Morta in terapia intensiva con la porta bloccata, in Aula la perizia sui tempi d’intervento

Nuova udienza per il processo a carico dell’infermiere accusato di aver provocato il decesso di una donna ricoverata in terapia intensiva.
L’AQUILA – Nuova udienza per il processo a carico dell’infermiere accusato di aver provocato il decesso “colpa grave dovuta ad imperizia” di una donna ricoverata in terapia intensiva. Davanti al giudice la perizia del Collegio medico incaricato dalla procura per capire se la paziente poteva essere salvata, se i medici non avessero trovato la porta bloccata.
Era il 3 novembre 2020 quando una donna ricoverata presso il G8 Covid19 dell’Aquila, nel reparto di terapia intensiva, si è improvvisamente aggravata. L’infermiere presente nella stanza è corso fuori a chiamare i medici, ma al loro ritorno hanno trovato la porta bloccata; 15 minuti il tempo occorso al personale per sbloccarla, ma intanto la donna era andata in arresto cardiaco ed era deceduta. Da qui la contestazione “per colpa grave dovuta ad imperizia” all’infermiere nel procedimento penale per omicidio colposo nell’esercizio della professione medica che il prossimo 25 settembre registrerà la testimonianza del Collegio medico peritale incaricato dalla Procura dell’Aquila, composto da due medici specializzati in anestesia – rianimazione e medicina legale, che dovranno illustrare la perizia elaborata per chiarire se i tempi di attesa dovuti al blocco della porta siano stati decisivi per il decesso della donna.
Come sottolinea l’avvocato Carlotta Ludovici, che rappresenta i due figli della donna deceduta, costituitisi parti civili, nella perizia che verrà illustrata “risulta che con assoluta certezza il decesso della paziente poteva essere evitato mediante l’intervento entro 3 – 5 minuti di un anestesista – rianimatore che avrebbe riposizionato correttamente la cannula tracheale e/o avrebbe intubato la paziente per via oro – tracheale. Dalla medesima perizia risulta, inoltre, che la chiusura della porta e la sua apertura dopo un periodo di tempo (circa 15 minuti) troppo prolungato hanno causato la morte della paziente”.
All’infermiere, imputato per il reato di omicidio colposo nell’esercizio della professione sanitaria, vengono contestati più profili di responsabilità ed in particolare che “lo stesso non avrebbe dovuto abbandonare la stanza di degenza e lasciare così sola la paziente in stato di desaturazione arteriosa, poiché totalmente “dipendente”, oltre al fatto che non avrebbe dovuto chiudere la porta alle sue spalle, in quanto la stanza dell’UTI all’epoca non presentava pareti in vetro trasparente e non consentiva, quindi, l’osservazione visiva h 24/24 della paziente in stato di crisi”.
Oltre ai due periti, verranno sentiti come testimoni anche le diverse figure professionali presenti il giorno del decesso della paziente, tra infermieri ed OSS. Le parti civili hanno chiesto un risarcimento da 700mila euro.