un primo settembre macchiato di sangue, che segna le pagine della cronaca nera nazionale e che ha sconvolto l’intero Paese. Perché a compiere la strage è stato un giovane, che ha ucciso prima il suo fratellino, poi la madre e, infine, il papà.
Di inchiostro ne è stato versato molto, in questi giorni, per la ricostruzione dei fatti accaduti e per riportare le fasi delle indagini, con i primi interrogatori dell’indagato. E tanto ne è stato usato per riferire analisi e pareri di psicologi rispetto a cosa abbia spinto il giovane a commettere questo terribile pluriomicidio. Il Capoluogoha ascoltato Chiara Gioia per accendere i riflettori su un aspetto poco dibattuto, quello del senso di colpa.
LA PREMESSA – “Davanti a fatti tanto violenti, sarebbe superficiale limitarsi a una condanna morale di quanto accaduto. Bisogna guardare alla sfera mentale del giovane. Oggi parlare di salute mentale sembra un qualcosa di comune, ma il linguaggio della sfera psichica resta tuttora in ombra, incomprensibile per molti. Ciò perché si tende, ogni qualvolta si parla di salute, a pensare allo star bene fisicamente e socialmente. Quindi si fa riferimento all’assenza di malattie, a come si è inseriti nella società, alle amicizie coltivate, al percorso scolastico e così via. In termini spiccioli, si dice comunemente ‘Non ti manca nulla’. Associamo tutti questi aspetti al benessere, dimenticando un aspetto essenziale, cioè la salute psichica. Qualcosa di impercettibile a chi guarda con gli occhi della superficialità”.
Leggere in trasparenza è fondamentale per conoscere e riconoscere i vari modi di essere di ognuno di noi. A tal proposito, aggiunge Chiara Gioia, “tutti hanno una loro identità che si costruisce soprattutto a partire dall’adolescenza, ma ciò non vuol dire che una persona non possa caratterizzarsi anche per altri aspetti: poiché ogni individuo è un soggetto psichico plurimo. Eppure, la mente collettiva tende a considerare le persone in modo individualistico. Per questo, nella lettura dei fatti si suddividono le cose in accadimenti normali o anormali, senza soffermarsi sulla complessità di vicende relazionali che sono alla base dello sviluppo psichico delle persone. Solo prendendo in considerazione tutti questi fattori si possono arrivare ad individuare le cause di fatti di cronaca aberranti, come ad esempio quello di Paderno Dugnano”.
“Oggi viviamo in una società nichilista, caratterizzata dall’assenza di emozioni. Non si è più abituati a riflettere, quale processo che scaturisce dalla capacità di saper immaginare, pensare, decodificare, differenziare e riconoscere. Azioni e abitudini che ci aiuterebbero a comunicare il nostro vissuto.
Su cosa si basano le relazioni? Sulla presenza fisica molto più che sulla parola: fattore che va proprio a discapito della comunicazione, cioè della capacità di sapersi relazionare. In questo modo, però, ciò che abbiamo dentro resta congelato. Malesseri ed emozioni pesanti, magari insostenibili, non vengono narrati: pensiamo che possano passare da soli, quando invece è proprio questa insostenibilità a dover indicare la necessità di affrontare ciò che ci affligge, portandoci a chiedere aiuto“.
IL SENSO DI COLPA – I figli, oggi, riconoscono i propri genitori e il loro ruolo? Continua Chiara Gioia: “Riconoscere i propri genitori non significa riferirsi solo alla materialità delle cose. Ok i vestiti che ci piacciono, il telefonino, lo sport, la cena fuori con gli amici o la vacanza. Oggi c’è tanto sotto questo punto di vista. Ma in molti casi e in diversi contesti nessuno chiede: ‘Come stai?’, ‘Com’è andata oggi?’, ‘Mi racconti la tua giornata?’. Una mancanza che si può verificare in ogni famiglia, incluse quelle benestanti, naturalmente. Capita che ci sia poca attenzione alla sfera emotiva e riflessiva dei propri figli, oppure capita che i genitori si interessino, ma che i ragazzi tendano a chiudersi e a non raccontarsi. Questo non raccontare viene spesso decodificato come periodo adolescenziale, ma bisognerebbe capire che si tratta di una mancata condivisione, di un non-narrare da parte del giovane. Logicamente, ciò non vuol dire che ogni mancato racconto vada patologizzato, ma bisognerebbe aprire gli occhi e stare attenti a non sottovalutare eventuali segnali o evitare di etichettare tutto come effetti del classico periodo adolescenziale”.
“Qui si inserisce il concetto del senso di colpa – continua Chiara Gioia – Per i bambini provare un senso di colpa sano ed equilibrato significa provare empatia verso gli altri. Il senso di colpa, infatti, altro non è che il frutto dell’educazione e delle regole trasmesse dalla famiglia nel corso del percorso di crescita di un bambino. Si tratta, quindi, di un senso di colpa naturale che porta, dunque, un bambino a capire di aver sbagliato e, di conseguenza, a rattristarsene. Tuttavia, quando questo senso di colpa non c’è è perché è mancato qualcosa: una sorta di legante tra genitori e bambino. Del resto, una persona che non prova sensi di colpa assume comportamenti che tendono a soddisfare unicamente il proprio piacere, anche se ciò può significare diventare aggressivi. L’assenza del senso di colpa innesca un processo che può quindi diventare pericoloso. Ed è qui che viene a mancare la differenza, ad esempio, tra uno schiaffo e un omicidio. Non si è portati a riflettere: quindi gli altri, chiunque essi siano, sono decodificati come oggetti da usare per i propri scopi”.
In conclusione, “Sarebbe importantissimo inserire la figura dello psicologo nelle scuole. I ragazzi hanno bisogno di poter esprimere ciò che non riescono ad esprimere a casa. Può esserci un problema anche dietro a un adolescente che prende 10 a scuola, che ha i suoi amici, che è brillante nello sport e che vive in un ambiente sociale stimolante. Bisognerebbe capire l’importanza di nutrire la componente psichica. Naturalmente, non si vuole colpevolizzare i genitori. Il discorso è più ampio, bisogna cambiare forma mentis. Poiché ogni fatto del genere è sempre il fallimento di qualcosa che non è accaduto a livello collettivo: dalla famiglia alla scuola, fino a chiunque non si accorge che qualcosa non va. Nel caso di Paderno Dugnano, non si pensi che si sia trattato di un’esplosione improvvisa. Per arrivare a quel punto, vuol dire che si era azionato un processo. C’è stato un germe, nato tempo prima, che si è evoluto. Fatti come questi non sono improvvisi.
Non bisogna guardare alle famiglie felici e agiate e pensare che vada automaticamente tutto bene: la sofferenza è sottile. Ci sono sempre dei sintomi, ma purtroppo quando si parla di sintomi si pensa soltanto alle classiche manifestazioni fisiche, invece questi sintomi possono avere mille sfaccettature. Ecco a cosa serve la terapia, a cosa serve affrontare percorsi di analisi. Ciò che per gli adulti può sembrare superficiale può essere, invece, affrontato in un percorso terapeutico in cui il professionista riesce a dare l’opportunità al paziente di narrare ciò che sente dentro. Il setting terapeutico diventa proprio lo spazio in cui tirar fuori ciò che nella propria quotidianità è indicibile e insostenibile”.