Morta in terapia intensiva per la porta bloccata, parla l’avvocato dell’infermiere sotto processo

24 settembre 2024 | 11:00
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Morta in terapia intensiva per la porta bloccata, parla l’avvocato dell’infermiere sotto processo

L’intervista del Capoluogo all’avvocato dell’infermiere a processo per la morte di una paziente durante l’emergenza sanitaria. “Non ci fu imperizia: la signora è morta perchè era rotta la porta”.

“Il mio assistito ha compiuto tutte le azioni necessarie per poter soccorrere la paziente. La signora è morta perchè la porta era bloccata e non per imperizia di un infermiere riconosciuto da tutti come attento, scrupoloso, preparato”. A parlare, sentito dal Capoluogo, è l’avvocato Alessandro Scelli, del foro di Sulmona, che difende l’infermiere di Introdacqua a processo con la pesante accusa di omicidio colposo per la morte di una donna ricoverata in terapia intensiva al San Salvatore dell’Aquila durante la pandemia.

Il processo, giunto quasi alle battute finali, si sta discutendo presso il Tribunale dell’Aquila, giudice monocratico Tommaso Pistone. La prossima udienza si terrà mercoledì 25 settembre, mentre il 16 ottobre probabilmente verrà data lettura della sentenza. All’infermiere, imputato per il reato di omicidio colposo nell’esercizio della professione sanitaria, viene contestata la colpa grave dovuta a imperizia. Il 3 novembre 2020, una donna ricoverata per la complicanze del Coronavirus presso il G8 Covid19 dell’Aquila, nel reparto di terapia intensiva, si è improvvisamente aggravata. Nella stanza con lei c’era l’infermiere che, accortosi della situazione, è uscito fuori dalla stanza per chiamare i medici,Non potendo fare altro essendo per l’appunto un infermiere, ribadisce il suo avvocato che aggiunge: “Era protetto con le tute date a disposizione per evitare la diffusione del Covid19 per cui anche se avesse gridato non lo avrebbero sentito e nella stanza non c’era modo di fare altro se non attivare l’allarme. È uscito fuori e ha chiuso la porta, come da protocollo data la situazione delicata e la diffusione del contagio che ben conosciamo e ricordiamo tutti. La porta non si è riaperta per un guasto, tanto che un medico presente si è tolto la tuta protettiva, che impediva i movimenti, per cercare di forzarla. È stata aperta poco prima che arrivasse il tecnico che è stato chiamato subito, ma quei minuti sono stati fatali per la povera signora“. 

Dispiace molto per quello che è successo, ma il mio assistito ha agito secondo scienza e coscienza. Dispiace anche perchè a processo c’è un valido professionista che, in piena emergenza, decise di venire a L’Aquila per dare una mano in uno dei reparti maggiormente esposti e quindi a rischio costante di contagio. Tra la stanza e il reparto non c’erano contatti e chiedere soccorso in quel momento era l’unica cosa da fare, conclude l’avvocato.

Nella prossima udienza verranno ascoltati due periti e diversi testimoni, tra cui le figure professionali – infermieri e OSS presenti il giorno del decesso della paziente. Le parti civili hanno chiesto un risarcimento di circa 700mila euro. I familiari della donna sono assistiti dall’avvocato Carlotta Ludovici, del foro dell’Aquila. Per l’avvocato Ludovici, la perizia che verrà esposta in aula dimostrerà, “con assoluta certezza che il decesso della paziente poteva essere evitato mediante l’intervento entro 3 – 5 minuti di un anestesista – rianimatore che avrebbe riposizionato correttamente la cannula tracheale e/o avrebbe intubato la paziente per via oro – tracheale. Dalla medesima perizia risulta, inoltre, che la chiusura della porta e la sua apertura dopo un periodo di tempo (circa 15 minuti) troppo prolungato hanno causato la morte della paziente”. 

Morta in terapia intensiva con la porta bloccata, in Aula la perizia sui tempi d’intervento